Vediamoci al Centro
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Articolo di Remedios Puggioni

Oristano (ITALIA)

Quinto appuntamento della rassegna “Vediamoci al Centro… si gira l’isola”, presso il Centro Servizi Culturali U.N.L.A. DI di Oristano, il tema della rassegna è la rappresentazione della Sardegna attraverso le immagini.

Durante la serata si è presentato il documentario “Maistus de Sonus – Costruttori di Launeddas” con la presenza degli autori Roberto Corona e Marco Lutzu.

Il documentario è dedicato alle Launeddas, principale strumento della tradizione musicale della Sardegna. Uno dei due autori, Marco Lutzu, è già stato al Centro con un suo lavoro riguardante il recupero di vecchi materiali sul far musica un tempo e sulle successive trasformazioni.
Marco Lutzu è un giovane e affermato etnomusicologo, docente di etnomusicologia al Conservatorio di Cagliari, è impegnato attualmente in una ricerca sul campo a Cuba.

L’altro autore, Roberto Corona, è anche suonatore di launeddas, laureando in etnomusicologia presso il Conservatorio di Cagliari.

Gli autori si sono succeduti nei loro interventi, fondamentali per capire il loro lavoro.

L’Intervento di Roberto Corona:
“Ho avuto contatti con i maestri di Launeddas più importanti e l’intento è stato quello di cercar di capire come si muovono a livello mentale. Occorre avere gli strumenti per poter valutare questi valori. Ci sono state difficoltà in alcuni momenti della realizzazione del film: si ha a che fare con valori profondi e toccanti, commoventi. Più di una volta durante la lavorazione mi son scese le lacrime!

Intervento di Marco Lutzu

“L’idea iniziale del film è stata di Roberto. Abbiamo pensato insieme la struttura, io mi son occupato prevalentemente delle riprese e degli aspetti tecnici. Abbiamo lavorato insieme al montaggio. Ci son state molte affinità anche nell’intrecciarsi delle nostre competenze.
Io nutro una grande passione per la fotografia e il video: i miei studi possono esser resi meglio con fotografie e documentari (dove c’è il primato dei gesti). Ecco perché la forma del documentario e non di un articolo, per esempio.

Non ci siamo certo ispirati alla cinematografia degli anni ’70 e ’80, film in cui l’artigiano non parlava, non era protagonista, c’era una voce fuori campo… La nostra idea, invece, era quella di lasciar spazio anche agli “aspetti emotivi” e di dar voce ai protagonisti.
Esistono diversi film sulle launeddas, che avevano l’obiettivo di raccontare in modo ampio e generico il mondo delle launeddas; ormai si può scendere nel dettaglio ed ecco quindi che la nostra attenzione si è concentrata sulla costruzione dello strumento.
Si è voluto esaltare anche l’aspetto antropologico, quindi spazio al rapporto maestro-allievo, per esempio. Un altro aspetto importante che abbiamo affrontato è stato quello dei saperi della tradizione orale che si sono diffusi per imitazione. Maestri che imparano dai maestri l’arte della musica, non sono musicisti che si sono preparati sui libri, ma stiamo parlando di persone comunque molto competenti. C’è stato anche il desiderio di dare al nostro lavoro una dimensione estetica, ma l’idea principale è stata quella di dare voce ai protagonisti.

Corona:
“C’è bisogno di un approccio maturo per trasmettere correttamente questi saperi, e questo ha condizionato molte scelte per la realizzazione del film.
Le launeddas non sono soltanto 4 fori… c’è tutta una dimensione dietro. Quando i costruttori anziani, in senso politico, che cioè hanno grande esperienza, costruiscono uno strumento, sono attenti a dimensioni come l’aspetto timbrico del tutto: se non funziona, si ricomincia da capo.
La scelta delle persone che compaiono nel film non è stata casuale.
Il mondo dei suonatori di launeddas è abbastanza particolare. Tutte le persone contattate avevano la caratteristica di aver appreso i loro saperi da una o una serie di generazioni.
Negli ultimi 20 anni il mondo delle launeddas è stato rivoluzionato… è richiesto di rispettare la scala musicale, quindi i costruttori devono rispondere a diverse esigenze che non c’erano nel passato. Chi costruisce oggi deve usar l’accordatore. C’è stato quindi un significativo processo evolutivo.

Si sente l’esigenza di documentare l’attualità. La Sardegna è entrata in forte contatto con un mondo internazionale, ci sono scambi di consigli, metodi, procedure, quindi una diversa coscienza della costruzione delle launeddas. È un intrecciarsi di saperi diversi. (In Francia è nata l’industria commerciale delle canne per la costruzione di strumenti musicali!).
Si ritiene che le zone della Trexenta diano le canne migliori per la costruzione delle launeddas.

Accordatura: in fase di costruzione, si tengono presenti altre launeddas accordate, quindi si misura e si imita la distanza tra i fori. Non tutto è perfetto, infatti sono suscettibili di adattamento.
Benson, nel suo fondamentale studio sulle launeddas, riporta delle misure e qualcuno dei costruttori lo critica… sicuramente ci sono delle carenze, sono aspetti che si modificano in continuazione.
Il parametro base comunque è la distanza tra l’imboccatura e il foro.
Astutamente, non si fanno i fori tondi, ma rettangolari perché in questo modo è possibile intervenire e correggerli con la cera.
Il suonatore, ogni volta che suona, modifica la quantità di cera e la posizione della cera sull’ancia. Quindi interviene anche il suonatore ogni volta che le usa. La dimensione dei fori, col passare degli anni, è diventata sempre più precisa. I costruttori tagliano di meno, hanno diminuito lo spazio dove poter sistemare la cera. Su dei pezzi di canna o di legno tracciano dei segni per le diverse tonalità. È un mondo molto complesso. Le launeddas non sono uno strumento, ma una famiglia di strumenti, con diverse combinazioni di suoni. Stiamo parlando di tonalità: prima non esisteva proprio questo discorso. Allora funzionava soltanto la funzionalità, la massima estensione delle dita per poter suonare. In chiesa la tonalità bassa era molto gradita; la tonalità alta, invece, era molto funzionale per il ballo. Non interessava minimamente la sequenza dei suoni, ma bastava avere una serie di suoni che, combinati, permettesse di fare un ballo, per esempio.

Nel film si ribadisce che le launeddas sono uno strumento vivo, che si trasforma in continuazione. Già nell’arco degli ultimi vent’anni è cambiato enormemente, anche perché è cambiato il modo di fare musica. Oggi il suonatore di launeddas deve saper suonare anche con un fisarmonicista, per esempio, e in determinate situazioni con altri strumenti. Si trasforma, allora, il modo di suonare. Anche il repertorio si sta trasformando notevolmente.

La strategia etnografica: abbiamo chiesto di costruire le launeddas commentando ad alta voce ciò che stavano facendo. Questa è stata l’unica richiesta durante le riprese. Nelle persone, nei protagonisti, non c’era nessuna nostalgia del passato.
Anche a livello europeo sta accadendo questo: si rende attuale lo strumento. Non bisogna dimenticare che c’è anche un’esigenza di mercato in gioco, quindi si devono costruire in un determinato modo…

L’associazione “Artesuono”, che ha prodotto il film, è in comunicazione con costruttori di tutta Europa, del bacino del Mediterraneo, anche della Russia.
C’è l’esigenza di comunicare i nostri saperi.

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