“E se vai all’Hotel Supramonte e guardi il cielo
tu vedrai una donna in fiamme e un uomo solo…”
Il 27 agosto 1979 Fabrizio De Andrè e la sua compagna Dori Ghezzi furono rapiti dall’anonima sequestri sarda e tenuti prigionieri per quattro mesi nelle montagne di Pattada.
Fu un lungo soggiorno all’ “Hotel Supramonte”, come gli stessi rapitori chiamavano il luogo scelto per tenere nascosti gli ostaggi, che rinsaldò invece che incrinare il legame del cantautore con la Sardegna, sua seconda casa.
La disperazione di quei giorni rivivrà solo due anni dopo nel suo decimo disco, intitolato “Fabrizio De Andrè”, ma conosciuto da tutti come “L’indiano”, per via del pellerossa ritratto in copertina.
In questo album il cantautore traccia un parallelo tra il popolo sardo e quello dei nativi americani, affini perchè isolati e non ancora corrotti dal nuovo modo di vivere occidentale.
Tra i pezzi trova spazio il ricordo del sequestro, momenti difficili e bui che traspaiono dal testo di “Hotel Supramonte”. Un’esperienza disperata, ma per la quale il cantautore non serberà rancore nei confronti dei suoi rapitori, verso i quali anzi mostra empatia e compassione fino al perdono perchè, come dice, “noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai”.
Il bandito nel lavoro di De Andrè, nonostante sia carceriere ed esecutore del sequestro, è ritratto attraverso note di un certo romanticismo e collocato all’interno di una sorta di proletariato periferico che per questo motivo merita attenzione e rispetto. Sono persone caratterizzate da un profondo senso dell’onore e anche da umanità e comprensione. A dimostrazione di ciò il cantautore genovese ha raccontato che spesso a loro ostaggi era consentito di rimanere slegati e senza bende.
Oltre che in “Hotel Supramonte”, la figura del bandito trova spazio anche nella canzone “Franziska”, ispirata proprio dai racconti dei rapitori.
Il testo racconta la storia di un latitante e della sua fidanzata e del difficile rapporto che li lega.
Lei vive quasi in clausura e nella più profonda solitudine a causa della gelosia di lui, mentre intorno tutte le sue sorelle si sposano.
Lui passa la vita costretto a continui spostamenti a causa della latitanza e in completa solitudine.
Tra le altre canzoni dell’album, la bellissima “Canto del servo pastore” dipinge con pennellate forti e nitide il paesaggio dell’entroterra sardo, fatto di cisto, sughere e rosmarino.
Il racconto è quello in prima persona di un servo pastore che vive immerso nella natura incontaminata della Sardegna, completamente separato dalla comunità.
Un altro ritratto dei sardi che contribuisce ad esaltare i caratteri di autenticità, orgoglio e le antiche radici di un popolo geograficamente lontano dai nativi americani, ma unito ad essi per il forte legame con la propria terra.
Come appurò il processo giudiziario furono dieci i rapitori di Fabrizio De Andrè e Dori Ghezzi, sette di Orune, due di Pattada e uno di Sassari. Vennero condannati a pene tra i dieci e i ventisei anni.
Il cantautore genovese, come detto, riconobbe nei suoi carcerieri le vere vittime del sequestro e per questo decise di perdonarli.
In loro riconosceva l’onore e l’umanità che li caratterizzarono durante i lunghi giorni della prigionia. Tuttavia solo loro, esecutori del sequestro, poterono godere del suo perdono. Non i mandanti, mai trovati, che secondo De Andrè erano persone economicamente agiate e prive di scrupoli.