Nel limbo indistinto dell’osceno contemporaneo mediatico, e in particolar modo televisivo, giacciono anime ormai disperse, senza possibilità di redenzione.
In bilico tra una passività mascherata che si rende attiva e sinistra nell’attimo dell’interazione sociale, il virus mediatico dell’Indistinto e dell’equipollenza tra fatti e apparenze dilaga, senza che alcun argine cerchi anche solamente di frenarne l’avanzata.
L’età della Pietas – affermava un ormai televisivo Pasolini – si è conclusa con la televisione. È iniziata l’era dell’Edonè : “Era in cui dei giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e insieme dell’irraggiungibilità dei modelli proposti loro dalla scuola e dalla televisione, tendono inarrestabilmente ad essere o aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino all’infelicità (che non è una colpa minore)”.
Il voyeurismo mortifero tipico dell’essere umano deflagra anni addietro, in un evento televisivo cardine nella Storia mediatica.
Nel giugno 1981, l’attenzione dell’Italia intera venne catalizzata dalla tragedia del piccolo Alfredo Rampi. La sera di Mercoledì 10 giugno iniziarono le ricerche del bambino di sei anni disperso nella campagna nei pressi di Frascati.
Dalle 24:00, ora in cui il bambino venne ritrovato all’interno del pozzo artesiano, trascorse una sola ora prima dell’arrivo dell’occhio indiscreto delle telecamere Rai.
L’epilogo è ben noto.
Per circa 72 ore la televisione trasmise un’unica diretta dalla cima del pozzo, attorno al quale, fisicamente, si accalcarono 15mila persone, tra le quali l’allora Presidente
Della Repubblica, Sandro Pertini.
Dall’altra parte, trenta milioni di spettatori assisterono con partecipazione a una delle più lunghe e logoranti dirette televisiva di tutti i tempi.
Aggressività e passività si manifestano all’unisono, al contempo extra e diegeticamente:
una tragica installazione mediatica la cui anticipatoria interattività contemporanea si palesò nel superamento dello schermo televisivo.
Nello scarto tra davanti e dietro, nella volontà dell’Esserci, nell’Edonè che sovrasta e vince la Pietas giace la sconfitta umana, l’assassinio di Abele.
Sorsero un’infinta serie di dubbi e questioni relative alla vicenda, al tragico epilogo in diretta e alle procedure di soccorso: aspre e numerose furono le critiche nei confronti della violenta presenza mediatica alla quale seguì la folla smisurata di “protagonisti per un giorno”, compressi e assicurati tra le quinte del dramma che stava per consumarsi.
Gli occhi dei trenta milioni di telespettatori divennero pari responsabili.
Dopo tre laceranti giorni di vani tentativi di soccorsi, esasperati dal doppio mediatico, la famiglia Rampi ottenne il diritto all’oblìo: le strazianti immagini, violentate e saccheggiate prontamente di tutta la loro tragica intimità, riposano ora lontane dai loro plurimi assassini.
Vermicino perdura nella memoria di chi commise violenza e di chi assistette curioso all’Oscenità dell’Indistinzione. Così come nella morte di Abele risiede la condanna di Caino, così nell’omicidio mediatico del piccolo Alfredino risiede la nostra: la passività infelice.
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