Annuncio pubblicitario per la Nordiska Kompaniem: "Per gli uomini che hanno un tono", 1960.
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Tempo fa una mia amica ha postato sulla sua pagina Facebook una frase di Pierpaolo Pasolini che suonava più o meno così: «Sii allegro. Ti insegnano a non splendere. E tu splendi, invece». Inutile dire che, visti i tempi di assoluto e spesso giustificato pessimismo, la frase deve avermi molto impressionato poichè sto qui a ripeterla e a “ripercorrerla” anche dopo settimane.

Tale fatto mi ha spinto a cercare la frase e a collocarla in un contesto più ampio. Ho scoperto, o forse solo ricordato, perché a dire il vero le avevo già lette, che si tratta delle Letture luterane, edite da Einaudi nel 1976 e considerate la parte finale degli Scritti corsari. Includono gli articoli che vanno dal marzo 1975 all’ottobre dello stesso anno. La prima parte del volume è composta da un piccolo trattato pedagogico destinato a Gennariello, un ideale ragazzo napoletano, mentre la seconda parte rappresenta la vera e propria continuazione de Gli scritti corsari.

Lettere luterane, P. Paolo Pasolini, Garzanti
«una folla infimo-borghese, che sa di esserlo, che vuole esserlo» – Lettere luterane, P. Paolo Pasolini, Garzanti

Delle riflessioni pasoliniane mi colpiscono specialmente due punti, che non posso che leggere non solo come particolarmente adatti alla nostra attuale realtà sociale e politica (antropologica, economica etc..), ma anche inquietanti per la visione di un (allora) futuro che oggi si prefigura come quasi destino ineluttabile (oppure no).

Nella seconda parte del volume, uno dei passaggi più noti, intitolato o noto come Dentro e fuori dal palazzo, l’intellettuale osserva la folla e si chiede: «Dov’è questa rivoluzione antropologica di cui tanto scrivo per gente tanto consumata nell’arte di ignorare?. E mi rispondo: “Eccola”. Infatti la folla intorno a me, anziché essere la folla plebea e dialettale di dieci anni fa, assolutamente popolare, è una folla infimo-borghese, che sa di esserlo, che vuole esserlo».

Una riflessione certo amara ma vera che mette in rilievo come, in seguito alla graduale diffusione del modello occidentale (che è oggi anche quello orientale, si badi bene), dedito ai valori del consumo e della omologazione di saperi, sapori e gusti, l’italiano medio si sia liquefatto o annacquato, insieme al concetto di borghesia, inteso come classe che si forma e autoforma in un progetto di gestione della cultura e dell’economia di un paese, in un blob autocelebrante in cui formalmente il concetto di democrazia e salvaguardia dell’unicità personale è alla base della vita socio-politica, ma in realtà vige un principio di omologazione più o meno visibile, più o meno carsico, capace di annientare totalmente il concetto stesso di democrazia e di aprire falesie profonde capaci di permettere l’insinuarsi di nuove forme di razzismo e di esclusione.

Studio TV EIAR, 1939
La televisione e la stampa, secondo Pasolini «spaventosi organi pedagogici privi di qualsiasi alternativa» – Studio TV EIAR, 1939 (Public domain)

Le fonti educative della folla sono, infatti, dal Secondo Dopoguerra in poi, i compagni di gioventù, i genitori, ufficialmente depositari di tale mandato, la scuola, definita da Pasolini «insieme organizzativo e culturale della diseducazione», e la televisione e la stampa, sempre secondo lo scrittore «spaventosi organi pedagogici privi di qualsiasi alternativa». Se risulta effettivamente sbagliato ritenere la televisione come l’unica fonte del male nel paese, è anche doveroso però constatare come essa sia diventata, insieme a tutti coloro che la fanno (a volte bene e a volte molto male), una sorta di finestra verità infallibile, soppiantando l’infallibilità papale nell’immaginario comune (non a caso il papato attualmente ne sposa il codice comunicativo), una sorta di mondo/casta che crea modelli, li propone e ne cura la diffusione ricalcando quello che, secondo Antonio Gramsci, era l’intellettuale dannunziano, fra nobiltà terriera, provincialismo e concezione della vita.

Al centro dell’affresco, per niente lusinghiero, sta il Palazzo del potere che, intrecciato al potere economico, a volte potere della banche, altre volte potere oscuro, esercita la funzione edonistica riuscendo a portare a termine i suoi genocidi. In alcune parti del mondo reali, in altri sociali e antropologici. Fuori di esso una società che, grazie alla globalizzazione delle informazioni, che ruba spazio alla televisione, «sta subendo la più profonda mutazione culturale della sua storia», o almeno ci prova.

Dal vortice di giudizi, impressioni o emergenze (vere o presunte), scaturisce sempre più valido e forte l’invito di Pasolini, che si definisce «vecchio borghese razionalista e idealista», a non arrendersi alla mancanza di vitalità e a non lasciarsi «tentare dai campioni dell’infelicità, della mutria cretina, della serietà ignorante». A essere allegri, “cojioni”, gioiosi portatori sani della luce, dell’irregolarità di pensiero, di gusto, di osservazione. In poche parole, essere allegri, risplendere.

Adolf Hohenstein, IV Esposizione triennale di belle arti Milano, 1900
«La moda riflette come uno specchio, deforma e spesso indica tendenze e cambiamenti» – Adolf Hohenstein, IV Esposizione triennale di belle arti Milano, 1900 (Public domain)

In tutto questo, la moda, come succede da sempre nella storia dell’uomo, riflette come uno specchio, deforma e spesso indica tendenze e cambiamenti. Lungi da essere solo mero strumento delle aziende che con essa realizzano il loro introito, essa è non solo posti di lavoro, spesso specializzati, ma anche strumento di comprensione del presente e di cambiamento di esso come molti grandi designer hanno dimostrato in passato. Le ultime passerelle, infatti, superando il concetto del lusso fine a se stesso, ripropongono prodotti in cui la scelta del materiale ritorna al centro della produzione (quasi in prevalenza rispetto al puro design), esprimendo in questo modo una reazione alla crisi del mercato, che risente della concorrenza orientale, e un recupero della solidità borghese.

Dalla moda come espressione del lusso, degenerazione degli anni ’90 che però ha regalato a tutti noi fantasia, colori e forme senza pari, alla moda dei nostri giorni in cui la scelta del tessuto, la qualità della cucitura e la praticità riprendono forse in nuce il messaggio di Gabrielle Chanel che non a caso si trovò a vivere in tempi economicamente e storicamente difficili simili ai nostri. La serietà del lavoro, concetto borghese per eccellenza, e dunque la qualità, ritornano al centro del fare moda come se la moda stessa, il fashion system, lanciasse, certo a suo modo, un messaggio (o lo riprendesse dai social e dalle strade). Il messaggio che è necessario ricostruire una solida classe media, capace culturalmente e esteticamente di riprendere in mano un paese (a iniziare dai giovani), di ricucire gli strappi del passato, i nodi interrotti (la laicità di Cavour, le autonomie locali e il legame, mai curato, fra formazione e lavoro in cui il saper fare artigianale deve svolgere un ruolo primario).

A confermare la centralità del saper fare, che oggi si unisce indissolubilmente con la tecnologia, lo stesso Karl Lagerfeld, vero e proprio mito vivente della moda, che, durante la presentazione della collezione Cruise 2015, andata in scena a Dubai lo scorso maggio, ha dichiarato: «Avere una maglia di tale qualità e con un tale disegno era assolutamente impossibile 3 o 4 anni fa. Ora possiamo giocare con 150 colori». Non a caso il Maestro della Maison Chanel, da sempre di casa da Fendi, ha proposto e imposto sulle passerelle il viso irregolare e comico di Cara Delevigneè la Charlie Chaplin del mondo della moda», sostiene), e parla della sua ispirazione come di un semplice esercizio del cervello, che continua a usare perché lo considera un muscolo, e del suo lavoro dice: «io non ho nulla da dire di epocale, amo solo il mio lavoro». Il verbo risplendere o brillare fa capolino anche dalle sue parole, quando afferma che in Francia (e non solo. n.d.r.) «si è persa la sua massima preziosa virtù, il dono della leggerezza, della conversazione brillante, dell’ironia intelligente che regnava ai tempi di Voltaire, di Madame du Deffant. Oggi se dici una cosa che non sia noiosa e politicamente corretta, subito si scatenano ancor più noiose e scorrette polemiche». Fra i capi presentati all’ultima sfilata Métiers d’Art Paris-Salzburg 2014-15 di Chanel (clicca qui), tenutasi il 2 dicembre a Salisburgo, numerosi i riferimenti ai capisaldi della moda borghese: feltro, cashmere, raso, pizzo e chiffon e la forma rassicurante della tradizione tirolese reinterpretata in chiave sexy e blasè.

The Whispered Directory of Craftsmanship Vol. II: A Contemporary Guide to the Italian Handmaking Ability, Mondadori Electa
«Dalla lettera A, di architettura, alla alla V di vernice, ogni keyword utilizzata rappresenta un’eccellenza artigianale italiana.» – The Whispered Directory of Craftsmanship Vol. II: A Contemporary Guide to the Italian Handmaking Ability, Mondadori Electa

Silvia Venturini Fendi, definito uno dei talenti creativi più fecondi del nostro paese, Presidente di AltaRoma e creatrice di veri e propri oggetti cult della moda come la Baguette o Spy, B Fendi, Peekaboo e Silvana, ha anticipato nel 2010, come il progetto Fatto a Mano for the Future, il ritorno prepotente alla manualità e al “saper fare” che oggi si presenta come un’esigenza al recupero dei valori borghesi di formazione alla professione e all’utilizzo cosciente delle materie prime come unici strumenti per la ripresa dell’economia reale. Non a caso Fendi ha curato la pubblicazione del volume The Whispered Directory of Craftsmanship: A Contemporary Guide to the Italian Hand Making Ability (Mondadori Electa), un vero e proprio dizionario della manualità in Italia. Dalla letter A, di architettura e antiquariato, passando per la M, come Mediterraneo e mocassino, alla V di vernice, vintage e Vespa. Ogni keyword utilizzata rappresenta un’eccellenza artigianale italiana. Il volume sottolinea il tipico approccio alla creazione da parte degli artigiani nostrani che ha contribuito alla definizione della tendenza tutta italiana al creare basata sul rinnovamento, sulla costante creatività e qualità in ogni sua possibile declinazione manifatturiera.

A supportare il concetto anche piccoli e grandi eventi della moda, atti a premiare i giovani talenti, come il contest Next Generation, organizzato da CNMI, che, giunto nel 2014 alla nona edizione, ha visto vincitori Claudio Cutugno, Luca Lin, Deyse Maria Cottini, Alessandro Canti e Gianluca Viscomi. I giovanissimi talenti, tutti impegnati in un percorso di studi e approfondimenti dei tesori della tecnica sartoriale e del design, sono affiancati da un importante stylist nella realizzazione della loro prima passerella. Tutto rigorosamente Made in Italy (e non altrove) come del resto dimostrano anche in terra sarda Antonio Marras, Patrizia Camba, Giorgia Bistrusso, Chiara e Gloria Piscedda, Manuela Delrio, Nicola Scalas, Alice Tolu e Filippo Grandulli (solo per citarne alcuni). Sul campo per scoprire e reclutare nuovi talenti anche The Dubai Mall e Vogue Italia (clicca qui) e Alta Roma, l’Istituto per il Commercio Estero e Vogue Italia che indicono WION (Who is on Next?), dedicato al prêt-à-porter femminile, che scadrà il 1 aprile prossimo (clicca qui). A Palazzo Morando a Milano, dal 26 febbraio al 1 marzo è invece di scena la nuova generazione di designer per The Vogue Talents Corner.com

Il fashion designer Pierre Balmain apporta alcune modifiche all'abito dell'attrice Ruth Ford. Foto di Carl Van Vechten, 9 November 1947.
Il fashion designer Pierre Balmain apporta alcune modifiche all’abito dell’attrice Ruth Ford. Foto di Carl Van Vechten, 9 novembre 1947. (Public domain)

La perdita di professionalità nel campo della moda, dalla sartoria alla pelletteria, passando per l’arte del fare scarpe, si rigenera nel territorio grazie alla forza di provare stupore sul fatto che un’idea, un’intuizione o un figurino sappiano diventare un oggetto concreto da accarezzare o indossare, e trova spazio nei piccoli laboratori, spesso casalinghi, di cui chi scrive si è già occupato e si occupa, in cui giovanissimi tagliano stoffe, rifiniscono orli e assemblano elementi preziosi e meno con l’intento di riproporre la magia della società borghese in cui realizzare era il bello di disegnare una forma o un’idea, scegliere il materiale più adatto e durevole e applicarli all’idea dando vita al sogno. Un sogno che, grazie a una giusta azione di marketing, e a un corpus di leggi che sgravi la creatività e l’imprenditorialità dalla calotta di tasse spesso punitive, potrebbe espandersi e animare l’economia italiana fino a risollevarla.

Non solo, poiché da sempre gli storici attribuiscono alla borghesia l’antico compito/privilegio di aver dato agli agglomerati urbani l’assetto e la forma che oggi tutti conosciamo, se essa ripartisse dalla moda per riaffacciarsi ai suoi antichi compiti, come suggerisce Inès de la Fressange su D di Repubblica del 6 dicembre 2014, avrebbe ripreso in mano buona parte del processo storico che l’ha sempre vista protagonista: «Nella moda […] che per sua natura è visionaria, a un tratto si dà grande spazio all’artigianato: un marchio australiano (I love mr Mittens) che realizza maglioni lavorati a mano, fatica a tenere il passo con la domanda e lo stesso accade a Mansur Gavriel, che produce borse dalla linea che più sobria non si può. Allora mi dico: non perdiamo la speranza! Un giorno la tendenza a costruire qualcosa di bello, umano e con materiali di qualità si estenderà anche alle città!». Ancora una volta la moda, che per eccellenza è produzione di beni, concetto al quale Thomas Piketty lega la borghesia, si distanzia dal semplice scambio di denaro.

La fantasia, insomma, va a braccetto con l’economia e l’iniziativa del singolo, risplende, fuori dal Palazzo, e aspira a rifondare una borghesia nuova. Noi tutti ci stiamo lavorando (faticosamente).

2 thoughts on “Risplendere fuori dal Palazzo. La moda e la borghesia

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