La vedova scalza
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Articolo di Fata Jana

Coltivarla come un albero, dargli tempo, dedicargli preghiere.
La vendetta di Mintonia è così che viene allevata.
Quando l’amore della sua vita, il suo Micheddu, viene ucciso e macellato con sfregio lei sa che non potrà fare a meno della vendetta.

Anche i santi avrebbero potuto uccidere per un’offesa come quella che avevano fatto a me.” E’ questo pensiero che rende la strada della vendetta più percorribile. Una specie di anticipazione del giudizio divino applicata in terra. Essere strumento di giustizia.

Dopo un’amore nato troppo presto, e consumato ancora più velocemente, Mintonia e Micheddu sembrano essere l’eccezione di tutte quelle teorie che vengono loro scagliate in limba, a metterli quasi in allerta: gli amori giovani presto si spengono e le donne presto impegnate finiscono per essere delle vecchie sole.

Ma a Mintonia della vecchiaia non importa nulla. Lei vuole solo il suo Micheddu. Ma la vita è davvero, a volte, troppo prevedibile. Micheddu finisce per diventare bandito e per andare a scomodare poteri che non vogliono essere scomodati. E così la fine del loro amore e l’inizio della storia coincidono, con Micheddu ucciso e portato a Mintonia, che lava il suo corpo così come prepara la sua vendetta. Con calma, meticolosamente, piena di amore e di odio.

La vendetta poteva aspettare, l’avrei tirata su per un po’ insieme a Daliu, forte come una quercia, annaffiandola con la rabbia di tutti i santi giorni. L’avrei nutrita col dolore, temprata col fuoco dell’odio.” E così sarà, con un odio e una pazienza che si fermeranno solamente di fronte al visetto di un bimbo, frutto del tradimento di Micheddu stesso. Ché gettare le colpe degli adulti sui bambini sarebbe cosa mala, un odio non giustificato.

Ed ecco che la vendetta, l’odio, hanno di nuovo delle regole. E ancora di più si inseriscono nella vita di ogni giorno, nelle pieghe di ciò che si fa e non si fa, come una normalissima gestione della vita. E nuovamente le regole di una società che mal sopporta la Giustizia amministrata dall’alto si scontrano con quelle, appunto, delle regole scritte, delle indagini e dei verbali.

Una giustizia parallela che non ammette sconti, una giustizia del “dente per dente”.

E’ con quest’idea di atto dovuto che il dolore della donna si mantiene vivo e con il quale riesce a farsi compagnia e pazientare.

Mintonia è l’immagine della donna forte che nonostante sia stata strapazzata dalla vita riesce a mantenere una calma apparente almeno fino a quando l’assassino di suo marito non avrà visto la morte per mano sua.

Salvatore Niffoi riesce a portarci dentro i pensieri di questa femmina malasortata, perfettamente inserita nella Barbagia fra le due guerre, dove balentia e fascismo si scontrano e si mescolano. Dove la giustizia e la vendetta non hanno confini ben chiari.

In questo contesto è difficile giudicare i gesti, i pensieri. Nessuno si salva, nessuno è innocente, nemmeno la vittima. Tantomeno la vittima. Bandito e traditore lui stesso. Eppure all’interno di una terra regolata da leggi non scritte ma eseguite, la vendetta sembra avere un significato. Se non fosse per quel senso di vuoto che rimane a vendetta compiuta.

Eseguita come dovere, come atto finale per poter ricominciare a vivere, ma che non apporta gioia o soddisfazione. L’atto che si compie così come si compiono i compiti assegnati, come la parte di un attore che va in scena, freddamente, quasi in modo distaccato.

E deve rendersene conto la protagonista stessa se decide, prima di morire, di scrivere la sua storia e di trasmetterla ad una nipote. Perché se la sua storia morisse con lei, a nulla sarebbe servita viverla. Ed è così che la vendetta, atto così terribile e forte si ridimensiona ancora se posto all’interno di una vita. Una vita la cui fine potrebbe cancellare tutto, ponendo la vendetta stessa alla pari con tutti gli atti vissuti, come l’amore, i figli, le quotidiane preoccupazioni, e di lei non resterebbe traccia così come di tutto il resto, se almeno non si tentasse di trasmettere la testimonianza ad altri.

Ecco che la scrittura diventa atto ancora più forte della morte (procurata o subìta), la testimonianza è l’unico gesto capace di dare valore alla vendetta, di porla entro confini che possano giustificarla e quasi sbiadirla a rango di atto dovuto, a mero processo di “livellamento” di posizioni. Mintonia si vendica e fugge dal paese senza che si sappia (ma sarà poi così, in un luogo dove ogni gesto ha un significato e ogni morte una mano?) ma poi sente la necessità di scrivere tutto ciò che la vita le ha dato da vivere, lo racconta e non fa domande, non chiede assoluzioni.

Si intuisce così che la vendetta non era l’assassinio, ma il racconto. Il mettere le carte in tavola, spiegare come e chi. Rendere ad ogni persona il suo posto, e ai gesti il proprio padrone.

La vendetta, quindi è la scrittura.

Senza di essa il gesto potrebbe non essere esistito mai.

La vedova scalza – Salvatore Niffoi, Adelphi 2006

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