L’inizio del processo politico per avvicinare le due sponde del Mare nostrum si deve far ricadere nel lontano 1995 con il Processo di Barcellona, dove fu creato un Partenariato Euro-Mediterraneo con la volontà comune di realizzare un mercato di libero scambio. Un trattato che l’Unione Europea insistette per lanciare un progetto a lungo termine: non solo accordi commerciali ma progetti politici comuni.
L’idea che il Mediterraneo potesse essere più unito era una necessità per entrambe le sponde, certo l’Europa non ha mai perso interesse verso le coste africane, dal vecchio colonialismo imperiale a quello moderno fatto di conquista e monopolio di intere economie. Si organizzò a Barcellona il primo passo verso l’idea di una zona che doveva somigliare il più possibile all’Europa, con la possibilità di abbattere le frontiere per le merci, per gli scambi commerciali e di tecnologia, per gli scambi universitari con la fondazione dell’Università del Mediterraneo. L’esigenza di internazionalizzare le politiche di cooperazione europea si fece strada anche in ambiti diversi dall’economia. Si parlò della difesa dell’ambiente, di una politica di sicurezza concertata, dell’organizzazione dell’immigrazione anch’essa da condividere tra l’unione europea e i paesi della riva sud. Questo processo fu un successo nella partecipazione, solo la Libia non era d’accordo e partecipò solo come stato osservatore, proclamando la difesa della libertà politica contro una possibile neo-colonizzazione.
Il progetto era molto ambizioso, creare infrastrutture e tecnologie che permettessero lo sviluppo economico della zona. Per attuare questo grandioso progetto politico non si era tenuto conto delle difficoltà interne ai paesi rivieraschi, molti dei quali governati da dittature trentennali. Per cominciare a collaborare bisognava “esportare” la democrazia, e soprattutto superare l’annoso conflitto israelo-palestinese. I leader dei relativi stati erano abbastanza soddisfatti del lavoro del Ministro degli esteri spagnolo Solana che riuscì in un difficilissimo lavoro diplomatico. Si stava ripetendo in parte l’avventura della fondazione della Comunità europea. Le speranze però, non tardarono ad essere disattese. Troppe differenze, troppi conflitti, troppe voci contro, troppa ingerenza europea nell’operazione.
Dopo varie esperienze di collaborazione, e dopo l’allargamento dell’Unione europea verso est, nel 2004 venne lanciata la Politica europea di vicinato. Si cercò di ridimensionare i programmi e puntare a progetti ristretti a singole aree reguionali. Fu la Francia di Nicolas Sarkozy a spingere sull’acceleratore e puntare direttamente all’Unione per il Mediterraneo.
“Il 13 marzo 2008 il Consiglio Europeo approvò ufficialmente il progetto, e cominciarono i lavori preliminari. Dal luglio 2008 la presidenza di turno del Consiglio europeo e del Consiglio dell’Unione Europea spettava alla Francia, che organizzò un vertice a Parigi il 13 ed il 14 luglio, istituendo così la nascita dell’Unione. Il vertice vide la partecipazione dei primi ministri e dei presidenti delle quarantatré nazioni aderenti, ad eccezione del presidente libico Gheddafi che espresse notevoli critiche al progetto e preferì indicare la Libia come membro osservatore. Precedentemente all’incontro anche l’Algeria aveva mostrato alcune riluttanze alla partecipazione, temendo che la divisione degli incarichi l’avrebbe esclusa dai ruoli principali (secondo alcuni quotidiani il segretariato generale sarebbe stato affidato al Marocco e alla Tunisia la sede” (fonte wikipedia).
Gli obiettivi riprendevano in larga parte quelli dei trattati di Barcellona: la cooperazione tra le due sponde del mare interno; le sue priorità sarebbero la risoluzione delle problematiche relative all’immigrazione dai paesi meridionali verso quelli settentrionali, la lotta al terrorismo, il conflitto israelo-palestinese, la tutela del patrimonio ecologico mediterraneo. In particolare è stata data priorità a sei iniziative concrete: il disinquinamento del Mediterraneo, la costruzione di autostrade marittime e terrestri per migliorare le fluidità del commercio fra le due sponde, il rafforzamento della protezione civile, la creazione di un piano solare comune, lo sviluppo di un’università euromediterranea (già inaugurata a Portorose, in Slovenia), e un’iniziativa di sostegno alle piccole e medie imprese.
Ciò che non ha funzionato ancora una volta è la pretesa di risolvere dall’alto ciò che costa lavoro e fatica diplomatica dal basso. Ossia la sproporzione economica e politica delle due sponde crea un ostacolo insormontabile se non si usa l’antico strumento dell’arte politica. Non bastano alcuni generici trattati commerciali o qualche idea su una moneta unica tra i paesi della sponda sud. Non basta osservare che tutta la zona è favorita da un’unica lingua base, da tradizioni simili e simili economie. Tutto questo non basta se il processo non è condiviso in modo partecipato anche dalle popolazioni locali. Il futuro non è nella cooperazione tra stati, pur necessaria, ma tra le grandi città metropolitane. Gli accordi veri si faranno tra le amministrazioni locali, i veri protagonisti del futuro.
La politica è quanto mai l’attività più importante per garantire uno sviluppo economico, sociale e culturale per l’intera zona euromediterranea, e di conseguenza garantire un potere contrattuale più forte nei confronti dei nuovi giganti economici mondiali come la Cina, Brasile e India.
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