“Ogni elemento, non importa la provenienza, può servire a creare nuove combinazioni. Tutto può servire. Non c’è bisogno di dire che si può non soltanto correggere un’opera o integrare frammenti diversi di vecchie opere in una nuova; si può anche alterare il senso di questi frammenti e modificare a piacimento ciò che gli imbecilli si ostinano a definire citazioni”.
G. Debord
Citare il saggio di Nicolas Bourriaud “Postproduction” sembra doveroso, utile nella comprensione, affatto semplice, sul presente e futuro dell’arte contemporanea. L’arte già da qualche ventennio non si pone nei termini: “Che fare di nuovo?”, ma bensì su “Cosa fare con quello che abbiamo già”. La ricerca della singolarità dell’originale viene cercata su ciò che gli artisti nel corso del tempo hanno lasciato. Infatti sempre più artisti riproducono, interpretano e ripropongono opere d’arte realizzate da altri.
Sembra ormai certo quindi, che ci avviamo a favore di un comunismo delle forme, ove tutti avranno accesso. L’opera contemporanea non è più il punto terminale di un processo artistico, ma un portale dove navigare, non più oggetto da fabbricare ma da scegliere tra quelli esistenti. I concetti di orgine e creazione svaniscono nel panorama culturale dominato da figure nuove come il DJ e il programmatore, entrambi infatti utilizzano oggetti che selezionano e includono in nuovi contesti. La nuova cultura dell’appropriazione tende ad abolire il diritto di proprietà delle forme e favorire un’arte detta ” della postproduzione”. Considerando tutto ciò, non dovremmo più storcere il naso davanti all’opera di John Armleder, che manipola oggetti della produzione di massa: segnali di stile, opere d’arte, mobili.
Ormai si tratta di dare un valore positivo al remake, di articolarne gli usi, di mettere in relazione delle forme, piuttosto che imbarcarsi nell’eroica ricerca dell’inedito e del sublime, che ha caratterizzato il modernismo. Un esempio è l’opera Jorge Pardo, che realizza “Pier” a Munster nel 1997. Costruisce un oggetto apparentemente funzionale, una pensilina di legno, ma la sua funzione in questo caso resta sconosciuta. Per quanto Pardo metta in scena strutture quotidiane, utensili, mobili, lampade, non assegna a questi oggetti delle funzioni precise. È probabile che questi oggetti non servano a niente. Cosa farsene di una cabina aperta alla fine di una pensilina? Per fumarsi una sigaretta, come ci invita a fare il distributore automatico su una delle sue pareti? Il visitatore dovrà inventarsi delle funzioni o scovarle tra il suo repertorio di comportamenti. Jorge Pardo prende dalla realtà sociale un insieme di strutture utilitarie che riprogramma nuovamente.
Ancora l’opera di Matthieu Laurette, che consiste nel farsi rimborsare i prodotti che consuma utilizzando sistematicamente i coupon (“soddisfatti o rimborsati “), egli infatti si intromette nelle fessure del sistema promozionale. Gioca con le forme dell’economia come se si trattasse delle linee e dei colori di un quadro. Curioso il lavoro dell’artista Wang Du che spesso dichiara: ” Anch’io voglio essere un media, voglio essere un giornalista dopo il giornalista”. L’artista realizza infatti sculture a partire da immagini diffuse dai media, le incornicia oppure riproduce fedelmente in tridimensione. Produzioni geniali, perché riescono a dare peso alle immagini furtive di cui spesso siamo bombardati. Restituisce peso agli avvenimenti.
Questi sono degli esempi di come gli artisti della post-produzione ci propongono scenari alternativi e narrativi. La nostra società è strutturata da narrazioni, scenari materiali e immateriali e noi viviamo all’interno di esse. Gli artisti producono singolari spazi narrativi dei quali l’opera è la messinscena. Impareremo ad abitare anche la cultura globale, ad accettare l’arte nelle svariate forme, e nelle sue pratiche, come quella dell’archiviazione di dati. Paradossalmente grazie al sistema museale e agli apparati storici, al bisogno di prodotti e di ambienti nuovi, il mondo occidentale ha finito per riconoscere come culture, e riconoscere come arte, ciò che una volta era considerato primitivo o folcloristico. Insomma, nel prossimo futuro la figura dell’artista sarà quella di un “nomade”, che frequenta ogni epoca e stile. L’unico modo per farlo secondo Bourriaud è l’arte della postproduzione, che permetterà di sopravvivere al caos della cultura globale nell’era dell’informazione.
Fonti, Postproduction 2002, Nicolas Bourriaud