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All’implacabile avanzata dell’immaterializzazione finanziaria scaturita dallo scenario post-informatico, segue l’immaterializzazione della società: nel frammentario scenario quotidiano anche l’identità umana si smaterializza, diventa pulviscolo, diventa particella.
L’aleatorietà regna sovrana nel secolo del precariato; liquidi, come direbbe Bauman.
Condizione necessaria alla sopravvivenza è l’accettazione della transitorietà
Fugace: non c’è più spazio per tutti, non per intero. Ognuno di noi dovrà condividere e costringere la sua espressione nei 140 caratteri su Twitter.

In the future everyone will be world-famous for 15 minute”.
Questa iconica frase premonitrice di Warhol individua e materializza uno scenario all’epoca futuribile, ora scomodamente attuale: Web 2.0.
Entrate. C’è spazio per tutti!
L’infinito reso fisico attraverso l’essere (1) e il non essere (0).
E tutti noi scegliamo di essere, di esserci, nell’immensa vastità del web. Che sia un blog, un social network, un forum, un commento, un myspace, o magari tutto insieme, ha poca importanza: scindiamo la nostra immagine come in uno specchio e del nostro ego digitale rimangono solo brevi tracce fugaci; il tempo si restringe, si co-stringe.
Vittime della condizione “fast”, abbiamo imparato a particellare, insieme al nostro “spazio”, anche la dimensione del tempo. L’informazione e il mainstream s’impongono e si adeguano, o viceversa.

Negli anni ’70 il fenomeno del Punk sgancia una bomba H e la giunonica poetica DIY (do it yourself) protrae la sua ombra a distanza di decenni; la rivoluzione culturale è stata innescata e i ritmi incalzanti di sviluppo tecnologico le offrono terreno fertile.
La cultura giovanile, non ancora del tutto reazionaria, ne subisce pesantemente l’influsso, sviluppando anticorpi e al contempo parassiti. Figli orfani dello spazio e del tempo, svezzati nella consapevolezza dell’immediato e dell’ubiquo, maturiamo sperduti nel dilagare del nulla – “E il naufragar m’è dolce in questo mare”, diceva Leopardi. In questo smisurato sistema particellare, l’umanesimo si annienta e da tutto questo, l’Arte si è ben guardata di estraniarvisi.

Il panorama artistico “contemporaneo”, può ormai dichiararsi deceduto. Questa accezione che ormai accompagna l’espressione Arte da circa mezzo secolo non è più adatta, non è più attuale, non è più atta a definire in modo concreto lo scenario che si prefigura sotto i nostri occhi: non più contemporaneo.
La distruzione umanistica dell’individuo e la sua riproduzione/prolificazione digitale, assottiglia ed indebolisce la sua intrinseca espressione: abbiamo a disposizione così tante cose da dire e così tanti modi per dirle che non sappiamo da che parte iniziare.
Qualsiasi genere di espressione recente manca di profondità e solidità; i percorsi di ricerca a lungo termine non sono più contemplati; il pensiero articolato e prolungato nel tempo, che si arricchisce e trova il suo sviluppo nel divenire, non è abbastanza rapido per stare al passo con i tempi: tutto si contrae e al contempo tutto si moltiplica. La facilità di reperire strumenti espressivi user-friendly nel web ha dato vita ad una nuova massa di utenti che improvvisamente hanno avuto la possibilità di esprimersi liberamente e di esporsi nella luccicante vetrina del web 2.0.
Sebbene quest’ultimo sia nato con una pretesa “umanista”, proponendosi come nuovo sistema che avrebbe conferito all’individuo un’estrema caratterizzazione e personificazione, è giusto rendersi conto che non è stato del tutto così.

Foto di Andy Warhol
Foto di Andy Warhol

Gli strumenti forniti sono tanti, è vero, tanto quanto i protocolli dai quali siamo vincolati. L’espressione non è libera ma sempre suggellata da bottoni e finestre che ci impongono un certo numero di caratteri, e ci impongono di iscriverci come utenti, in categorie ben definite, che ben poco contemplano le sfumature tipiche dell’essenza umana.
Questo processo ha dato vita ad una proliferazione di materiale espressivo (basti pensare ai blog e Youtube) puramente dispersivo.La proprietà ipertestuale del web, conduce l’utente in una rete infinita di possibilità; la navigazione è fugace, rapida.
Si perdono le tracce di referenzialità autoriale a favore di una sempre maggiore non-autorialità, per di più collettiva; note e citazioni scompaiono; i testi e le opere vengono frammentate e perfino i commenti sono privi di volto e di umane connotazioni. La crociata per l’umanesimo 2.0 può definirsi (ad ora) fallita.
Negli anni ‘60, il panorama dell’arte si avvicina gradualmente al mondo dei mass-media, della cultura popolare, grazie anche al boom economico e lo sviluppo di nuovi sistemi di comunicazione. Assistiamo all’atteso ingresso della fotografia all’interno della cerchia delle arti plastiche dalla quale era sempre stata esclusa. Lo sviluppo dell’interesse degli artisti dei movimenti del Fluxus e dell’Happening nei confronti del video e della televisione permette un’esponenziale influenza tra arte e media.
L’opera d’arte totale sognata da Wagner si va concretizzando e il postmodernismo si propone come ciliegina sulla torta. Il termine, da sempre serbatoio di connotazioni “negative” si fa portavoce del rifiuto estetico del moderno e della rottura con le strutture ideologiche ad esso relative e partoriente di una mescolanza di nuovi stili a-referenziali che trovano terreno fertile di sviluppo nella dilagante cultura economico-popolare.
Assistiamo dunque a un mutamento culturale in rapporto ad un nuovo stadio del capitalismo. L’Arte, riconciliatasi con il mercato, si adegua dando vita a una produzione d’immagini espressiva della logica culturale /consumistica, a una politica culturale di morte autoriale e ad una disgregazione dello stile individuale e di referenzialità culturale.
Nasce una produzione al contempo ibrida e seriale, che allontana la critica D’Arte dalla pretesa di distinzione tra forma alta e bassa, nell’enfasi trascinante delle culture di massa forgiate dai mass media.

Niente paura però, poiché questa perdita viene però compensata dallìincanto illusorio e scintillante della tanto ambita celebrità.
Warhol, Koons, Steinbach, McCollum, Bloom sono solo alcuni degli artisti che provvederanno a partecipare con il loro contributo.
Tuttavia, sebbene la poetica del Punk abbia dato vita ad una serie di pratiche artistiche all’epoca avanguardistiche (remix) accostabili alla svolta post-modernista, alla sua poetica del “recupero” e della messa in discussione dell’autorialità, siamo anche in dovere di riconoscerle l’elevato potere sovversivo, riversato soprattutto nella cultura underground, che ha dato vita alla figura del pirata.
Il Punk difatti si è voluto deliberatamente ribellare alla dittatura del mercato, appropriandosi (anche con la forza) del diritto di libera espressione non vincolato da sistemi produttivi e divulgativi istituzionali.Ha dato vita ad una ricchissima vastità di cultura, contribuendo e promuovendo il lancio e la diffusione di fenomeni che senza l’appoggio di questa politica reazionaria non sarebbero mai sorti. Il Punk si ribella: raggira le dinamiche monopolistiche facendo presa su una coscienza ed una volontà populistica, che ben si discostano dalle volontà che il mercato stesso c’impone e c’induce a far nostre.

Dove sono i nostri pirati dell’Arte?
Sebbene la maggior parte dei fenomeni promossi dalla nuova generazione CyberPunk 2.0 siano legati alle produzioni espressive, questa procedura sovversiva appare marginale e non dilagante come dovrebbe.
E’ ora che l’Arte si riappropri della propria voce, della propria libera espressione, di una nuova po-etica, e che questa venga custodita gelosamente e prepotentemente, e non condivisa né tantomeno subordinata a quellaspietata del mercato consumistico-capitalistico.
E’ ora di sfruttare coscientemente e in modo proficuo tutti i nuovi canali D’espressione proposti dalle tecnologie per promuovere nuovamente un’Arte alta, poiché questa non è merce. Non dovrà più esserlo.

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