Erika Polignino
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Una città, Milano; una studentessa di moda, Musette: arte e desideri di vita nel romanzo della scrittrice Erika Polignino. Un racconto che si legge senza pause, in una città metropolitana abitata da figure notturne che si incontrano nelle sale buie di una discoteca. Da li inizia il viaggio della protagonista, della sua amica nel borgo medievale dove troverà se stessa…

Il tuo romanzo affronta il tema della morte, dove i morti appaiono come personaggi reali e concreti. Ma prima di tutto appare la vita, la voglia di vita della protagonista Musette (da cosa nasce il nome?). La voglia di emergere dal mondo piatto che invece vive la sorella, razionale e poco interessata al mondo dell’arte: due caratteri opposti. La morte della creatività è già un anticipo, è una morte prematura. Credi che la situazione di Musette riprenda una situazione generale dei suoi giovani coetanei?

Musette è il nome di una ragazza realmente esistita nella metà dell’800 a Parigi, era una cantante da cafè e prostituta. Era capricciosa e le piaceva indossare abiti fastosi, cercava di frequentare uomini facoltosi per soddisfare i propri desideri. Conobbe artisti decadenti dell’epoca come Baudelaire, lo scrittore Henri Murger che s’ispirò a lei per uno dei personaggi del suo romanzo ‘Scènes de la vie de bohème’ (dal quale Giacomo Puccini s’ispirò per creare la sua opera teatrale ‘La bohème‘) e il famoso fotografo Nadar il quale ci ha lasciato una bella foto-ritratto in cui la ritrae con aria gentile, anche se dietro il suo sorriso si cela la perversità. Stringe una margherita, questo fiore è molto presente nel romanzo Modamorte, è simbolo di caducità. Musette morì annegata nella Senna a soli 25 anni e la sua storia mi aveva così colpita che ho voluta farla ‘rivivere’ ai nostri giorni.

Condivido il tuo giudizio, la morte della creatività è la morte prematura. A causa del moderno stile di vita dove tutto nasce per guadagno e non per scrutare se stessi e il mistero della vita che la natura ci ha donato, anche l’Arte subisce la noncuranza e viene considerata non conforme ai canoni normali dell’odierna esistenza. La sorella di Musette rappresenta, quindi, la mediocrità e l’ignoranza di un vivere non basato sui sentimenti, sulla spontaneità e sulla scoperta dell’interiore ma nell’avere un lavoro ordinario per pagarsi le bollette; se lo scopo della vita di ciascuno si limita solo a questo, è tristissimo. Musette cerca di realizzare il suo sogno di diventare stilista alternativa, s’impegna al massimo nel proprio lavoro creativo, in lei c’è il seme per la nascita di nuove forme d’arte. Ha tanta voglia di vivere e, come la Musette parigina, cerca di soddisfare i propri piaceri. Il romanzo contiene anche pagine erotiche accompagnate da un lirismo sensuale.

I giovani di oggi hanno la stessa passione ed energia di Musette del mio romanzo ma sono vittime della società moderna, dove l’arte viene scoraggiata, a volte addirittura annullata, e contano solo il potere e il denaro. Stiamo ritornando nel Medioevo, dove c’era spazio solo per i privilegiati.

Lo stile di Modamorte, (lo stile gothic), è sicuramente affascinato dalla morte, dai luoghi come i cimiteri, da chi lavora con la morte, dall’arte, dalla letteratura e da tutti quei mestieri che riguardano la creazione artistica. C’è qualcosa di autobiografico nel tuo libro? La città di Milano è una scelta come un’altra o esiste una scena dark o gothic ancora attiva?

Nel libro ho immesso il mio grande amore per l’Arte, di qualsiasi genere e forma. Un’arte che mi apre le porte all’inconscio rendendomi libera da qualsiasi affanno e pensiero negativo. L’arte per me è vita vera, pura, senza macchie, qualcosa che va oltre. Quando mi dedico ad essa mi pare di sfiorare l’infinito o di avvicinarmi a un Dio lontano. Come Musette, ho un carattere malinconico e non sopporto la mediocrità che mi circonda spesso. Sono spontanea e vivo le mie passioni, in questo caso la scrittura, con forte carnalità. Nel romanzo si parla molto dell’amicizia fra ragazze, è un valore in cui credo molto, però può essere un’arma a doppio taglio, specialmente nell’età adulta dove predominano le esperienze personali e la razionalità. Quando si è molto legate a qualcuna, si perdonano sempre i suoi errori, facciamo finta di non notare nulla ma la cosa non può essere protratta troppo a lungo, così facendo il nostro animo si deteriora e l’amicizia diventa superficiale e falsa. O addirittura corrosiva.

Milano è la città in cui sono nata e cresciuta, per questo ho voluto inserirla nel romanzo, inoltre è la città della moda dove molti giungono sin qui per scoprire le ultime novità in fatto di glamour e stile, mi sembrava giusto esaltare questa sua peculiarità che ci distingue nel mondo. La scena dark/gothic nella mia città esiste da più di vent’anni, fortunatamente non solo a Milano c’è questo movimento, è attivo e variegato in tutta Italia anche se non ha molto spazio, il nostro paese non è molto aperto a questo tipo di cultura. Essendo una grande città, Milano ha tanti cimiteri, il più conosciuto è il Monumentale, dove sono sepolti grandi scrittori e attori milanesi, lì si possono scoprire tombe in stile Liberty, Neoclassico e Neogotico, che mi hanno aiutata nella stesura del romanzo. Può sembrare paradossale, ma proprio nella dimora dei morti puoi trovare le motivazioni più forti per capire il nesso tra vita e post-vita. Riflessioni, che i vorticosi e asfissianti luoghi della vita contemporanea, non ti permettono di avere.

Il culto della morte si esercita in molti modi: dalla musica al cibo, dall’arte alla poesia. La tua protagonista sceglie la moda come forma d’arte dedicata ai morti. Esiste una tradizione millenaria che riguarda la vestizione dei morti nel Mediterraneo, sempre affidata alle donne. Musette ha una sua idea particolare della presentazione dei morti: anche loro hanno diritto ad essere vestiti e truccati, ridare in qualche modo un’anima al defunto, un ultimo spiraglio di vita. Qual era la tua idea su questo punto?

La storia di Modamorte non è ambientata solo a Milano ma anche a Corinaldo, uno splendido borgo medioevale delle Marche in cui il culto della morte è, secondo me, più sentito. Uno dei funerali preparati da Musette ha grande successo a Corinaldo poiché l’originalità della vestizione da parte della protagonista fa incuriosire e riflettere gli spettatori non abituati alla vita frenetica del nord. La mia idea era quella di dar un senso di continuità, un prolungamento della vita dove la morte non è altro che una momentanea ‘interruzione’. Sai cosa immagino del defunto appena trapassato? Un’entità che, concluso il viaggio da ‘vivente’, si trova in una strada deserta. Disorientata, l’entità guarda i capi che indossa e trovandoli molto belli si rincuora. Se li sistema con un gesto della mano, si rifà un nodo alla cravatta o si risistema la molletta sui cappelli e poi, totalmente soddisfatta del proprio look, afferra la valigia posta lì accanto e intraprende il nuovo cammino verso luoghi sconosciuti ma pieni di avventure.

Il racconto ha un ritmo incalzante, metropolitano. E’ un racconto che ti tiene sulle spine: c’è un’angoscia latente che viene supportata dalla ricerca estetica continua, estetica anche come estasi in questo caso. Anche i sentimenti devono rispondere ad una precisa esperienza estetica o estatica. Tutto deve essere in sintonia, la protagonista è una ragazza precisa e molto sensibile. C’è rapporto tra la morte e la perfezione, tra l’opera d’arte, intesa come modamorte, e l’idea di estetica della protagonista. Non è un’idea stravagante, nel senso che esiste una precisa tradizione estetica della morte, rituali e immagini che dettano le regole di una morte onorevole o semplicemente dignitosa. Hai preso ispirazione da qualche rituale in particolare o la tua idea è solo qualcosa di personale?

Il nome ‘Amenti’ che ho dato alla famiglia che gestisce l’azienda di pompe funebri a Corinaldo, non è scelto a caso. Per gli antichi egizi, Amenti era la regione dei morti, la necropoli, la sua parola significa ‘occultare’ ‘nascondere’, il sito dove seppellivano i defunti. Amenti è anche il nome di una divinità di carattere spiccatamente funeraria, dove i sacerdoti egizi si rivolgevano a lei nelle invocazioni che compivano sul corpo del defunto. Sì, esiste una tradizione millenaria di rituali sull’estetica della morte, ho letto molto sul culto dei morti nell’antico Egitto, l’imbalsamazione dei corpi e la conservazione in quattro canopi delle parti più importanti e vitali dell’essere umano come il cuore. Ho letto anche sui rituali che facevano nell’antica Grecia e anche sulla vestizione che alcuni paesi dell’oriente effettuavano. Molti non si rendono conto, o forse non vogliono pensarlo, che ai nostri giorni l’estetica della morte è molto presente, forse più di prima. Per il mondo occidentale, la chirurgia estetica non è in fondo una moderna forma di imbalsamazione?

La morte colpisce le persone, e tu parli esattamente di corpi, di esseri umani che quotidianamente vengono preparati alla cerimonia della morte pubblica. Argomento raramente affrontato in un romanzo, sicuramente in molti trattati di antropologia. Cosa pensi della paura, o in certi casi, repulsione nei confronti dell’argomento morte nella nostra cultura?

Sono d’accordo con te sul fatto che sono rari i romanzi che parlano dell’estetica della morte, e credo di essere l’unica in Italia di averne parlato. C’è molto tabù su questo argomento, ad esempio nel nostro paese non abbiamo l’usanza della ‘bara a vista’ come in America, noi tendiamo a nascondere il defunto durante il funerale. Forse per questione di pudore o di religione, non saprei. Nella nostra cultura c’è il rifiuto totale della morte, più passa il tempo e più cerchiamo di annullarla con distrazioni sempre più nuove, strano dato che le nostre chiese sono piene di reliquie, frammenti di arti e di teschi, alcuni davvero raccapriccianti, di santi in bacheche di vetro dove perfino i bambini possono vederle. La morte fa parte della vita, so bene che è il lato tenebroso e inquietante dell’esistenza ma dovremmo affrontare questo discorso con serenità, invece molti rifiutano anche solo di accennarla e preferiscono parlare dell’ultimo telefonino di tendenza. Ho conosciuto diverse persone che volevano sbandierarmi il loro modo di vivere luminoso cercando sempre e solo le cose belle ma che in verità, dietro a questa ipocrita apparenza, si nascondevano il marcio, il disagio e la difficoltà di affrontare i percorsi tortuosi della vita e che per sottrarsi a questo dilemma inseguono cose futili e vaghe. La paura della morte è presente in ogni individuo, è un sentimento naturale eppure c’è una contraddizione anche in questo, ci sono soggetti che cercano emozioni forti praticando attività pericolose ma della morte continuano a non parlarne, assurdo vero? La morte è più sincera della vita, fa parte della natura e, soprattutto, non è ipocrita.

Prossimi progetti editoriali?

Ho finito il mio nuovo e terzo romanzo, si tratta di una fiaba ma non è rivolta solo ai bambini, è una bianca fiaba candidamente nera. L’ho scritta di sera davanti a sguardi di fatine che mi accompagnavano con le loro splendide e magiche ali. L’ho scritta nelle serate di pioggia e di neve. Nelle serate di malinconia e di serenità. Nelle serate in cui esistevano solo le sfere della mia immaginazione.

Modamorte, Mursia editore, Milano

1 thought on “Modamorte, intervista a Erika Polignino

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