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Una delle prime del film scene mostra un giovane architetto, poco avvezzo all’idea di una vita digitale che, costretto dagli eventi del suo lavoro, entra in un negozio di informatica per acquistare una ‘planner’ elettronico, ma viene poi ‘rappreso’ da una commessa che lo incalza a comprare una sorta di ‘scatola’ elettronica, che sembra prendere il nome di ‘personal computer’.

E da quel momento, la vita di questo ragazzo prenderà una piega del tutto inaspettata, diventando una sorta di ‘romanzo elettronico’, poiché, grazie al nuovo computer (che nel film assume il nome di ‘Edgar’), riuscirà a proporsi brillantemente ad una ragazza che gli piace, ma la stessa macchina digitale diventerà il suo ‘rivale’ maggiore in amore, portandolo così a dover ‘battagliare’ contro di lui, per ottenere la fiducia e le grazie della ignara ragazza.

Il film al quale si riferisce questo ‘storyboard’ è del 1984, si chiama ‘Electric dreams’, e si colloca, temporalmente, proprio all’alba dell’imminente prima ‘rivoluzione’ elettronica, ossia nell’epoca del sorgere delle prime industrie di ‘Home computers’ (computers da casa), che si appresteranno a modificare quasi del tutto atteggiamenti e comportamenti dei soggetti umani, fino a diventarne, nella Contemporaneità, quasi insostituibili ‘protesi’.

Inoltre, nello stesso film, entra per la prima volta in gioco l’aspetto puramente elettronico di una vita lavorativa che si incrocia con sentimenti e legame sociale degli individui messi in relazione, e, pur nella ‘phantasie’ ipotizzata di una possibile neo-relazione ‘ibrida’ (il pc che si innamora della ragazza adocchiata dall’architetto, che ‘commissiona’ alla macchina, in una sorta di ‘trascendenza’ sentimentale, la creazione di canzoni per lei, che il giovane in seguito le presenterà, senza però far capire che non sono di suo pugno, e che, nella ‘sfida’ tra lui e la macchina per la ‘conquista’ della giovane, sarà poi costretto ad un finale abbastanza ‘aggressivo’ nei confronti del suo ‘rivale’ elettronico), manifesta i primi ‘sintomi’ di quella che sarà la possibile relazione tra l’Uomo e le macchine digitali, che negli anni che verranno, diverrà sempre più concreta.

E’ anche vero che le ottimistiche previsioni, durante la prima Era digitale, fatte dagli addetti ai lavori, non si sono poi così avverate (quella che veniva definita una ‘friendly interaction’ tra Uomo e macchina, tale da poter senza problemi sostituire l’una all’altro, tranne che in alcuni settori specialistici, non si è così palesata, e quella che i Giapponesi chiamavano, negli anni ’80, la ‘quinta generazione’ di computers, è rimasto piuttosto un’idea, una presa d’Immaginario, mai del tutto approdata ad una dimensione di realtà).

Ma, è innegabile che oggi si possa comunque parlare di una ‘vita digitale’, di un’esistenza che ha via via lasciato il passo ad interazioni a carattere artificiale, che, spesso, sembrano restare le uniche possibile (e, talvolta, molto gradite) tra soggetti umani, che, ricordiamo, seguendo Aristotele, sarebbero sempre dei ‘zoon politikon’ (animali sociali).

Bisognerebbe anche considerare, come ci rammentava già Gilles Deleuze negli anni ’80, che il contraltare del Virtuale, non è il reale, bensì l’Attuale, ossia due forme possibili d’esistenza, coesistenti, ma non sempre in maniera del tutto ‘indolore’, data la ‘traccia’ di sintomi che spesso lasciano dietro di sé, oltre al fatto che nel Virtuale non è così come si crederebbe un insieme di possibilità che proverrebbero dal reale, ma in effetti costitutivi di una nuova ‘identità’ non risolutiva del tutto, ma proponentesi come una nuova ‘mondanizzazione’, nell’ottica di una possibile ‘fluidità’ maggiore, di una maggiore libertà, di una altrettanto auspicabile accoglimento dell’Alterità. Questo almeno nelle proposizioni iniziali, poiché, nella dimensione effettuale, non sempre ciò riesce ad originarsi in tali modalità.

In effetti, la dimensione virtuale si presenta spesso come un eccesso di sostituibilità dell’interazione umana, dello sguardo tra due o più volti, della possibilità di un ascolto diretto, più attento e fluttuante, che, nel farsi trovare mancante, ri-dimensiona la progettualità esistentiva dell’essere umano, talmente, da far sì che ciò che era prima un darsi corporeamente, anche nella semplice parola, oggi si darebbe nel confronto di due o più dita che ‘scivolano’ su una tastiera, coadiuvate eventualmente da un terzo ‘occhio’ (la webcam) che ‘cattura’ lo sguardo (e che si restituisce tramite il monitor, dando una sensazione di ‘spaesamento’ ottico, per il quale io guardo chi mi osserva guardare senza che il mio viso sia direttamente ‘incrociato’ con i suoi occhi, lasciando quindi il gradiente visivo in una sorta di ‘verticalità’, mentre nel guardarsi reciprocamente in viso, nella realtà, si assiste ad un piano orizzontale dello sguardo, che si ‘trasmette’ mentre lo si sta ‘ricevendo’). Uno sguardo che, in quanto ‘oggetto parziale’ (Lacan), si presta nel virtuale, paradossalmente, ad essere ‘totalizzante’ pur nella sua anonimicità, una ‘maschera’ che si fa ‘velo’ del reale dei soggetti interlocutori.

E, a questo punto, cosa è accaduto ai sentimenti, alla ‘dimensione amorosa’ ai tempi del computer? E’ possibile legger(si)e bene all’interno di relazioni che trovano la loro origine nelle ‘zone’ virtuali? La ‘parola piena’ di un discorso inter-soggettivo reale può essere sostituita da una ‘parola digitale’ che così tanto sembrerebbe avere successo nell’universo della mediaticità elettronica? Si sta formando o si è formato un nuovo ‘soggetto amoroso’?

Tali questioni non sono di così facile soluzione, anche se non possono essere non formulate in un’epoca dove l’elevata digitalizzazione della/e comunicazione/i ha, sovente, preso il posto del contatto visuale-corporeo per molti individui, che in tale modo sembrerebbero essersi consacrati a nuove forme anche di sentimentalizzazione. E non è a caso che, per chi si interroga su tali argomenti (psicologi, sociologi, psicoterapeuti, psicoanalisti) si giunge a ‘terreni’ comuni che vengono delimitati dai cosiddetti ‘nuovi sintomi’, dei quali le modalità relazionali contemporanee dell’era digitale sono entrati a far parte prepotentemente.

Alla base di tutto ciò, come primo ‘passo’, si può anche rinvenire una enorme ‘vuoto’, una diffusa solitudine, dove il silenzio spesso sarebbe un’unica possibilità, che non restituirebbe nessun senso (ammesso che se ne dovesse trovare qualcuno) al quotidiano, alla vita conclamata nel suo divenire, silenzio che parrebbe interrompersi, apparentemente, nella comunicazione digitale. La continua ricerca di un legame, di una possibilità di nuovi sentimenti, di neo-esistenze di coppia, che dovrebbero contribuire a ‘sanare’ questo essere solitario impaurito, angosciato dal vuoto, attraverso il ‘medium’ elettronico, parrebbe essere diventata utile e produttiva soprattutto nell’utilizzo di questi strumenti elettronici, di questi ‘universi paralleli’ formatisi negli ultimi 25 anni.

L’amore, quindi, si ‘liquefa’ (Bauman), si ‘ri-solve’ attraverso una rete di contatti virtuali, di ‘ponti’ sintetici, che vanno a permeare quasi ogni singolo soggetto che si trova a farne parte, il quale sente che da qualche parte, nell’iperuranio virtuale, esisterebbe una possibilità di relazionarsi sentimentalmente con un altro soggetto distante, che diventerebbe così il ‘terminale’ produttivo di tale ricerca, probabilmente fallita, parzialmente o definitivamente, nella dimensione dell’Attuale, e quindi un ‘cuore’ di silicio potrebbe restituire una speranza di trovare un cuore reale. L’”uomo senza qualità” descritto da Robert Musil nel suo omonimo romanzo, troverebbe nel Virtuale una possibile dimensione ‘qualitativa’ e solida, fatta di neo-legami, che, laddove, si sfugga all’idea, alquanto perversa, di una ‘parallelizzazione’ degli stessi, fatta di più relazioni/rapporti vissuti contemporaneamente, densi soprattutto di sola ‘jouissance’ (godimento) e ‘mascherati’ di uno scambievole piacere che alla lunga riportano alla situazione originaria di lancinante solitudine, sembrerebbero portare ai soggetti implicati una piacevole realizzazione sentimentale se ‘scavallata’ la mera dimensione dell’Artificiale.

Questo anche perché, il soggetto della Contemporaneità, non crede più alle grandi narrazioni, alle dimensioni ideologiche, ai legami duraturi, ma ‘naviga’, è il caso di dirlo, in ‘mari’ più (apparentemente) aperti, a vista, cogliendo dove è possibile tutte le occasioni di ‘ristoro’ che la mediaticità sembrerebbe offrire ai ‘naviganti’, che stanno dimensionando la loro vita reale lontano da una ormai logora modalità di impegno relazionale, che, nella promessa sentita come fittizia di una vita reale e duratura da passare insieme, pensano di aver scorto un ‘messaggio’ ingannevole che non riesce più ad essere sostenibile, credibile, e quindi, ci si può permettere di ‘sperimentare’ nuove ‘strade’, come quella del Virtuale, che lascerebbero intravedere degli ‘orizzonti epocali’ più ampi e nello stesso tempo meno impegnativi, seppur all’interno di una relazione affettiva che si andrebbe ad originare.

Infatti, una delle principali dicotomie sembrerebbe quella tra ‘innestare’ nei legami il proprio desiderio, tentando di ‘non cedere sul…’ (Lacan) e quindi ‘argomentarlo’ con altri soggetti, ed, invece, essere perennemente preoccupati del ‘solidificarsi’ di questi nuovi incontri, angosciandosi di fronte alla possibilità che essi si ‘condensino’ troppo, tanto da non lasciar più spazio possibile a nuove ‘ricerche’ e a nuovi ‘godimenti’. Quini, una tendenza al continuo disimpegno, al reciproco ‘distacco’, per il quale la dimensione della Rete sembrerebbe essere il migliore dei mondi possibili, in quanto darebbe la possibilità (e l’illusione’ di poter entrare ed uscire continuamente dalle situazione che si vengono a creare, facendo restare tutto in una immensa ‘fluidità’, in uno scenario di libere ‘correnti’, che lambiscono ma non ‘bagnano’ del tutto il soggetto che si ‘tuffa’ dentro.

In questo senso, il mondo virtuale sembra abbia abbondantemente soppiantato la dimensione, pur altrettanto ‘liquida’ e dis-impegnativa, dei single-Bar, delle saune di gruppo, finanche delle vecchie rubriche dei cuori solitari, così tanto presenti verso la fine dell’epoca delle ideologie rivoluzionarie degli anni 60/70 dello scorso secolo, e che erano diventati dei ‘must’ a cavallo dell’epoca dello yuppismo anni ’80 di marca statunitense, e della generazione ‘hi-tech’ dei primi anni ’90.

Tali relazioni virtuali, in una sorta di ‘neo-connessionismo’ affettivo/sentimentale, stanno diventando (o, forse, sono già diventate) il modello al quale si ispirano molti dei soggetti della Contemporaneità, di entrambi i sessi, pur non essendo ancora ben ‘tarata’ la possibile felicità come risultato di tali unioni, dove si è sempre ben disponibili a prendere qualcosa, ma si è altrettanto ben poco disponibili a perderne qualche altra, facendo sì che quando esse dovessero avere termine, apparentemente in modo imprevedibile, i soggetti implicati ‘rispolverino’ la ‘marca’ della rivendicazione di stampo isterico, che caratterizzava maggiormente i loro predecessori del secolo scorso, che si impegnavano con molto più vigore nelle relazioni interpersonali, subendone, però, per più tempo le ‘ricadute’ della fine dei rapporti.

‘Ricadute’ che, però, permettevano anche di trovare uno spazio potenziale per successive elaborazioni di quel dato ‘lutto’ relativo ad un rapporto finito, cosa quasi del tutto assente nel ‘post’ di una storia d’amore finita, in quanto si preferisce lasciare questo tipo di elaborazione dandosi ad uno ‘stordimento’ dato da una continua corsa alla presenza costante negli appositi ‘divertimentifici’ di massa (mega-discoteche, locali iper-tecnologici, etc.), al circondarsi di ‘oggetti-gadgets’ (Recalcati) con i quali continuare a restare ‘connessi’ a quella virtualità che magari è stata anche foriera di delusioni, dalla frequentazione di ‘isole del benessere’ dove poter usufruire di tutte le nuove ‘tecniche’ di ‘wellness’ che permetterebbero di essere ‘risarciti’ del ‘danno’ subito dall’intensità psichica e corporea della rottura di un legame affettivo, da sempre più lontane ed esotiche mete turistiche, nonché da partecipazioni a crociere ‘all-inclusive’ dove perfino il divertimento è, obbligatoriamente, ‘indirizzato’.

Tutto ciò, dicevamo sopra, nasce da un utilizzo massiccio dei pc, della Rete, del Web, senza soluzione di continuità, in un gigantesco ‘mare magnum’ di (presunte) opportunità di conoscenza inter-personale, utilizzando strumenti quali il ‘web-camming’, i blogs divisi per settori di interesse personale (come nel caso dei cosiddetti ‘food-blogger’, ossia di nuovi ‘expertisers’ dell’epoca iper-moderna, che ‘parcellizzano’ l’alimentazione cercando di rinvenire nuovi gusti, nuove ‘esoterie’, composte da un mix di internazionalismo, di ‘copy and paste’ fatto da siti di professionisti e/o da menù di ristoranti, di ‘cultura’ alimentare molto ‘trendy’, restituendo l’idea che se ad una cena cosiddetta ‘romantica’ non si siano fatte precedentemente una serie di ‘manovre’ culinarie ben definite, la possibile relazione in fieri potrebbe, addirittura, non avere ‘origine’), ed infine i social-networks, che contribuirebbero ad avvicinare soggetti lontani e mai visti prima, che, tutto ad un tratto, sembrerebbero diventare ‘amici’ dei quali davvero non se ne può fare a meno, mentre coloro che si sono conosciuti, negli anni, nella dimensione dell’Attuale andrebbero a sparire, poiché non più sufficientemente adatti ad una ‘conversazione’ a tutto campo.

La sensazione che se ne ricaverebbe, allora, sarebbe quella di un vero e proprio ‘oscuramento’ di hobby ed interessi mantenuti nella quotidianità reale, laddove gli stessi andrebbero ad essere trasferiti nel mondo della Sinteticità, generando così, a loro volta, quelle ‘connessioni’, anche di carattere sentimentale, che si pensa di non poter trovare più nelle ‘normali’ frequentazioni ‘vis-a-vis’, ormai, per tale pensiero, logore e poco attraenti; anche perché, in fondo, nel Virtuale, fino a quando non si palesi la possibilità di un incontro reale, si può (tentare di) essere ‘altro’ da sé, modificando la propria identità soggettiva in svariati modi (per esempio, nascondendo la propria vera attività professionale, iscrivendosi in Rete con un ‘nick-name’; Es.: Mario Rossi che diventa “El Cyd”, o Luisa Verdi che si tramuta in “Lady Stardust”), lasciando far credere che molti argomenti discussi ai quali si partecipa come interlocutore, siano davvero ciò del quale ci si interessa anche nella vita quotidiana); quindi, ‘maschere’ che attirano altre ‘maschere’, nella dimensione puramente illusoria, gravida di Immaginario, che l’altro possa essere davvero ciò che dice, seppur questo non valga per se stessi se ‘mascherati’, una sorta di ‘affidamento’ virtuale, di ‘cambiale’ fiduciaria che lascia trasparire, tra le righe, l’immensa necessità di essere ri-conosciuti, ri-considerati, anche, e, forse, soprattutto, da un altri soggetti sconosciuti, che restituirebbero quindi con il loro ‘interesse’ virtuale, una novella possibilità esistentiva a chi sentirebbe la sua non propriamente calzante e/o soddisfacente.

E, dal punto di vista di vere e proprie relazioni affettive che andrebbero a sorgere, questo diventa uno dei ‘segni’ cruciali: essere amati e considerati per quel che si desidererebbe essere, e non per quel che realmente si è, costruendosi una nuova ‘narrazione di sé, che, in una dimensione sottilmente patologica, andrebbe davvero a prendere il posto della propria identità soggettiva vissuta nell’Attuale.

Infatti, si assiste spesso a dei veri e propri ‘investimenti libidici’, ossia ad un transfert amoroso molto forte, anche se l’oggetto di questo sentimento, non è neanche conosciuto e/o visibile; questo accade perché l’immagine aleatoria dell’altro riesce ad ‘accendere’ delle potenti passioni, anche in mancanza di un riferimento, per così dire, ‘tridimensionale’, di una presenza corporea visibile così come accade nelle realtà quotidiana. E stessa cosa accade per tutto ciò che si palesa come ‘parola’, in quanto, eliminando quasi del tutto un altro ‘oggetto parziale’ secondo Lacan, ossia la voce, si resta ‘imprigionati’ nella alterità di un codice linguistico molto più denso, che può spaziare con perifrasi diverse, con tonalità emotive più accese, che ‘catturano’ il proprio Ideale dell’Io, e lo ‘distendono’ nella relazione virtuale al posto di un volto, di una mimica facciale, di una vocalità che non appare, fino a quando non si passa al contatto via web-cam, e, quindi, ad un contatto che acquista il sapore di una realtà meno accennata, e più ‘consistente’.

Allora, da quel momento in poi i soggetti implicati, superata l’empasse di una loro narrazione immaginaria di se stessi (fintanto che ciò che si erano raccontati fino ad allora non sia stato del tutto irreale, e completamente distaccato dalla propria identità condivisa nel reale) potranno ‘tessere’ la loro ‘tela’ relazionale in una modalità maggiormente aderente alla realtà, con la quale possono ‘flirtare’ (nel doppio senso di ‘amoreggiare’, e di gradire la situazione virtuale), e, se rinverranno una ‘garanzia’ sufficientemente reciproca, potranno passare all’atto di una vera conoscenza de visu.

Quindi, lo schermo che prima si palesava come uno specchio in cui si rifletteva il proprio sé virtuale, viene bypassato dalla possibilità di un incontro nell’alterità dell’Attuale, lasciando così fuori dalla possibile relazione qualsiasi ‘fantasma’ immaginario, relativo al precedente status virtuale, e così si può tentare di mettersi in gioco con il proprio reale desiderio, e con la propria ‘mancanza ad essere’ (Lacan) (che, invece, se continuata ad essere ‘gestita’ immaginariamente nel Virtuale, rischia di reiterarsi come ‘mancanza della mancanza’, e quindi con una ‘plenitudine’ di significanti a-simbolici, che non riuscirebbero mai a rimandare all’altro la sincera immagine di sé, le proprie debolezze, i propri ‘residui’ di godimento, il proprio desiderio che non ha ‘ceduto’).

Da tutto ciò, si potrebbe evincere allora la nascita di una possibile esistenza di un neonato ‘soggetto amoroso’ della Contemporaneità, che distribuirebbe nuove assegnazioni di ‘identità’ al significante ‘amore’, ossia, un rinvenimento in tale termine di più e diversificate esperienze della relazione affettiva, non più legate ad una dimensione (possibile) ultimativa del proprio sentire amoroso, ma di una reiterazione ‘ad libitum’ di tali esperienze, slegate da un desiderio di consolidamento del vincolo affettivo, poiché tale significante ‘consegnerebbe’ la dimensione di uno standard qualitativo meno impegnativo, e quindi, di un possibile apertura alla molteplicità di tale sentimento, distaccatosi oramai da una parola definitiva sulla propria dimensione amorosa.

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