Articolo di Fata jana
L’identità di una persona, a quanto pare, è scritta nel suo DNA. Ormai questo acronimo è entrato a far parte del linguaggio comune. Chi più, chi meno, sappiamo tutti l’importanza della ricerca sul codice genetico per capire esattamente quali siano le informazioni contenute e come possono esserci utili per migliorare la nostra esistenza. Allargando questo pensiero viene da chiedersi se il DNA di un popolo si possa definire. Possiamo identificare, attraverso caratteri peculiari la vera identità di un popolo, e se sì, qual è il DNA che ci contraddistingue? E può contenere solo informazioni immutabili o che cambiano nel corso del tempo, dei mutamenti, delle contaminazioni culturali?
Tante volte sentendo parlare il mio “popolo” ho sentito dire che certe abitudini, certi modi di fare, di dire, sono solo nostri. Il Sardo vero è ospitale, il Sardo è schivo, ironico… ma sono queste peculiarità che ci arrivano da secoli di sardità oppure è semplicemente il frutto di continue mescolanze fra culture? La domanda fondamentale è se le nostre caratteristiche siano identiche a quelle dei nostri avi o se siano mutate rendendoci diversi e perciò non definibili dentro il concetto di DNA-identità.
Andando indietro nella nostra storia mi accorgo che sono innumerevoli gli sbarchi di popolazioni che si sono stabilite in Sardegna, e se da subito sicuramente non ci sono state tantissime possibilità di mischiare il corredo genetico tramite incroci fra queste popolazioni e la nostra, è anche impossibile pensare che ciò non sia accaduto. I primi sbarchi furono ad opera di naviganti che mercanteggiavano, quindi erano scambi puramente economici. Ma questi mercanti si fecero via via più stabili, costituendo delle basi che poi divennero vere e proprie città. La stessa Karalis, l’odierna Cagliari, era una zona abitata dai nuragici che però vide da subito l’arrivo di varie popolazioni, fra cui i fenici prima e i cartaginesi poi. Impossibile non pensare ad uno scambio culturale e forse, azzardo, anche genetico. Quello che secondo me prevale non è tanto l’incrocio di DNA diversi che può aver avuto influenza, quanto quello culturale, linguistico e artistico che in Sardegna ha avuto delle sorti alterne.
Se è vero che in ogni epoca è esistito uno “zoccolo duro” di isolani che hanno sempre cercato di resistere alle popolazioni altre, ritenendole sempre e solo dei tentativi di colonizzazione, la Costante resistenziale sarda di Giovanni Lilliu per intenderci, è altrettanto vero che una parte dei Sardi si uniformò facilmente alle usanze dei popoli che col tempo arrivarono nell’isola. Chiedersi quale sia la vera identità Sarda senza includere tutte le mescolanze di genti che per scambi economici o per colonizzazioni subite la Sardegna abbia avuto non sarebbe corretto. Perché il DNA dei Sardi include la latinizzazione, così come include la lotta contro di essa. Include l’arte e le parole che sempre più facilmente sono entrate a far parte della lingua comune.
I Sardi oggi vantano tratti così peculiari che forse non sarebbero tali senza il melting pot che nei secoli ha caratterizzato l’Isola. Eppure si ravvisano parole, abitudini, preghiere, che nemmeno secoli di scambi culturali hanno potuto cancellare. Nei nomi dei luoghi possiamo incontrare radici Nuragiche, nelle preghiere con cui si benedicono oggetti, che pur essendo stati influenzati dalla cultura cristiana, hanno una evidentissima provenienza pagana . I berbus, cioè le parole quasi magiche usate per benedire, medicare, proteggere.
Un nucleo di informazioni nuragiche in un DNA che comprende passaggi successivi. Inutile negare che nelle parole, nella Lingua risiede il vero tratto identitario di un popolo, e sembrano essersene accorti i Sardi che finalmente hanno capito che la loro Lingua è la base di quella doppia elica che custodisce la loro storia. La Lingua che comprende parole arrivate a noi attraverso pietre poggiate su pietre, attraverso rifiuti di colonizzazione, attraverso battaglie perse e sommosse ancora oggi ricordate. Il nostro DNA comprende l’arrivo di popolazioni che ci hanno dato e tolto, cultura, parole, immagini, architetture. Ma senza queste invasioni che possono sembrare barbariche non avremmo questo popolo meraviglioso che riesce a contenere in sé tante contraddizioni e tante sfumature da renderlo unico.
Quindi il DNA diventa non mappa stabile di caratteristiche immutabili, ma raccoglitore di cultura e modi che nel tempo possono subire variazioni e che si rafforzano o modificano in base ad altre caratteristiche più definite. La persona-popolo che contiene questo DNA può, attraverso la sua apertura culturale accettare o rifiutare altre culture decidendo di modificare, accrescere il suo patrimonio. Se nel campo dell’intangibile non si riesce bene a distinguere questo percorso, che sicuramente è ben presente nella Lingua Sarda contenente parole che dal nuragico arrivano fino al più recente spagnolo, sicuramente tutto ciò è visibile semplicemente guardandosi intorno in una immaginaria passeggiata dal nord al sud dell’Isola. Giganti nuragici che affiancano chiese romaniche, templi cartaginesi che sono la continuazione di culti precedenti e che verranno ripresi dai romani. Tombe neolitiche usate da pastori dell’ottocento. Un continuo mischiare le carte che ha fatto sedimentare il passato ma senza lasciarlo statico, bensì dinamico, arricchito da nuovi ingressi culturali.
Eccolo il DNA dei sardi, tutto scritto e tutto ancora da scrivere.