“Gesta da sole sono inutili se non servono un ideale più nobile e puro” (Re Artù – Clive Owen)
Il mitico Artù nacque dal re britannico Uther Pendragon e Ingraine della Cornovaglia, che si amarono grazie a un incantesimo del Mago Merlino. La bella Ingraine, però, era già sposata con il duca di Gorlois e questo loro amore fece scoppiare una violenta guerra tra i due rivali, ragion per la quale Merlino decise di far crescere il bambino lontano dal regno, affidandolo a un’umile famiglia sarda.
Raggiunta l’età adulta, Artù, cresciuto nella profonda Barbagia, avvezzo alle faide locali e inconsapevole di essere figlio del re britannico, trascorreva le sue giornate tra un bar e un altro. I suoi passatempi preferiti erano le gare tra paesani che nell’ambiente barbaricino erano all’ordine del giorno. E non solo i barbaricini amavano sfidarsi, ma le sfide erano ogni giorno diverse: si andava da quelle più semplici del rutto libero, dello sputo più lungo o della pisciata più grande a quelle meno fantasiose e più standard del maggior bevitore di filu ‘e ferru o di cannonau. Insomma si divertiva da morire e la finiva sempre col tornare a casa “imbriagu perdiu”.
Ma col passare del tempo anche questi giochi iniziarono ad annoiarlo, anche perché quelle gare, gira e rigira, erano sempre le stesse. Pensa che ti pensa, ecco che gli venne una fantastica idea! Ma certo le armi! Li era pieno di armi di tutti i generi, coltelli, spade, leppe, arresoias, perché non iniziare una nuova era, quella del ferro?
La sera stessa scese al bar di Gavino e preso dall’entusiasmo per la sua scoperta, rivelò ai suoi amici balentes cosa aveva pensato. Inutile dire che l’idea venne accolta da tutti in maniera positiva “e ta cazz” d’altronde non erano più ragazzini, non potevano mica continuare a giocare per sempre…come dei bimbi. Ormai erano uomini e come tali dovevano agire, con le armi come tutti i grandi del paese. La decisione era presa, ora restava solo da stabilire quale gioco e, prima ancora, bisognava allenarsi con le armi, visto che fino a quel giorno nessuno di loro ne aveva mai usato una se non per tagliare il formaggio (da qui il famoso detto “segari casu” che veniva detto ai ragazzini quando si intromettevano nei discorsi tra grandi, come a dire “sei ancora un bimbo e puoi usare la leppa solo per il tagliare il formaggio”).
Mossi dall’entusiasmo salirono in cricca sul monte “Ortobene” e iniziarono ad allenarsi con il lancio della leppa (o arresoia o simile) su una grande roccia che si ergeva li davanti a loro. Essendo tutti alle “prime armi” i lanci finivano ovunque tranne che nella roccia e riuscirono pure a ferirsi tra di loro, tanto erano imbranati. Finché Artù prese e lanciò con tutte le sue forze la sua super leppa che andò a conficcarsi esattamente dentro una fessura della roccia.
Tutti insieme circondarono la roccia ammirando tanta bravura: “Ceeee”, “bette tiru”, “arrori ti tiridi”, furono le esclamazioni di stupore dei compagni che continuarono per ore ad elogiarlo per tanta bravura, o per un colpo di culo.
Artù ancora sconvolto per il suo lancio guardò la sua leppa e disse “esca di li burda”, frase che però i compagni non capirono bene e dal giorno la leppa di Artù fu chiamata Excalibur, la “leppa della roccia”. L’entusiasmo era tale che Artù fu incoronato Re della Barbagia e in seguito, quale premio per tanto coraggio e bravura, sposò Ginetta, la bella del paese. Anche qui la leggenda preferì far passare alla storia la bella con il nome di Ginevra, perché il nome originale era sinonimo di persona un po’ scema e imbranata, cosa che in realtà era pure vero, ma si può forse immaginare una storia di un re incoronato per aver lanciato una leppa e che per giunta sposa una Ginetta?!
Il padre della sposa, non possedendo altri beni, diede quale dote ad Artù La Tavola della propria cucina, luogo dove lui e gli altri balentes junior potessero riunirsi per decidere le sorti dell’isola davanti ad un buon spuntino o “smurzu”. La tavola, infatti, era l’unica cosa che simboleggiava l’uguaglianza e che metteva tutti in pace col mondo, davanti ad un arrogu de casu et una tassa de binu arrubiu, di cussu chi ammanciara sa tassa… nacque un regno fatto di splendore e di serenità.