Ci sono sempre molte ragioni possibili per pensare al futuro, ce ne sono in particolare in questi ultimi mesi. Le rivolte di alcuni paesi della sponda sud del Mediterraneo, ad esempio, ci costringono a pensare il futuro in modo diverso, ci riconosciamo all’improvviso vicini di casa di tunisini, libici o egiziani. Quando pensiamo al futuro europeo o più semplicemente italiano, non si può non tenere conto della realtà mediterranea. Sia per lo sviluppo economico di alcuni paesi come la Turchia, (modello interessante di mescolanza produttiva fra tradizione e innovazione, tra religione e laicità), sia per la necessaria cooperazione con tutta la sponda sud.
Il futuro per chi abita in questa zona del mondo dovrà essere comunitario, e globale. Non ci sono alternative, immaginare qualsiasi nazione autosufficiente è semplicemente impossibile. Questo discorso può valere in qualsiasi parte del mondo. Ma il futuro di questa parte del mondo sarà necessariamente condizionato dagli avvenimenti africani, arriveranno in Europa masse di ragazzi che avranno fame di vita, che hanno fame di libertà. Questa spinta forte verso il futuro la dovremmo prendere ad esempio, l’entusiasmo verso la partecipazione, l’invenzione della socialità virtuale (che poi diventa reale), la possibilità di costruire un percorso in totale libertà.
E’ un tema universale, che riguarda allo stesso modo chi non ha ancora vent’anni o chi ne ha sessanta. Questo in particolare è un periodo in cui si spera molto nel futuro, non si crede ma si spera. La fiducia è a livelli molto bassi, il presente non ci permette molte strade per progettare un futuro possibile, pianificare una vita “normale”. Certamente il futuro, la speranza sul futuro, dipende anche dalla situazione economica personale, nazionale e infine mondiale. Ma non è solo la crisi ad uccidere il futuro. C’è una certa insicurezza di fondo che non permette la propensione al rischio ad esempio, sia nel campo economico che personale. Si cercano strade sicure in un mondo che ha certezze solo nei “piani alti”, la politica o la religione non creano visioni a lungo termine. Si vive alla giornata, e si rinuncia ad immaginare la nostra vita. Stiamo rinunciando, anno dopo anno, a costruire la nostra storia personale. Vuol dire rinunciare alla parte più nobile della persona, vuol dire accontentarsi di un continuo presente, di un continuo arrangiare situazioni di emergenza. Certo la situazione generale, anche a livello politico, non aiuta il singolo che deve fare delle scelte.
La chiave per superare la fossa dove è finita la cultura occidentale, potrebbe essere la rete. Immaginare una consultazione per cambiare la costituzione via internet sembrava fantascienza prima dell’esempio islandese. Ormai una certa parte di futuro è già su quella strada, la politica sarà sempre di più costruita in rete e finalmente, forse, si finirà di fare la ricerca di voti e di consensi nei modi indecenti a cui siamo stati abituati fino ad oggi.
Ma il futuro è per sua natura ignoto. Non è detto che sarà peggiore, potrebbe anche migliorare. Non credo abbiamo più bisogno di un messia che porti la verità, non abbiamo certo bisogno dell’“uomo nuovo”, di immaginare una nuova umanità ricalcando le orme delle grandi ideologie politiche e religiose del secolo scorso. Il futuro nasce dal basso, dalla cooperazione, riprendendo l’esempio della primavera araba. I risultati poi si vedranno negli anni, ma la rete in ogni caso ha permesso tutto questo.
Per parlare di futuro bisogna cominciare dal passato, come la nostra Daniela Zini, che ha creato un parallelo tra l’antica Persia di Ciro il grande e il sogno dell’unione tra le terre…
Il concetto di futuro, indagato dal di dentro nella sua natura filosofica, nel toccante pezzo di Carmen Bilotta. Un viaggio immaginario nel cyberspazio ad opera della nuova redattrice Giuliana Abate. Un’attenzione particolare alle donne, al futuro delle lavoratrici. Un pensiero necessario, scritto molto bene nel pezzo di Sara Palmas Pari responsabilità: il futuro (auspicabile) delle lavoratrici italiane. La speranza nella pace come unico futuro possibile nel pezzo di Francesca Violante Rosso. L’ansia del futuro, una pre-disposizione psicologica che cambia la nostra vita, le nostre scelte personali, nel bel pezzo di Claudio Basile. Il futuro dell’ambiente descritto molto bene dal nostro nuovo mediterraneo Mauro Steri. L’economia internazionale come finirà? Nelle mani di un sistema che sta per implodere, nel pezzo di Milena Fadda.
Liliana Navarra ci riporta all’idea di futuro che avevano all’inizio del secolo scorso, nella recensione perfetta di Metropolis, film magistrale di Friz Lang. E ancora l’arte del futuro con Maria Grazia Sussarellu, un esempio di immaginario, dove il reale supera il fantastico. Di cinema ne parla in modo importante Cristina Giudice, che ci parla di futuro attraverso i lavori presentati al Medfilm Festival di Roma. Adriana De Angelis è una storica dell’arte che ci regala sempre bellissimi pezzi, in questo caso non si smentisce e presenta una serie di artisti del secolo scorso che descrivevano l’architettura del futuro. Diamo il benvenuto anche a Barbara Picci che ci scrive due fantastici articoli, due racconti di come lei ha immaginato il futuro in Una tranquilla domenica di paura e La rete vi traccia. Musica e futuro, binomio presentato con maestria da Fabio Ciminiera nel pezzo La musica tra vent’anni.
Non potevamo non fare una previsione del futuro dell’Egitto, sulle elezioni e sul futuro assetto governativo. Il pezzo della nostra nuova redattrice Simona Campidano, corrispondente dal Cairo, ci descrive possibili scenari, che la realtà di tutti i giorni rischia di cambiare notevolmente.
Un pezzo molto importante quello di Sara Bellucci, che descrive la Turchia, tra passato e futuro. Il paese più interessante in questi anni per sviluppo economico e sociale, quello che più si avvicina all’Europa e quello che più se ne allontana per la negazione, ancora oggi dei diritti civili alla popolazione curda. Negare la storia scomoda è stata una prerogativa di tanti paesi europei, Italia e Spagna, ma anche Francia o Portogallo. Il futuro sicuramente passa dal superamento degli errori ed orrori del passato. Il futuro non è la nostalgia del passato, come scrive benissimo Branka Kurtz nel suo I’m not interested in unchanging past.
Ci siamo divertiti ad immaginare per questo fine d’anno e per il prossimo, quante possano essere le possibilità di futuro. Immaginare come viaggeremo, come sarà la nostra socialità, come mangeremo, come faremo acquisti, come lavoreremo, come leggeremo e studieremo, come sarà l’ambiente, come ci vestiremo, dove abiteremo. Ci sarà ancora la musica, il teatro, il cinema, la letteratura?
Domande che giriamo ai lettori di mediterranea, augurandovi buone feste e un meraviglioso nuovo anno.
Buona lettura