Spaesaemento
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Il testo che segue

prende spunto da una serie di considerazioni, appunti, idee, che mi hanno “attraversato” durante varie situazioni (seminariali, teoriche, esperenziali), nelle quali si presentava, non sempre in maniera diretta, il tema dello “spaesamento”, dello ”ignoto che pur ci è familiare”, dell’”irrappresentabile che cela il già vissuto”, legato alla dimensione della follia, incrociando quelle situazioni nelle quali, sia nella vita quotidiana, che nel lavoro teorico-clinico relativo a tale tema, si vengono a creare, idee di sradicamento della propria coscienza, sensazioni di estraneità/familiare, che si inscrivono come vero e proprio “Ereignis” (evento), nel senso heideggeriano, di presenza-assenza, cardine della “porta di entrata” nella follia.

Mi è parso sostanziale, partire da un saggio che più di ogni altro sembrava indicarmi una strada suggestiva, ossia dal breve saggio di S. Freud “Das Unheimliche” (Il Perturbante, 1919), probabilmente uno di quei saggi dello psicoanalista viennese che nascondono un “tesoro” di inesauribile portata, nati, probabilmente, con l’esigenza di affermare o chiarire alcuni concetti espressi in precedenza (spesso, senza essere considerati altamente significativi nello sviluppo teoretico), che poi sono andati in realtà ad estendere il loro cono d’ombra, dall’hic et nunc della stesura, a molta della successiva produzione teorica, tanto da assumere significati diversi, rivelatisi “après-coup” (o seguendo rigorosamente la terminologia freudiana, “Nachträglichkeit”, ossia in posteriorità, concetto che si riferisce alla temporalità nella quale successivamente si rielaborano tracce di antiche esperienze, al nascerne di altre nuove). Prova ne è il fatto che, seppur concepito in forma definitiva nel 1919, lo scritto ci ripropone vari temi dell’opera freudiana, soprattutto riguardo al significato attribuito alla parola che compone il titolo, appunto “Unheimliche”, ossia “perturbante”.

Lo scritto, come Freud scrive a S. Ferenczi in un lettera del 12/5/1919, prende corpo in parallelo con la redazione del primo abbozzo dello “Jenseits der Lustprinzips” (Al di là del principio di piacere, 1920), preceduto tra l’altro, da un abbozzo apparso sulla rivista “Imago”, intitolato “Il senso dell’inquietante”, e viene dall’autore giustificato come un desiderio di dare fondamento agli studi, allora iniziati, sulla psicologia delle masse, presentati poi nel 1921, sotto il titolo di “Massenpsychologie und Ich-Analyse”, ma lo lo stesso Freud avverte in seguito: “tutto ciò deve restare fermo”, poiché, è il caso di dirlo, egli era “perturbato” da problemi di salute suoi (l’inizio di quello che verrà diagnosticato 4 anni più tardi come “un’escrescenza leucoplastica alla mascella e al palato”, che lo porterà a subire circa 33 operazioni, e a sopportare un apparecchio di metallo, per masticare, da lui definito “il mostro) e della moglie. Ed infatti avverte Ferenczi, in un’altra lettera del 10/07/1919, che lo scritto in questione è stato terminato, pur se, parole di Freud, “non necessario”, mentre quello sull'”Al di là…” è ancora in via di sviluppo. Si può notare come spesso nella teoresi freudiana, come gli scritti che lo stesso autore non ritenesse soddisfacenti, laddove non siano stati semplicemente “distrutti” (come parte di quelli della “Metapsicologia”), divengano invece punti originali della elaborazione del suo pensiero. Peraltro proprio il termine “unheimlich” appare già precedentemente in opere freudiane, con significati talvolta diversi, ma proprio per questo, tesi ad ampliare il messaggio simbolico del termine, al di là del suo significato puramente etimologico. Lo troviamo già nel 1899, in uno scritto “Über Deckerinnerungen” (“Ricordi di copertura”) a proposito di impressioni perturbanti e spiacevoli che vengono messe in secondo piano da falsificazioni della memoria. Il termine si ripresenta nell’opera sul Witz ,“Der witz und seine beziehung zum unbewussten” (“Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio”,1905), dove Freud cita Groos, a proposito della tesi sul piacere che si produce “ritrovando il già noto”, che parla del Faust di Goethe, laddove il protagonista si sente acquietato, dopo un incontro perturbante, ritornando nel suo studio, e mettendo in risalto la doppia accezione del termine, ossia heimlich/unheimlich, dicotomia tra confortevole e perturbante. Ancora, nel 1909, nel caso dell'”Uomo dei topi”, ritroviamo il termine che va ad inscriversi come il rappresentante di una forte onnipotenza del pensiero, a tematica superstiziosa.

Ed è con un significato analogo che lo ritroviamo, nel 1912, in “Totem und Tabu” (“Totem e tabù”), attribuito proprio al concetto di tabù, nell’indicare una certa ambiguità emotiva, soprattutto nel senso negativo, del termine. E più avanti nello scritto, Freud spiega meglio il significato di “unheimlich”, nel momento in cui si va ad attribuire una qualità perturbante ad impressioni che confermano l’onnipotenza del pensiero ed il correlato sfondo animistico, pur nella condizione di aver già posto la propria attenzione a qualcos’altro (nella prima lettera a Ferenczi viene fatto risalire a questo periodo l’inizio dell’ideazione dello scritto in questione). Inoltre già in quest’opera l'”Unheimlich” precede l’abbozzo della nozione di “Wiederholungszwang”, coazione a ripetere, che appare abbastanza legata al termine in questione. Infine il termine “Unheimlich” appare, ma senza un riferimento preciso, insieme ad altre parole, che stanno ad indicare desuetudine e affrancamento dall’usualità, nello scritto “Das Tabu der Virginität” (Il tabù della verginità, 1917), dove Freud asserisce che tutto ciò che non si cala nell’ordine del quotidiano, dell’usuale, crea qualcosa di perturbante, di insospettato che può generare angoscia, e, nel suo protrarsi, uno stato di follia. Proprio nel legame con l’angoscia è possibile designare il termine “unheimlich”, allorché Freud ritiene che “l’elemento angoscioso è qualcosa che ritorna […] cosicché questo tipo di cose angosciose costituirebbero appunto il perturbante […] e allora comprendiamo l’uso linguistico che consente all’Heimliche di trapassare nel suo contrario, l’Unheimliche”. Infatti Freud ritiene che il termine non sia inscritto nell’idea propria dell’angoscia, ma sia un sentimento connesso alla rimozione, e meglio ancora al “Wiederkehr des Verdrängten”, ossia al “ritorno del rimosso”. Allora l’Unheimliche è l’inattesa materializzazione di questa indeterminatezza, dove si svela l’oggetto dell’angoscia che fa da velo, e ciò che si avverte come pericoloso, ci appare colmo di una strana familiarità, di qualcosa che ci appartiene (o, meglio, è appartenuto), forse un pericolo che trova dimora (è il significato appunto di Heim) in noi stessi, che come Freud stesso avverte, nella lezione 32 dell'”Introduzione alla psicoanalisi”, relativa ad “Angoscia e vita pulsionale” è “probabilmente la nostra libido”, oggetto del quale ci riesce difficile l’appropriazione.

Quel che Freud ci descrive, sembra provenire dalle sue letture di un autore come E.T.A. Hoffmann, dei suoi racconti, ed in particolare “Der Sandmann” (“L’uomo della sabbia”, 1816), pubblicato nella prima parte dei suoi “Nachtstücke” (“Racconti notturni”) dove il filo conduttore che dona lo spaesamento letterario è dato dalla continua minaccia della sottrazione dell’occhio del protagonista, Nathaniel, costantemente riproposta, che si inscrive in una possibile perdita di autonomia del soggetto (del soggetto psicotico), perdita che drammaticamente si annuncia, laddove l’uomo della sabbia, è la simbolizzazione dell’imago del padre, che minaccia la castrazione, base dell’uscita dall’Edipo. Inoltre tutto ciò ha a che fare con il corpo, con elementi rimossi, appartenenti ad un dentro mutualmente esclusivo da un fuori, attraversato da un’assenza che lo incastra e lo invischia (questa sorta di spaesamento è ben rappresentato nel film “The Others”, del 2001, dove la protagonista, Nicole Kidman, protegge i suoi due bambini, affetti da eccesso di fotosensibilità, dalla luce del sole, individuando, nel contempo, inquietanti “presenze” nella sua dimora, ma che al termine rivelano, in uno sguardo riflesso, che gli “Altri” sono proprio la sua famiglia, dimorante nella casa precedentemente, seppur morta da tempo, e quindi perturbante poiché nell’essere familiare è irrapresentabile).

E come non pensare, tramite le suggestioni che tale termine porta a-coté della follia, all’intera produzione letteraria di E.A. Poe, in racconti quali “Il sistema del dr. Catrame e del prof. Piuma”, dove gli abitanti di una casa manicomiale, si mostrano, agli occhi di un ospite, meno alienati dei loro secondini che appariranno vestiti di piume di gallina (la follia, quindi, che si disvela nella sua “alterità”), o il “William Wilson” , nel quale si rinviene sia la tematica del Doppio (tema sviluppato in maniera più esaustiva da un allievo “eretico” di Freud, Otto Rank, nei suoi lavori “Il Doppio” (“Der Doppelganger”,1914) e “L’artista” (“Der Künstler. Ansätze zu einer Sexual-Psychologie”,1907) oppure dell’“Horla” di Guy De Maupassant, dove tutto ciò che per il protagonista era prima “heimlich” e gratificante, diviene successivamente “unheimlich” e perturbante, o ancora nel bel racconto di Josè Saramago “L’uomo duplicato”, dove un professore di scuola media “ritrova” il suo Altro forcluso, tramite la visione di una videocassetta prestatagli da un collega.

Ritengo che altre analisi, possano e debbano essere fatte, poiché, al di là di questo breve excursus certamente non esauriente la questione, in virtù di un argomento che é quanto di più ondeggiante, e “spaesante” si possa pensare, penso che si presti a divenire complementare a chiunque navighi “a vista” verso l’orizzonte di un sapere sulla follia, sulla “doppietà”, ascritto all’infinitezza, che si fa spesso latore di un messaggio che “nutre” la dimensione della follia.

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