Articolo di Stefania Cadeddu
La capacità di essere persone adulte, cioè di essere quello che si sceglie, liberandosi da dictat offerti come guida, probabilmente utili, ma poi forse troppo invadenti, presuppone un certo grado di sofferenza, un confronto alla pari con se stessi e con la propria capacità di immaginarsi il futuro.
Il punto è a quale età si inizia ad immaginare il futuro? Mi verrebbe da dire nella fase più attiva dell’adolescenza, quando ti si pone davanti la doverosa scelta del proseguimento degli studi, quindi accesso all’università, oppure un ingresso nel mondo del lavoro. In realtà, il futuro lo avevano già immaginato i genitori del “prodo adolescente”, forse ancor prima del concepimento vero e proprio. Tutto ciò cosa comporta? Come prima cosa, l’adolescente si trova a dover fare i conti con i sogni dei suoi genitori, che pesano nel suo “zaino delle aspettative” e cosa succede se queste proiezioni genitoriali occupano buona parte dello spazio? La risposta è abbastanza intuitiva. Inizia una lotta, una guerra, oppure una tregua senza lotte di campo. Sto descrivendo un processo lungo, fatto di tappe. Il conflitto tra genitori e figli nasce in realtà nel momento in cui una futura mamma e un futuro papà mettono al mondo un figlio. É il conflitto dell’esistenza stessa dell’essere umano, senza la quale non potrebbe esserci individualità.
Qui si apre uno scenario sempre più complesso quanto costa l’individualità?
Come individuo sperimento fantasie, desideri e sentimenti che costantemente entrano in conflitto con le aspettative, le richieste della società e al tempo stesso sento il desiderio di appartenere, di far parte, di essere integrato, accolto nel mondo, nel gruppo.
La società dal canto suo, pur essendo composta da individui, è un sistema che si comporta in modo diverso dalla semplice somma delle parti, presentando, quindi, un funzionamento non sempre compatibile con le esigenze del singolo.
“Nell’io c’è l’orrore dell’isolamento, nel noi il panico della schiavitù e della perdita del sé” nel rapporto dialettico continuo fra appartenenza e separazione
Direi per citare C. Whitaker, non alla lettera, prendersi il potere di sopravvivere e di vivere, di essere creativo a dispetto del dolore e della impotenza che ogni essere umano sperimenta.
In ogni famiglia esistono dei patti relazionali segreti, cioè non detti, il patto segreto è inerente al registro affettivo ed è quindi aspecifico e temporalmente vago, che spesso mai arriva alla coscienza oppure se arriva è comunque tenuto celato per la difficoltà di trasformare vissuti in parole condivisibili. Si tratta di un patto storico, un patto che si avvicina al mito. Un mito è un qualcosa di intoccabile al di sopra di ogni modificabilità umana, è per sua natura divino. Per cui se il mito della famiglia è che gli uomini devono resistere ad ogni sofferenza emotiva, senza poter chiedere aiuto e conforto e devono incontrare donne fragili, che adorano uomini “senza macchia” allora, chissà come immaginerà il proprio futuro un giovane appartenente a questa famiglia e una giovane adolescente?
L’aspetto importante sembra essere che ognuno di noi è legato volente o nolente al suo passato, alla sua storia familiare e non si può prescindere da questo nell’immaginarsi il proprio futuro.
Pensiamo allora ad una educazione che non riconosce l’importanza della storia della propria famiglia, che non offre ai suoi membri il riconoscimento dell’importanza dei processi per arrivare a degli obiettivi, processi che implicano avanzamenti per prove ed errori, che implicano un trascorrere del tempo, una buona dose di equilibrio tra pazienza e azione, tra accettazione dei propri limiti e volontà di sperimentazione.
E’ una famiglia carente nel concetto del processo, all’interno dell’idea dell’educazione, si vuole tutto e subito (tipico dell’infanzia), è carente il costruirsi sano del senso di colpa (indifferenza e prepotenza a vagonate) tipico dell’adolescenza, è carente la voglia di assumersi responsabilità, con onore e impegno, che contraddistinguono un uomo da un quaquaraqà (tipica dell’ingresso nell’adultità).
Il concetto del Noi familiare, dalla quale esperienza dovrebbe strutturarsi il noi come identità sociale, è povero di significati. Significati che dovrebbero essere costruiti con la vera e propria sperimentazione nel quotidiano e non intellettualmente esperita dalle parole. Per cui il noi, quel nido caldo e confortevole, che poi permette ad ogni individuo di diventare io, se è carente, anzi magari vissuto con eccessiva angoscia, diventa una trappola dalla quale fuggire. Libertà e indipendenza sono intese entro la dimensione semantica di libertà e indipendenza dalla relazione e dai suoi vincoli e non come libertà di sentirsi individuo ma anche parte di una società. Ciò significa che la conversazione in queste famiglie si organizza preferibilmente attorno a episodi dove la paura, il bisogno di protezione, la diffidenza svolgono un ruolo centrale.
La modalità di organizzare il significato dell’autonomia è impregnato di egoismo e paura dell’intimità.
Ora noi adulti ci chiediamo ma che adolescenti esistono oggi?
Domanda storica alla quale si risponde spesso che la generazione precedente era la migliore….”quando io avevo 20 anni….” in realtà è un ripetersi di un continuum storico-relazionale di competizione dove l’adulto ha necessità di sentirsi più intelligente, più preparato, più colto, più capace, perchè in gioco c’è l’accettazione dello scorrere del tempo e la generosità di lasciare il posto alle nuove generazioni.
Voglio citare un articolo di Ascanio Celestini, intitolato “I nipotini cattivi di un paese vecchio che non da risposte” in Il Venerdì di Repubblica del 27 gennaio 2012.
Celestini ricorda la manifestazione del 15 ottobre a Roma, degenerata in violenza, il corteo degli “indignati”, “quelli che hanno manifestato col volto coperto sono sudati, brutti e cattivi, ma hanno 20 anni in un paese dove c’è un governo di professori universitari con un banchiere, un militare e un prefetto con un’età media che supera i sessanta…sono ragazzi che non hanno nessuna prospettiva e una rabbia poco ideologica…condannarli o assolverli è compito dei giudici…bisognerebbe ricordare che quel 15 ottobre è stata fatta una domanda sconnessa e pericolosa alla quale non si è risposto”.
Precedentemente in Spagna non c’è stata una risposta autorevole verso il movimento dei giovani “Indignados” che avevano occupato Puerta del Sol a Madrid e sono rimasti accampati in diverse piazze di altre città del paese per denunciare le collusioni fra politici e banchieri, la corruzione, e per chiedere una società migliore.
George Papandreou come risposta al decadimento economico e sociale della grecia risponde con un atto di “democrazia e patriottismo” per dare voce al popolo greco sul destino del Paese. Un referendum sulla sorte della Grecia in europa e nel mondo. Secondo Papandreou la mossa del referendum, avrebbe dovuto portare uno “shock creativo” e forse la nascita di una nuova Democrazia. Referendum che è durato il pensiero di una notte e chissà se invece si fosse fatto!
Le risposte arrivano alla popolazione africana che si affaccia nel mediterraneo.
Ben Ali ha lasciato la Tunisia e il suo Paese ha vissuto la sua giornata più drammatica: dopo gli scontri tra polizia e manifestanti davanti al ministero dell’Interno, pacificamente «assediato» per ore dalla gente che chiedeva al presidente di andarsene, nell’intero Paese veniva decretato lo stato d’emergenza.
Amnesty testimonia che in Libia, dove è stato rovesciato il governo del dittatore Gheddafi, la popolazione soprattutto gli ex sostenitori del dittatore e gli immigrati dell’aAfrica subsahariana sono vittime di torture. Le vittime hanno riferito di essere state «appese in posizioni contorte, picchiate per ore con fruste, cavi, tubi di plastica, catene, sbarre di metallo e bastoni di legno, tormentate con scariche elettriche», al punto che molti hanno finito con il confessare reati mai commessi e alcuni sono stati messi a morte.
Buona parte di questi «interrogatori» si svolgono in carceri illegali, fuori dal controllo del governo, dove sedicenti comitati giudiziari, emanazione delle varie milizie tribali, la fanno da padroni.
Dopo questo escursus sulla storia attuale dei popoli che si affacciano sul mediterraneo, ritorniamo al tema iniziale di questo articolo, “la capacità di sognare e costruirsi il proprio futuro per un giovane oggi”, sembra che generazioni di “egoisti socio-relazionali” produrranno figli egoisti e sempre meno capaci di immaginarsi il proprio futuro.
Leader assassini produrranno popoli assassini anche quando questi popoli si ribelleranno alla dittatura che li ha sottomessi.