Nous sommes avec vous: immagine di Daniela Ardu
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Cagliari (ITALIA)

Non ce l’ho fatta a scrivere, ieri.
Non ce l’ho fatta.

Confusa, arrabbiata, avvilita, amareggiata, i miei pensieri che correvano avanti e indietro dentro la testa cercando di mettere d’accordo oggettività di ragionamento e reazione istintiva.

Non ce l’ho fatta.
E così ho solo parlato.

Ho parlato con gli amici che incontravo in centro, ieri sera, nel tentativo di capire se la mia percezione di quell’assenza fosse giusta.
Lecita, diciamo.

Non ho capito perché Cagliari fosse assente ieri, all’arrivo di quella nave merci carica di ragazzi tunisini.
Non ho capito perché fossero assenti le associazioni e i gruppi di attivisti, non ho capito perché fosse assente quella massa di persone che, ogni giorno, siede dietro ai profili facebook pronta a “postare” l’articolo giusto, la foto giusta, a cliccare “mi piace” sotto le citazioni giuste.
Non ho capito perché altri non abbiano avuto la stessa esigenza di quelle quattro persone confuse incontrate sul ciglio della strada dentro al porto canale, che come me, e la persona che stava con me, si erano inoltrate a piedi oltre i container per cercare di capire, per vedere le facce, dei tunisini come dei poliziotti, dei portuali a lavoro come degli infermieri sopra le ambulanze e dei finanzieri all’ingresso della dogana, si erano inoltrate, come noi, per non accontentarsi il giorno dopo di un’analisi postuma frutto di letture impegnate di articoli altrui, di immagini postprodotte di foto altrui.

Non l’ho capito.

Eppure pensavo potesse e dovesse essere un appuntamento importante, per Cagliari, quello di ieri 6 Aprile 2011 alle h 18,00, al Porto Canale.

All’ingresso ci hanno chiesto: ‘giornaliste o curiose?’ ‘Nessuna delle due cose’ abbiamo risposto ‘cittadine’. E’ la città in cui viviamo questa, no?
E a noi sembrava normale essere lì, per capire se ci fosse bisogno di qualcosa, per capire cosa stava realmente succedendo. ‘Senso civico’ abbiamo risposto.

Sono passati i primi sei pullman, e dietro ai vetri scuri sono passati sorrisi dal piglio quasi infantile, e mani alzate con la V di vittoria e i palmi aperti.
Abbiamo ricambiato il saluto. Certo eravamo un po’ ridicoli solo noi sei, a dare il benvenuto a una situazione ancora tutta da capire. E allora ce lo siamo chiesti, dove fosse Cagliari, ieri, quella che scende in piazza certi sabato pomeriggio, quella che manifesta in corteo tra un palazzo di cemento armato con le bandiere fuori e il mare, quella delle associazioni, quella della gente sempre presente e sensibile a ciò che succede nella propria città.

In viale Elmas, due ore dopo, troviamo qualche persona in più, sentiamo qualche voce in più.
Pareri e versioni contrastanti, certo, ma quello che è importante è che la gente sia lì, per cercare di capire, almeno.
Nous sommes avec vous: intorno alle 20,00 un gruppo di ragazzi dalle facce poco più che adolescenziali accoglie l’arrivo del secondo gruppo di pullman dispiegando un lenzuolo con su scritto un numero di telefono ‘chiamateci se avete bisogno!’ gridano al megafono insieme a ‘libertè!’
Ingenuamente forse.
I tunisini si accodano al grido, li ringraziano.
Il vice questore prega i manifestanti di smettere.
Giustamente, forse: incitare i ragazzi costipati dentro l’edificio, spiega, esaltare gli animi già esasperati dalla situazione, in un momento in cui è ancora molto difficile capire come gestirla, potrebbe rivelarsi pericoloso.
I ragazzi protestano civilmente, cercano un confronto, poi, lentamente, vanno via, salutando con le mani i tunisini affacciati alle finestre.

Nous sommes avec vous.
Si, ingenua, forse. Ma vera
L’unica frase vera che ho visto ieri, all’arrivo a Cagliari dei migranti.

L’unica frase che ho visto.

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