L’identità di un popolo, come dell’intera umanità, è definita dalla sua evoluzione, nel corso degli eventi che ne formano la Storia.
Conosciamo la Storia attraverso i documenti lasciati da chi ci ha preceduto, ma soprattutto grazie al lavoro degli archeologi, che possono studiare anche eventi tralasciati dagli storici, o più antichi della scrittura.
La percezione comune della professione di un archeologo, a parte personaggi più simili a supereroi che a scienziati, è molto simile a quella di un moderno Schliemann, qualcuno che studia degli indizi, scava un buco da qualche parte, e scopre favolosi tesori, che spesso consistono in mucchi di cocci.
La realtà è quella di scienziati che passano la maggior parte del tempo a datare e studiare la provenienza di reperti estratti da scavi sistematici, che al di là del valore “antiquario” forniscono indicazioni preziose sugli stili di vita delle antiche civiltà, e dei cambiamenti che ne hanno influenzato l’evoluzione, e che ancora potrebbero verificarsi.
Ma anche in questa realtà, l’archeologo classico, che costruisce le sue tesi studiando i reperti trovati sul terreno, è una figura destinata a cambiare. Nuove discipline, e nuove tecnologie, sono usate sempre più spesso per affrontare problemi che il semplice studio dei ritrovamenti non riesce a risolvere. La genetica è uno dei più noti, ma anche le mappature satellitari, la fotografia digitale, l’uso di modelli matematici e di simulazioni al computer, stanno rivoluzionando già da tempo l’Archeologia.
Uno degli enigmi della Storia riguarda il modo in cui la cosiddetta “Rivoluzione del Neolitico”, ovvero il passaggio da piccole popolazioni nomadi di cacciatori-raccoglitori a comunità stanziali di agricoltori-allevatori, dalla “Mezzaluna Fertile”, in Medio Oriente, si sia diffusa in Europa. Per cercare la soluzione a questo problema, un gruppo di ricercatori di varie Università Europee ha varato un nuovo progetto, chiamato B.E.A.N.: “Bridging the European and Anatolian Neolithics”. Non si tratta di un’intrepida spedizione per scavare in aree inesplorate, ma di un gruppo di lavoro che si fonda su qualcosa ancora più innovativo delle nuove tecnologie: l’interdisciplinarità.
L’Anatolia, la parte asiatica della moderna Turchia, è da sempre il ponte naturale tra l’Asia e l’Europa: molti dei siti neolitici più antichi si trovano qui, e molti indizi portano a credere che da qui le tecnologie alla base della Rivoluzione del Neolitico siano passate in Europa.
E in Turchia, a Izmir, c’è uno dei partner associati del progetto B.E.A.N.: la dottoressa Çiler Çilingiroglu, che insegna al Dipartimento di Proto-Storia della Ege Universitesi, è specializzata nella Preistoria dell’Egeo, particolarmente del Neolitico. Dal 2009 è Assistente Direttore degli scavi del sito neolitico di Ulucak Höyük (Izmir), uno dei siti convolti nel Progetto. “E’ un progetto nuovo in ogni senso”, spiega “sia perché è nelle fasi iniziali, sia perché il suo obiettivo è non tanto l’analisi dei dati ricavati dagli scavi, ma la formazione di una nuova generazione di studiosi, che possano muoversi con disinvoltura attraverso le diverse discipline scientifiche che verranno usate per studiare i dati”
Il progetto nasce dalle ricerche genetiche sui resti umani e animali ritrovati negli scavi archeologici tra Turchia e Balcani. Da tempo ormai l’Archeologia da sola non riesce a trovare una risposta al problema del passaggio delle tecnologie neolitiche in Europa.
“Come archeologi, ci poniamo delle domande a cui la nostra stessa disciplina non è in grado di rispondere: magari, nello stesso momento lo studioso di un altra scienza ha i mezzi per la risposta, ma non conosce la domanda. Le ricerche sul DNA hanno gettato nuova luce sui ritrovamenti e sulla storia dell’evoluzione in quel periodo, ma la Genetica da sola non può dirci niente sulla Cultura di una popolazione. Il professor Joachim Burger, dell’Università di Mainz, in Germania, antropologo e genetista, ha lavorato a lungo sul DNA animale e umano ritrovato negli scavi della fine del Paleolitico e inizio del Neolitico in Turchia e nei Balcani. Ha formato un gruppo di ricercatori specializzati nelle varie discipline, provenienti da otto Istituti diversi, in otto paesi diversi, per formare una rete di ricerca che possa scambiarsi le informazioni e incrociare i dati ricavati. Adesso il professor Burger è il Direttore del Progetto B.E.A.N.” I dati paleogenetici verranno ricavati dai reperti organici, e usati per verificare le ipotesi di studio.
“Ad esempio, il lavoro di due dottorandi sul DNA delle ossa di animali rinvenute a Ulucak, ha provato che erano di razze originarie delle regioni Mediorientali: è stato molto importante scoprire che non erano presenti razze domestiche di origine locale. Non abbiamo ancora campioni di DNA umano da Ulucak perché, sorprendentemente, non abbiamo trovato resti umani. Forse i morti venivano sepolti fuori dall’insediamento, ma è comunque atipico per il Neolitico, quando i morti spesso venivano sepolti sotto i pavimenti della case, o comunque all’interno dei villaggi.”
Per fortuna, quello di Ulucak è un caso particolare. Ad Aktopraklik (Bursa), sono stati ritrovati molti scheletri, che forniranno materiale genetico per la ricerca, ed anche a Çukuriçi Höyük, vicino ad Efeso, un altro degli scavi coinvolti nel progetto. “Oltre al DNA, possiamo ricavare molte informazioni dalle ossa umane: la demografia, le abitudini alimentari, lo stato di salute. Tutti questi dati potranno essere valutati nel loro insieme.”
Non è prevista la raccolta di campioni genetici sulle popolazioni moderne dell’area in esame, perché c’è già abbondanza di dati a disposizione, ma la Dottoressa Çilingiroglu mette in guardia sui pericoli di un approccio basato esclusivamente sullo studio del patrimonio genetico moderno.
“Può essere molto problematico basarsi sul DNA delle popolazioni attuali per ipotizzare i percorsi di migrazioni di un dato periodo storico. La diffusione di un marcatore genetico può indicare antichi movimenti di popolazioni, ma non quando siano avvenute. La genetica da sola non è in grado di datare questi cambiamenti”.
Il Progetto B.E.A.N. riunisce tre discipline diverse: l’Archeologia, con i risultati delle indagini sul terreno e i ritrovamenti negli scavi, la Genetica, con le ricerche sul DNA ricavato dai reperti archeologici, e la Programmazione Informatica, con modelli matematici per simulazioni al computer che aiuteranno a coordinare i dati raccolti e a verificare le diverse ipotesi.
Il Progetto è partito il 1 Febbraio 2012, e durerà 48 mesi: culminerà in un congresso ad Antalya, e nella pubblicazione di un libro a cura della Springer Verlag. Ogni anno, uno o due workshop coinvolgeranno tutti i soggetti partecipanti: a luglio di quest’anno, si terrà il primo di questi, all’università di Belgrado, seguito da sopralluoghi sui siti dell’Anatolia Occidentale. Intanto, partiranno i progetti dei dottorati.
Otto ricercatori, nell’ambito di altrettanti dottorati di ricerca, prepareranno le loro tesi per il Progetto, ruotando tra i diversi gruppi di lavoro, con i coordinatori che li assisteranno e consiglieranno, istruendoli nelle proprie specialità. Ognuno di loro potrà quindi valutare i dati non solo come archeologo, o genetista, o programmatore informatico, ma con la mentalità e le cognizioni date dalle tre diverse materie.
“Questo dovrà essere il futuro dell’Archeologia, come dovrebbe esserlo di ogni disciplina scientifica”, conclude la Dottoressa Çilingiroglu, “solo così potremo avere studiosi con l’apertura mentale necessaria a risolvere i problemi della scienza moderna”.
(©2012 Piero Castellano per Mediterraneaonline.eu)
Il sito del Progetto B.E.AN.: https://sites.google.com/site/beanresearchnetwork/
Nella foto: la dottoressa Çiler Çilingiroglu, partner associato del progetto B.E.A.N., nel suo ufficio al Dipartimento di Proto Storia e Archeologia dell’Egeo, alla Ege Universitesi di Izmir (Turchia)