Articolo di Liliana Navarra
Non mi stancherò mai di vedere la scena del film Totò Peppino e la malafemmina con i fratelli Caponi al Duomo di Milano, una scena esilarante ma che racchiude nella sua essenza una profonda riflessione sulle diversità linguistiche e culturali che dividono il nostro paese.
Un’Italia che si unificò geograficamente e politicamente nel 1861, ma che ancora oggi trova chi la vuole dividere nuovamente.
La scena dei due fratelli ci fa riflettere soprattutto in questo clima che stiamo vivendo negli ultimi anni di NON-integrazione degli immigrati. Senza incamminarci in sentieri che ci porterebbero sempre sulle stesse riflessioni, sulla questione dei nostri fratelli ‘stranieri’ e senza rientrare in polemica sul timore dell’altro, del diverso, quello che mi piacerebbe qui sottolineare è cosa significa sentirsi “straniero in patria”.
Proprio come Totò e Peppino, quante volte ci è sembrato di essere oltre confine pur trovandoci ancora in territorio italico? Forse non arriveremo mai al punto di chiedere ad un vigile a Milano: “Bittescèn, noyo volevàn savuàr l’indiriss… ja?”, ma forse ci capita spesso di mettere in valigia qualche prelibatezza regionale, proprio come i fratelli Caponi che disfando i bagagli ci mostrano chili di pasta, vino, olio, caciotte, un prosciutto e persino un paio di galline.
Vivendo da vari anni all’estero capisco bene quali possono essere le difficoltà alle quali andiamo incontro sia nel paese ospitante, sia nel paese che lasciamo. Oramai sempre più italiani fuggono all’estero per ‘mancanza di opportunità’, molti dei quali vorrebbero tornare ma spesso non possono o hanno timore di trovare un terreno ostile, sempre più spesso un timore non infondato.
Se ci ricordassimo qualche volta che nella lingua e cultura greca Xenos significa non solo straniero ma anche ospite molto probabilmente l’ostilità sparirebbe.
Forse tutto cominciò con Cicerone e il suo De officiis dove si utilizza il termine hostis, l’estraneo, ma che con il tempo cominciò anche a significare ospite, straniero o nemico. Émile Benviste, linguista francese, chiarifica l’ambiguità e sostiene che lo straniero, hospes, è sempre ospite e nemico, mentre hostis può indicare sia l’uno che l’altro. Non c’è comunque bisogno di dizionari per vedere ciò che accade ogni giorno nel mondo e la XENOfobia, la paura del diverso non solo inteso come straniero, continua a diffondersi a macchia d’olio.
Non dimentichiamoci che anche molti nomi illustri della letteratura e dell’arte, come Rossellini, Pasolini e Virginia Woolf, si sentirono stranieri in patria, sempre incompresi per la loro lungimiranza.
Una frase che sento particolarmente vicina è quella di Virginia Woolf: “Perché io in quanto donna non ho patria. In quanto donna, la mia patria è il mondo intero”.
Dove ci porterà tutto questo? Faceva bene Totò a chiedere “Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?”. No, non era pazzo o ignorante, ma ben consapevole di questo senso di smarrimento che sempre più offusca i nostri animi erranti. Animi che non vogliono essere limitati da frontiere politiche invisibili, che non hanno bisogno di timbri sul passaporto varcando quei portali dai quali si possono trovare tesori inestimabili. E che dire di chi restando in casa propria sente lo stesso smarrimento? Uno smarrimento dovuto ad una caduta di ideali, di speranze, di identità nazionale.
Vorrei concludere rivolgendovi due domande, due riflessioni di due grandi donne della letteratura, l’una ‘italiana’, l’altra ‘straniera’. La prima è Alda Merini: “Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri.”
La seconda è Virginia Woolf: “Cosa significa per me, un’estranea, l’espressione ‘il nostro Paese’?”
E se senza saperlo ci trovassimo in una “Patria senza Patria”?