Articolo di Daniela Zini
“Viaggiare è il più personale dei piaceri. […]”
con questa frase Vita Sackville-West introduce i suoi ricordi di viaggio in Persia.
Iran il paese delle rose
“[…]
Hame-ye alam tanast va Iran del
Nist qaviyande zin qiyas khejel
[…]”
Nezami Ganjavi, Haft peykar
a mio Nonno, scomparso la sera del 29 agosto 2012,
che mi ha, sempre, sostenuto e non ha, mai, mancato di ripetermi, fino all’ultimo istante:
“Concentrati sul tuo lavoro, non ti preoccupare per me!”
Voglio portarlo a termine il mio lavoro, perché Tu sia fiero di me.
Grazie, Nonno.
Roma, 29 gennaio 2013
D
X. Grecia e Roma sognarono l’Europa
Europa, un nome e un mito nati nell’Antichità Classica
Gillis Coignet [1538-1599] – The Rape of Europe
L’idea federativa risale al mondo ellenico. Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto tenta di realizzarla concretamente, ma i Barbari allontaneranno di secoli questo suo sogno unitario.
Europa
The full moon is so fierce that I can count the
coconuts’ cross-hatched shade on bungalows,
their white walls raging with insomnia.
The stars leak drop by drop on the tin plates
of the sea almonds, and the jeering clouds
are luminously rumpled as the sheets.
The surf, insatiably promiscuous,
groans through the walls; I feel my mind
whiten to moonlight, altering that form
which daylight unambiguously designed,
from a tree to a girl’s body bent in foam;
then, treading close, the black hump of a hill,
its nostrils softly snorting, nearing the
naked girl splashing her naked breasts with silver.
Both would have kept their proper distance still,
if the chaste moon hadn’t swiftly drawn the drapes
of a dark cloud, coupling their shapes.
She teases with those flashes, yes, but once
you yield to human horniness, you see
through all that moonshine what they really were,
those gods as seed-bulls, gods as rutting swans
an overheated farmhand’s literature.
Who ever saw her pale arms hook his horns,
her thighs clamped tight in their deep-plunging ride,
watched, in the hiss of the exhausted foam,
her white flesh constellate to phosphorous
as in salt darkness beast and woman come?
Nothing is there, just as it always was,
but the foam’s wedge to the horizon-light,
then, wire-thin, the studded armature,
like drops still quivering on his matted hide,
the hooves and horn-points anagrammed in stars.
Derek Alton Walcott [1930], 1981
di
Assunta Daniela Veruschka Zini
“Io condanno i partiti politici. La nostra classe politica da tempo è inetta e incapace di aspirare ad altro che non sia la semplice rielezione. È assolutamente priva di sostanza, non ha principi.” Jürgen Habermas [1929]
Quando nasce l’Europa?
La domanda può rivelarsi complessa. Una determinata entità territoriale esiste, effettivamente, in quanto concepita come tale dai suoi abitanti o da popolazioni esterne, in altri termini, deve sussisterne il concetto. Il caso delle Americhe è emblematico. Si discute, a tutt’oggi, sullo “scopritore” del Nuovo Mondo: una disputa del tutto superflua. Solo dopo Cristoforo Colombo [1451-1506] e con Amerigo Vespucci [1454-1512] si ha piena coscienza, presso gli Europei, dell’esistenza di un nuovo continente, nonostante le puntate effettuate dai Fenici, nell’Antichità, e dai Vichinghi, nel Medioevo. La conoscenza geografica è, dunque, un presupposto fondamentale, senza tuttavia essere per questo l’unico. Più importanti ancora sono il grado e il tipo di civiltà che sospingono gli “scopritori”. Quando i coloni ellenici si lanciano tra l’VIII e il VI secolo a.C. alla scoperta del Mediterraneo Occidentale – e anche del Mar Nero – hanno, già, ben delineato un loro concetto di Europa, in contrapposizione all’Asia e alla Libia [Africa]. Europa e cultura ellenica procedono di pari passo. Sia che l’etimologia della parola riveli una origine fenicia [da Ereb, Occidente] piuttosto che direttamente ellenica – in Omero [IX secolo a.C.], è presente l’aggettivo Europa, “altisonante” oppure “dallo sguardo lungimirante” – il termine compare, ben presto, in Grecia, in entrambe le accezioni: di divinità e di entità geografica.
Nella sua opera sulla storia e la genealogia degli Dei Greci, Cosmogonia, il poeta Esiodo, nato in Beozia, nell’VIII secolo a.C., pone Europa, insieme ad Asia, tra le tremila Oceanine, figlie di Oceano e Teti.
Le Oceanine
E generò delle figlie la sacra progenie, che sopra
la terra, hanno tutela degli uomini, insieme coi fiumi,
e con Apollo: questo l’ufficio prescritto da Giove:
Suada, Ianta, Elettra, Celeste d’aspetto divino,
Poppea, Letizia, Rosa, Ginnetta, Ondabella, Climene,
Doride, Chiara, Saputa, Miranda, Giuntina, Divina
l’amabile, Scotiaura, Biancaura, Spolina la bella,
Rapida, Donibella, Divizia dagli occhi rotondi,
Gioiadeicuori, Biondella, Fulgenzia, Perseide, Europa,
Petrina la vezzosa, Tenace, Potenza, Prudenza,
Asia, Doretta, Fortuna, Vittoria dal peplo di croco,
Corrisulonda, Girasulonda, Signoradeidoni,
e, meta al desiderio dei cuori, Calipso; e di tutte
la piú possente, Stige. Son queste d’Oceano e Teti
le più divine figlie: però ce ne sono altre molte:
ché son le Oceanine dai lunghi malleoli tremila,
che, sparse in ogni dove, sovressa la terra, o nei cupi
vivon del mare abissi, di Dee fulgidissime figlie.
Ed altrettanti i fiumi che strepono e corrono al mare,
figli d’Oceano e Teti, la Dea veneranda a lor madre.
Ma dir di tutti il nome è ardua cosa a un mortale:
quelli che accanto ad essi dimorano, bene li sanno.
Esiodo [VIII secolo a.C.-VII secolo a.C.], Teogonia
traduzione di Ettore Romagnoli
Quasi contemporaneamente, nell’Inno Omerico ad Apollo, la Grecia Settentrionale è espressa con l’appellativo di Europa in opposizione al Peloponneso e alle isole.
Sia quanti abitano il pingue Peloponneso,
Sia quanti l’Europa e per le isole circondate dal mare.
Inno Omerico ad Apollo [VIII secolo a.C.], III, 250-251
Tradizione mitico-religiosa e identità territoriale proseguono, poi, in perfetto accordo. Europa si trasforma nella sposa mortale di Zeus, Regina di Creta e madre di Minosse. Il suo culto, associato a quello del Padre degli Dei, si espande in tutta la Penisola Balcanica [Corinto, Tessaglia, Tracia, Beozia, ecc.], passando anche nella zona ellenizzata dell’Asia Minore. Secondo una tradizione, la prima regione, appropriatasi del nome Europa, sarebbe stata il territorio intorno al Bosforo, luogo di morte della sposa di Zeus. In tale modo, viene enfatizzata la separazione dall’altro continente, chiamatosi Asia, non molto tempo dopo l’epoca di Omero. Nella loro corsa verso Occidente, i coloni Greci estesero il nome della loro terra a tutto il continente – o meglio alle sue coste – che, gradatamente, venivano scoprendo. Già in partenza si trattava di un appellativo sovranazionale, poiché anche nella Proto-Europa, comprendente la parte nord-orientale della Penisola Balcanica, erano stanziati popoli ai margini o addirittura esterni alla grecità. Quest’ultima era considerata dagli Elleni solo una componente, il tò Ellenikòn [il mondo greco], di una entità più vasta.
La civiltà ellenica poteva estendersi in Asia Minore, ma la sua culla di origine restava l’Europa. Quest’ultima annoverava anche popoli Barbari, vale a dire non Greci, ma restavano differenziati dai Barbari dell’Asia. La civiltà greca, insomma, ha plasmato la prima immagine dell’Europa. Con Erodoto [484 a.C.-425 a.C.] e Ippocrate [460 a.C. ca.-377 a.C.], l’Europa costituisce nella coscienza degli Elleni una consolidata realtà. Geograficamente, il Vecchio Continente giunge fino alle Colonne di Ercole, comprendendo, ormai, oltre a tutta la Penisola Balcanica, l’Italia, la Spagna e parte della Gallia. Erodoto proietta la sua estensione a Nord indefinitamente, mentre a Oriente, conglobando il Regno Scita della Russia Meridionale, viene fatta proseguire ben oltre gli Urali, fino alla terra dei leggendari Grifi, custodi dell’oro. Con il medico Ippocrate abbiamo la prima, netta, differenziazione non soltanto fisica, ma culturale e politica tra gli Europei in quanto tali [e, quindi, non più soltanto Elleni] e gli abitanti dell’Asia. I primi sono amanti della libertà e nemici di ogni potere oppressivo; questi concetti saranno ripresi, nel VI secolo a.C., da Isocrate [436 a.C.-338 a.C.] e da Aristotele [384/383 a.C.-322 a.C. ]. Anche in Erodoto, tuttavia, sono presenti, più o meno implicitamente.
Diversi studiosi contemporanei hanno letto nelle Storie erodotee il proposito di reagire alla prosopopea e alla retorica antipersiana propria della generazione di Eschilo [525 a.C. -456 a.C.]. Tutta una corrente revisionista ha fatto di Erodoto l’alfiere di una salutare reazione allo sciovinismo ellenico. Responsabili della guerra non sarebbero più i presunti espansionisti Persiani, ma i colonialisti Ateniesi, rei di essere corsi in aiuto degli Ioni dell’Asia, ribellatisi al Grande Re. L’incendio della capitale della Libia, Sardi, con il Bosco Sacro alla Dea Cibele, sarebbe stata la motivazione delle rappresaglie persiane. Quando si parla di questo conflitto a livello non specialistico, le idee sono, normalmente, abbastanza confuse e superficiali. Tutto viene, generalmente, liquidato con i nomi di Maratona e Salamina. Pochi hanno idea di quanto ampia e decisiva per la nostra storia sia stata la portata dello scontro. Il conflitto opponeva due diverse concezioni della civiltà, opposti modelli, si direbbe oggi. Non si tratta soltanto di due semplici battaglie, ma di un cinquantennio di turbinose vicende, di avanzate e di ritirate, di rivolgimenti e di lotte intestine, al cui centro figura il Grande Re Persiano. Iniziatosi, intorno al 515 a.C., con la spedizione di Dario I contro gli Sciti della Russia Meridionale, questo capitolo storico può dirsi terminato, solo nel 449 a.C., con la Pace di Callia, dopo le controffensive greche in Asia, a Cipro e in Egitto. Si tratta di una vera e propria epopea. Nel corso di questi anni, campeggiavano le figure dei Sovrani di Persia Dario [550 a.C.-486 a.C.], Serse [519 a.C.-465 a.C.] e Artaserse [V secolo a.C.-425 a.C.], e da parte ellenica quelle di Cleomene […-489/488 a.C.], Re di Sparta, e degli Ateniesi Milziade [550 a.C.-488 a.C.], Temistocle [530/520 a.C.-dopo il 459 a.C.] e Cimone [510 a.C.-450 a.C.]. Porre quale causa del gigantesco conflitto le provocazioni ateniesi, significa non soltanto dare una immagine riduttiva del medesimo, ma travisare, completamente, quanto scrive lo stesso Erodoto, il quale critica, effettivamente, la condotta di Atene, ma esclusivamente dal punto di vista tattico: risultò avventata, perché fornì al Grande Re il pretesto per porre in atto i suoi piani aggressivi. Da un punto di vista strategico, tutto il resoconto dello storico è niente altro che la cronaca della progressiva espansione persiana verso Occidente, dalla sottomissione con Ciro il Grande [590 a.C.-529 a.C.] delle colonie ioniche fino al passaggio in Europa di Dario e Serse. Proprio su questo punto la posizione di Erodoto è netta. La politica persiana non è vista soltanto come una minaccia per la Grecia, ma per l’intera Europa. Gli Elleni non combattono solo per se stessi, ma per tutti i popoli europei.
“Dopo aver sottomesso l’intera Asia,”,
fa dire Erodoto agli Ambasciatori Sciti in cerca di alleati,
“ora, il Persiano è passato su questo continente per sottometterlo.”
Il punto di rottura per lo storico – e anche per Diodoro Siculo [90 a.C. ca.-27 a.C. ca.], scrittore del I secolo a.C. – è proprio la spedizione che Dario intraprende nelle steppe della Scizia Europea. Come avverrà, nel 480 a.C., con Serse, il Sovrano Achemenide “sfida gli Dei” – quelli greci, ovviamente – congiungendo con un ponte di barche lo Stretto del Bosforo e contravvenendo a quelle leggi di natura che volevano Asia ed Europa, geograficamente, separate. Nella prima occasione, gli Elleni distruggeranno il ponte, dopo che Dario, avanzato in Tracia e superato anche il Danubio, si era, imprudentemente, addentrato nelle immense pianure russe, che erano dominio dei cavalieri Sciti, Barbari, ma Europei. Per Dario, ritiratosi, a fatica, con l’esercito, fu il primo smacco in terra di Europa. In occasione della grande spedizione di Serse, invece, una tempesta si incaricò di frantumare la doppia fila di pontoni che congiungevano le due rive dell’Ellesponto presso Abido:
“Gli Dei e gli Eroi non vollero che un uomo solo [Serse, n.d.r.], empio e criminale, regnasse sull’Asia e sull’Europa.”,
fa dire Erodoto a Temistocle, l’artefice della vittoria greca. Il conflitto con la Persia è narrato, dunque, dalle principali fonti greche, quali Ctesia [V secolo a.C.-dopo il 398 a.C.] ed Eforo [400 ca. a.C.-330 a.C. ca.], come una guerra europea, e questa tesi è ripresa da Platone [428/427 a.C.-348/347 a.C.] in Crizia. Certo, l’Ellade è il cuore, il nucleo vitale dell’Europa; nondimeno i Greci sono consci di difendere anche popoli non ellenici. La minaccia dell’Asia, che ha mobilitato tutto il suo potenziale demografico ed economico, è generale. L’Impero Persiano legittima la propria esistenza in quanto dominio universale; i suoi ideali sono ecumenici; tollerante all’interno, soprattutto in materia religiosa, non ammette l’esistenza di popolazioni indipendenti. D’altro canto, la guerra del 480 a.C. ha dimensioni mondiali per l’epoca. Contro l’Europa entra in campo anche l’Africa.
Già, in precedenza, Dario aveva stretto un accordo con Cartagine. Mentre la moltitudine dei popoli asiatici avanza nella Penisola Balcanica, i Cartaginesi attaccavano in Sicilia, impedendo a Siracusa di accorrere nel Mediterraneo Orientale. Erodoto e, più ancora, Diodoro Siculo e Pompeo Trogo [I secolo a.C.-I secolo d.C.], sono chiari a questo proposito. A breve distanza di tempo, nel medesimo anno, si gioca il destino dell’Europa; mentre, a Salamina, la flotta ellenica distrugge quella persiana, nella grande Battaglia di Imera, Gelone di Siracusa [540 a.C.-478 a.C.] coglie una strepitosa vittoria sul cartaginese Amilcare […-480 a.C.]. Si può, dunque, affermare che le Guerre Mede segnino la nascita di una solidarietà europea, almeno ideale.
La coalizione greca si atteggia a salvatrice dell’Europa, mentre, ormai, è un dato di fatto la contrapposizione ideologica Est-Ovest, un concetto che resisterà fino ai nostri giorni. L’Europa nasce, quindi, con la grecità classica; tuttavia, se, sul piano concettuale, essa costituiva, ormai, una indiscutibile realtà, molto restava da fare sul piano concreto; vale a dire circa la diffusione di una cultura e di una concezione statale che, effettivamente, fungessero da denominatore comune per le popolazioni del continente. La quasi totalità del potenziale civilizzatore ellenico era stata dirottata a Oriente, sulle orme di Alessandro Magno [356 a.C.-323 a.C.]. La storia ellenistica riguarda i grandi potentati dell’Asia e dell’Africa, con propaggini fino all’India. Per la Grecia classica inizia la decadenza e l’idea passa in secondo piano di fronte ai nuovi orizzonti universali. È la giovane e scalpitante potenza italica, Roma, che raccoglie dall’Ellade l’eredità europea e occidentale, rinvigorendola. Sarà, soprattutto, un rinnovamento pratico più che ideale, in sintonia, del resto, con i principali connotati della civiltà latina.
I Greci si erano limitati all’esplorazione e agli insediamenti costieri; Roma, invece, conquista e penetra all’interno. Liquidata la partita con Cartagine, le legioni romane si installano, saldamente, in Spagna, iniziandone una lenta, ma effettiva sottomissione. Tuttavia, anche, per l’Urbe si spalancano, ben presto, gli abbaglianti orizzonti dell’Oriente, con il suo mito di Alessandro e, soprattutto, con le sue ricchezze. Tutta presa dagli affari ellenistici, per circa un secolo e mezzo, Roma trascura l’Europa. Unici progressi sono l’acquisizione della Gallia Narbonese, l’attuale Provenza, e il tratto costiero dell’Illiria, l’odierna Dalmazia. Neppure i valichi alpini vengono occupati. I Signori della Guerra e quelli delle Finanze [vale a dire le grandi compagnie commerciali] guardano a Est, quale terreno di preda e di conquista. Generali, quali Lucio Cornelio Silla [138 a.C.-78 a.C.], Lucio Licinio Lucullo [117 a.C.-56 a.C.] e Gneo Pompeo Magno [106 a.C.-48 a.C.], si segnalano per le loro imprese in Asia Minore, Siria e Armenia. Marco Licinio Crasso [114/115 a.C.-53 a.C.], il grande aristocratico capitalista, muore in battaglia presso Carre, in Mesopotamia, nel 54 a.C., nel corso della più tipica e, in fondo, onestamente dichiarata guerra di rapina: tutto preso ad accumulare danaro, il Triumviro aveva attaccato i Parti, con l’intento di spogliarli delle loro ricchezze; qualcosa di simile alla Guerra dell’Oppio, scatenata dagli inglesi in Cina, nel XIX secolo. Forse, fu, proprio, l’ostacolo, opposto dai Parti, e, prima ancora, dalle imprese di Mitridate [132 a.C.-63 a.C.], Re del Ponto – che, in un solo giorno dell’88 a.C., a Efeso, in Asia Minore, massacrò 80mila Italici – oltre alla concorrenza interna, troppo forte in quel settore, a indurre Gaio Giulio Cesare [101/100 a.C.-44 a.C.] a cercare gloria e danaro in Occidente.
L’Oriente era, ormai, saturo e spoglio; inoltre tutto il mondo ellenistico, inclusa la Grecia classica, manifestavano, sempre, maggiore resistenza alla penetrazione romana. D’altro lato, a Roma e in Italia, le correnti occidentaliste, che ostentavano diffidenza e ostilità verso la cultura greca, erano sempre forti. La Lex Vatinia de imperio Caesaris o Lex Vatinia de provincia Caesaris, approvata, a Roma, dai concilia tributa plebis, con un plebiscito, nel 59 a.C., è una pietra miliare per la costruzione dell’Europa: a partire dal primo marzo del 59 a.C. fino al 28 febbraio del 54 a.C., veniva delegato al Proconsole Gaio Giulio Cesare l’incarico di provvedere al mantenimento dell’ordine nella Gallia Cisalpina e Narbonese, nonché nell’Illirico. Dotato di ingenti mezzi militari e finanziari, assetato di potere, l’ambizioso Governatore interpreta, a modo suo, il mandato ricevuto. Con la conquista della Gallia Comata, corrispondente a Francia, Belgio e Germania Cisrenana, avvenuta tra il 58 e il 51 a.C., l’asse dell’equilibrio politico, militare e culturale, si sposta nuovamente a Ovest. L’Europa Occidentale Romana, limitata fino ad allora all’Italia e alla Spagna, oltre che alla striscia dalmata, vede accrescere, notevolmente, il suo retroterra. La Gallia Comata era considerata una delle regioni più popolate e ricche dell’intero mondo conosciuto. La sua conquista concede un certo respiro alle stremate province di Oriente. Ma più ancora, mette a contatto diretto la civiltà romana con un’altra gagliarda cultura in fase di sviluppo: quella gallo-celtica.
I Galli Transalpini erano, già, conosciuti a Roma attraverso l’Italia Settentrionale. I loro soldati si erano distinti nelle Guerre Puniche, specie in quella annibalica. Già, ai tempi di Alessandro Magno, avevano inviato Ambasciatori al Sovrano Macedone, a titolo di congratulazione per le sue imprese: nel mondo antico i contatti internazionali erano molto più intensi e stretti di quanto comunemente si pensi. Il tipo di cultura celtica era in rapida evoluzione. I Romani trovano in Gallia città, monete, castelli, campi coltivati, miniere in funzione, una religione basata sul Druidismo e con un concetto di immortalità dell’anima vicino a quello orfico e pitagorico. I punti deboli sono la mancanza di una idea dello Stato e del sistema giuridico. L’impatto con la cultura romana risultò relativamente facile. Gaio Giulio Cesare seppe, abilmente, convincere i Galli circa la necessità della protezione romana. Il pericolo vero erano i Germani, che, con gli Svevi di Ariovisto [I secolo a.C.], avevano fatto la loro minacciosa comparsa sulla riva sinistra del Reno. D’altra parte, una larga parte dei legionari, che avevano partecipato alle campagne galliche, era originaria dell’Italia Settentrionale e, quindi, di stirpe celtica.
Truppe ausiliarie e addirittura legionarie furono, ben presto, arruolate anche nella Gallia Comata. Ebbero un largo peso i tradizionali sistemi romani di assimilazione, che puntavano maggiormente, sul coinvolgimento degli indigeni nelle istituzioni civili e militari che non su una acculturazione forzata. Molto importante era la concessione della cittadinanza a famiglie o addirittura a tribù, ritenute benemerite. Più tardi, elementi celtici entreranno in Senato. Si potrà dire tutto dell’amministrazione romana, ma non certo che fosse razzista e intollerante. Con tutto ciò non ci sentiamo di porre Gaio Giulio Cesare al primo posto tra i Padri dell’Europa Romana. Certo la sua opera fu, oggettivamente, fondamentale; gli orizzonti che questi aprì anche sul piano geografico, con le puntate oltre il Reno e le due spedizioni in Britannia del 55 e del 54 a.C., furono immensi. Con le sue imprese i Romani si affacciarono, per la prima volta, su quelle piste lungo le quali, da secoli, scorreva il commercio dell’ambra e dello stagno. Tuttavia, non si può parlare del grande conquistatore come di uno spirito europeista. A parte le considerazioni personali che lo mossero nelle sue campagne occidentali – prima tra tutte, la volontà di crearsi un alone di leggenda presso il popolo dell’Urbe e garantirsi la fedeltà dei soldati, oltre alla necessità di danaro –, i suoi ideali si nutrivano, maggiormente, di motivi ecumenici, fortemente ispirati ad Alessandro Magno. Quando la morte lo colse per mano dei congiurati, Gaio Giulio Cesare era sul punto di guidare, nel nome non solo di Roma, ma del leggendario Macedone, una gigantesca spedizione contro i Parti. Con ciò, l’equilibrio si sarebbe nuovamente inclinato a Oriente, forse, in maniera irreversibile; e tutto questo senza considerare i possibili e inquietanti sbocchi dei suoi rapporti con Cleopatra [69 a.C.-30 a.C.].
Il vero creatore dell’Europa come comunità effettiva di popoli è un altro: Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto [63 a.C.-14 d.C.]. A differenza dello zio Gaio Giulio Cesare, Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto è un vero uomo dell’Occidente. La sua vittoria contro Marco Antonio [83 a.C.-30 a.C.] e Cleopatra deve essere vista come una sconfitta dell’Oriente. Gaio Giulio Cesare Ottaviano trionfa, reclamando e ottenendo il consensus universorum dell’Italia e delle province dell’Ovest. La sua è, dunque, una vittoria in chiave occidentale. Come conseguenza di ciò, limiterà la sua azione in Oriente allo stretto indispensabile: Protettorato sull’Armenia, accettazione della supremazia romana da parte dei Parti con la restituzione delle insegne e dei prigionieri catturati a Carre. Il motivo ecumenistico dell’Impero Romano, che, nonostante tutto viene adottato anche da Augusto [vale a dire, l’estensione dell’Impero deve coincidere, sia pure in forma differenziata, con il mondo conosciuto], è, concretamente, applicato in Occidente. Se alla Grecia classica si deve l’elaborazione del concetto di Europa [né poteva andare oltre, stante il suo frazionamento politico], con Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto abbiamo il più imponente tentativo di rendere effettivo tale concetto in tutta la sua ampiezza. Nella letteratura latina dell’epoca, anche in poeti, quali Quinto Orazio Flacco [65 a.C.-8 a.C.] e Publio Virgilio Marone [70 a.C.-19 a.C.], la parola Europa ha, ormai, un significato scontato. Si tratta di renderlo operante nell’ambito dell’Impero Universale. Unitamente alle Guerre Greco-Persiane è il secondo importante momento per la civiltà europea. Con il 15 a.C., iniziano le grandi operazioni. La Mesia – attuale Bulgaria Settentrionale – viene organizzata in provincia. I due figliastri di Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, Tiberio Giulio Cesare Augusto [42 a.C.-37 d.C.] e Nerone Claudio Druso Germanico [38 a.C-9 a.C.], con manovra convergente, sottomettono tutti i territori alpini, il Norico, la Rezia e la Vindelicia.
Non era che l’inizio. Dal 12 a.C., i piani dei Romani si rivelano completamente. Assunto il comando del fronte orientale, Tiberio Giulio Cesare Augusto, il futuro Imperatore, avanza dalla costa dalmata fino alla Sava e al Danubio, sottomettendo Dalmati e Pannoni. Questa campagna può, ancora, in un certo senso, ritenersi scontata, poiché il Danubio era, senza dubbio, il migliore confine naturale, cui Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto potesse pensare. Contemporaneamente, tuttavia, avveniva un fatto del tutto nuovo: il suo secondo figliastro, Nerone Claudio Druso Germanico, dopo aver riunito, a Lione, tutti i capi delle tribù galliche, bandiva una vera e propria crociata contro i Germani, avendo a pretesto le loro continue scorrerie. Alla testa di un esercito non numeroso, ma efficiente, passava il Reno con il dichiarato intento di sottomettere la Germania, una terra ancora sconosciuta, fitta di foreste e paludi, ma che il geografo greco Strabone [58 a.C. ca.-23 d.C. ca.] classificherà, di là a poco, come appartenente all’Europa. In tre successive campagne, dal 12 al 9 a.C., Nerone Claudio Druso Germanico sconfigge e, in gran parte, deporta le tribù dei Sicambri, degli Upiseti e dei Tencteri. Costruisce un canale che unisce il braccio settentrionale del Reno all’attuale Zuiderzee, in modo da dimezzare, poi, il tratto di navigazione marittima fino al fiume Ems. Sono sottomessi i Frisoni e i Bructeri. Le legioni romane giungono fino al Weser e, infine, dopo la sconfitta dei Catti e dei Cherusci, viene raggiunto l’Elba. Vuole la tradizione che, sulla riva di questo fiume sia apparsa a Nerone Claudio Druso Germanico una figura di donna gigantesca e di aspetto barbaro, vale a dire bionda e con gli occhi azzurri:
“Dove vai,”,
avrebbe gridato,
“o insaziabile Druso? Il destino ti proibisce di andare oltre, vattene, la fine delle tue imprese è vicina e anche quella della tua vita.”
Lucio Dione Cassio [155 d.C.-dopo il 229 d.C.], Istorie Romane, LV, 1,2
Durante il ritorno, infatti, Nerone Claudio Druso Germanico morrà per una caduta da cavallo. La sua morte, tuttavia, non impedì il prosieguo della conquista. Gneo Domizio Enobarbo [49 a.C.-25 d.C.], prima, e Tiberio Giulio Cesare Augusto, poi, raggiunsero l’Elba, infrangendo, ripetutamente, la resistenza delle tribù indigene. Ormai, la Germania poteva dirsi sottomessa. Ma l’azione romana aveva provocato un vasto rivolgimento di popoli. Numerosi nuclei tribali si erano rifugiati oltre l’Elba; altri, come i Marcomanni, avevano preferito migrare verso l’attuale Boemia. Qui, il loro capo, Maroboduo [35 a.C. ca.-36/37 d.C.] aveva fondato un potentissimo Regno, un vero e proprio Stato concepito con criteri romani. La cosa si spiega con il fatto che proprio Maroboduo era stato allevato e istruito dagli stessi Romani. Anche un altro personaggio cresciuto a Roma, il Germanico Arminio [17/16 a.C.-21 d.C.], Principe della tribù dei Cherusci, aspettava la sua ora. Sembra quasi che l’Impero dei Cesari creasse i propri antagonisti, destinati a frenarne l’espansione.
Maroboduo costituiva un pericolo e la regione che occupava era, strategicamente, troppo importante. Praticamente, si incuneava tra i territori imperiali di Germania e Pannonia. Nell’anno 6 d.C., l’esercito romano muove a tenaglia sull’avversario. Il comandante dell’armata del Reno, Gaio Senzio Saturnino [60 a.C.-12/14 d.C.], avrebbe attaccato da Nord, attraverso la Selva Ercinia; Tiberio Giulio Cesare Augusto, con le truppe del Danubio, sarebbe avanzato da Sud. L’impresa era stata, adeguatamente, preparata sul piano diplomatico e logistico, con l’allestimento di una fitta rete di comunicazioni. Se la spedizione fosse riuscita, tutta l’Europa Centrale sarebbe entrata nell’orbita della civiltà romana e, quindi, della storia dell’Europa, anticipando di un buon numero di secoli l’opera di Carlo Magno [742-814]. Quali fossero le motivazioni di ordine strategico ed economico che muovessero Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, appare chiaro che l’Occidente Europeo costituiva la scelta irreversibile della sua politica. Quello che accadde è storia nota. I Pannoni e i Dalmati, solo apparentemente sottomessi, insorsero alle spalle dei Romani, mettendo in campo 200mila fanti e 9mila cavalieri, perfettamente armati e disciplinati. I loro capi agivano come una classe dirigente con obiettivi ben chiari. La beffa stava, anche qui, nel fatto che era stata la conquista romana, con le sue innovazioni amministrative e militari, a rivoluzionare la mentalità degli Illirici, plasmandola in senso statale e nazionale. Naturalmente, Tiberio Giulio Cesare Augusto dovette sospendere l’offensiva in Boemia e concentrare i suoi sforzi nella Penisola Balcanica, sconvolta dalla guerra. Occorsero tre anni per venirne a capo. Proprio mentre il grande condottiero si apprestava a celebrare il trionfo, giunse la notizia che la Germania era in rivolta e che tre legioni, guidate dal Legato Publio Quintilio Varo [47/46 a.C.-9 d.C.], erano cadute in un agguato a Teutoburgo, venendo distrutte – era il 9 d.C. –. Alfiere dell’insurrezione era quell’Arminio, di cui si è detto. La maggior parte delle tribù germaniche erano al suo fianco. In brevissimo tempo, tutti i frutti della conquista romana andarono perduti: massacrate le guarnigioni, distrutte le installazioni militari, spazzate via le prime impalcature giuridico-amministrative. A Teutoburgo, insieme ai militari, vennero uccisi funzionari civili, compresi numerosi avvocati. Il sogno di conquista era sfumato.
Morto Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, la successiva reazione romana, affidata da Tiberio Giulio Cesare Augusto al nipote Nerone Claudio Druso Germanico, bada più a distruggere e a fiaccare che non a riconquistare. Nel 15 e 16 d.C., le legioni romane raggiungono ancora il Weser; intere tribù sono massacrate; Arminio è, ripetutamente, sconfitto, ma le truppe ripassano il Reno. Solo la fascia costiera germanica rimane, direttamente, sottomessa ai Romani. Altrove, per ragioni di sicurezza, viene attuata una vera e propria politica della terra bruciata. Anche con i suoi rovesci, la scelta europea di Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, non sufficientemente valutata dagli storici, ha avuto ripercussioni enormi. È vero che la decisione di non conquistare, dopo Teutoburgo, il territorio tra l’Elba e il Reno, tolse all’Impero la possibilità di sfruttare la fresca carica di energie, di cui i Germani erano dotati; sui motivi di tale decisione molto resta ancora da discutere. Più in generale, la rinuncia ebbe conseguenze sul morale del mondo romano.
Quando una compagine imperiale con pretese universali viene meno nel proprio slancio espansionistico, iniziandosi a mormorare che l’età delle conquiste è finita, i problemi di ordine interno, che ne derivano, ideologici e materiali, sono immensi.
“Beati i generali di altri tempi!”,
esclama il Legato Gneo Domizio Corbulone [5 d.C. ca-67 d.C.], sotto il Principato di Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico [10 a.C.-54 d.C.]. È un fatto, tuttavia, che la, pur temporanea, avanzata delle legioni fino all’Elba coinvolse la Germania nella storia dell’Europa. Anche dopo la ritirata delle truppe, una buona parte del territorio resta Protettorato Romano, con fecondi scambi culturali ed economici. Lo stesso dicasi per la Boemia. I Galli, d’altra parte, – vengono citati, a esempio, da Tito Livio [59 a.C.-17 d.C.], in occasione della campagna di Nerone Claudio Druso Germanico, due appartenenti alla tribù dei Nervi, Cumstincto e Avestico, che combattono nelle legioni quali Tribuni – sono, ormai, a volte, più Romani degli stessi Italici. Tra i Germani, lo stesso fratello di Arminio, Flavo, è dalla parte dell’Impero; così pure il suocero Segeste. Dopo la morte del vincitore di Teutoburgo, i Re Cherusci e Marcomanni sono romanizzati, con guardie personali fornite dall’Imperatore. Le loro vicende sono episodi della storia europea. Anche lo spirito nazionale che anima la resistenza a Roma – per quanto ne dicano certi storici contemporanei sull’anacronismo di questa espressione – è dovuto a Roma stessa; basta che questa allenti la presa, perché subito si riscatenino le contese tribali. Gli stessi Galli, nell’ultima fase della resistenza a Cesare, avevano dato luogo a un embrione di unità nazionale, trovando la loro guida in Vercingetorige [80 a.C.-46 a.C.]. Si può, tranquillamente, affermare che Roma, non solo, abbia sviluppato, culturalmente e politicamente, l’Europa Occidentale, sia pure con contributi celtici e germanici, ma abbia, anche, posto le basi per le nazionalità europee.
Chiunque, oggi, ricerchi culturalmente – che è, come dire, spiritualmente – una originalità più profonda per una Europa unita, non può non tenere conto di tutto questo.
Copyright © Assunta Daniela Veruschka Zini