Sono passati quasi vent’anni dall’uscita del libro “Cattiva maestra televisione” di Karl Popper, eppure le sue teorie sono più attuali che mai.
Il filosofo viennese indaga l’annosa problematica dell’influenza che il mezzo televisivo ha sulla società, il passaggio di valori e modelli che questo riesce a trasmettere. In particolare esso viene accusato di immettere violenza nel tessuto sociale e ciò va contro quello che Popper considera “il nucleo fondamentale dello Stato di diritto”, cioè “l’educazione alla nonviolenza”.
“I cittadini di una società civilizzata, le persone cioè che si comportano civilmente, non sono il risultato del caso, ma sono il risultato di un processo educativo. E in che cosa consiste fondamentalmente un modo civilizzato di comportarsi? Consiste nel ridurre la violenza.”
La violenza è infatti contraria alla libertà che rappresenta la base portante della democrazia. Si tratta della libertà di derivazione kantiana, quella che finisce dove inizia quella dell’altro. In un contesto di questo tipo la violenza assume un significato di rottura dell’equilibrio sociale. Per questo motivo la televisione, diffondendo e perpetrando dei modelli culturalmente scadenti e violenti, andrebbe a minare le basi dello stato di diritto. Essa finisce con educare piuttosto che informare, come invece dovrebbe secondo il pensiero liberale. Il problema, secondo Popper, è che essa non riesce a influire sull’educazione in modo oggettivo, senza condizionamenti. Per questo motivo essa rappresenta una cattiva maestra.
“Di questo si dovranno rendere conto, volenti o nolenti, tutti coloro che sono coinvolti dal fare televisione: agiscono come educatori perché la televisione porta le sue immagini sia davanti ai bambini e ai giovani che agli adulti. Chi fa televisione deve sapere di aver parte nella educazione degli uni e degli altri.”
Oltretutto il mezzo televisivo dovrebbe rappresentare, per sua stessa natura, una forma di libertà ma spesso ne abusa e perciò richiede una limitazione. Più una società riesce a gestire in modo consono la libertà, meno sarà necessario un suo controllo. Ma se, come nel caso della televisione, questo potere diventa incontrollato, al fine di salvaguardare la democrazia, esso va sorvegliato e limitato.
“Non ci dovrebbe essere alcun potere politico incontrollato in una democrazia. Ora, è accaduto che questa televisione sia diventata un potere politico colossale, potenzialmente si potrebbe dire anche il più importante di tutti, come se fosse Dio stesso che parla. E così sarà se continueremo a consentirne l’abuso.”
Il saggio di Popper, dal titolo “Una patente per fare tv”, oltre a denunciare il ruolo della televisione come portatrice di modelli non adeguati dal punto di vista educativo, individua una soluzione nel controllo rigoroso dei produttori di televisione, chi decide quali sono i contenuti e perciò i messaggi che essa finisce col trasmettere. Popper parla di una vera e propria patente revocabile che autorizzi a far tv solo chi supera un esame ben preciso. Questa proposta va in contrasto col liberalismo tipico del teorico della società aperta. Le sue paure sono tanto forti da portarlo a parlare di censura, necessaria nei casi estremi, ma poi abbandona questa idea perché nemica della democrazia.
“Chiunque sia collegato alla produzione televisiva deve avere una patente, una licenza, un brevetto, che gli possa essere ritirato a vita qualora agisca in contrasto con certi principi.”
Mentre ai tempi di Popper la televisione era ancora un enigma perché nata da poco e non ancora ben collaudata, oggi essa ha avuto modo di esprimersi largamente e se ne possono scorgere gli effetti sul lungo termine. Assistiamo infatti al rigurgito dei modelli e della cultura che essa ha trasmesso a partire proprio da quegli anni. Le teorie di Popper non sono poi così lontane dalla verità. La televisione si è rivelata un potente mezzo di condizionamento degli individui: essa veicola idee, opinioni e modelli culturali. Si pensi all’influenza della nascita dei talk show e dei reality sulla sottocultura odierna basata sullo svago, sulla spensieratezza e sulla poca attenzione a temi e argomenti che possano portare a una riflessione più intensa o a un disaccordo verso temi “scomodi”. Come denunciava Popper, infatti, lo strumento televisivo può diventare molto pericoloso soprattutto se usato, ad esempio, dal potere politico per assoggettare ed imporre dei modelli prestabiliti.
“Un nuovo Hitler avrebbe, con la televisione, un potere infinito.”
Ciò che ha compromesso la supremazia incontrastata della televisione è stato il recente dilagare di Internet che consente, vista la pluralità di stimoli e suggestioni, di uscire da strade già tracciate e predeterminate. Ma ogni mezzo capace di influenzare e condizionare, come teorizzava Popper, deve essere controllato rigorosamente perché non abusi della libertà che dovrebbe rappresentare. Probabilmente oggi Popper si chiederebbe quali effetti Internet e i social network avranno sulle generazioni future. O forse tenterebbe di scoprirne il potere.
“Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà stato pienamente scoperto.”