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Il futuro dei giovani sardi passa per lo sviluppo rurale e per l’attrattività turistica, ambientale e culturale

Granaio d’Italia: chi non ricorda queste parole che, ciclicamente, dall’epoca A.C. fino alle esperienze drammatiche del ventennio del secolo scorso, sono state individuate per definire la nostra Isola.

Giusto, il secolo scorso appena finito: quel 1900 contrassegnato da mille contraddizioni che hanno portato un territorio a fortissima vocazione rurale e turistica quale quello sardo ad entrare in forte sofferenza socio economica per la mancata espansione, a livello di mentalità, di questi importantissimi volani di sviluppo e a causa di una – si può dire? – scellerata scelta di industrializzazione forzata durata molti decenni.

E già, i giovani di oggi, i nostri figli e nipoti, non possono avere la minima idea delle decisioni politiche – i cui prodromi risalivano alla industrializzazione mineraria selvaggia d’inizio secolo – assunte dal dopoguerra e pervicacemente perseguite fino a qualche anno fa, che hanno cambiato per gran parte il volto storico, ambientale e culturale della nostra Terra.

Ecco il motivo per cui proviamo a ricostruire quali sono stati i passaggi – chiave che hanno portato alla scelta di trasformare un vero e proprio “Eden” (definizione con cui Karim Aga Khan definì il territorio che poi sarebbe divenuto la Costa Smeralda) in quella sequela di Cattedrali nel deserto che hanno contribuito in modo sistematico proprio alla “desertificazione” sociale e ambientale dell’Isola, così come oggi viene consegnata “nelle mani” dei nostri giovani.

Per non andare troppo in là con la storia dell’industrializzazione sarda, partiamo dagli anni’50, periodo in cui, ancora per buona parte, le scelte politiche andavano ancora nel senso di uno sviluppo legato all’agricoltura e all’artigianato, ma che già vedevano nello sviluppo industriale una possibilità di crescita economica e di adeguamento alle scelte politiche nazionali, sebbene si finanziassero gli insediamenti industriali in modo limitato che, di fatto, rendeva la tipologia di attività ingestibile già da allora.

Nel 1949 si verificò un avvenimento importante, che avrebbe dovuto ispirare, o almeno far riflettere, qualche mente politica illuminata e lungimirante di allora (!): la Fondazione Rockfeller manifestò un grande interesse per l’Isola e propose degli interventi della durata di quasi un anno nell’ambito di un suo preciso programma di sviluppo economico. L’occasione venne tristemente persa per miopia politica e gli interventi proposti furono attuati – pensate un po’ – in Africa.

Gli anni ’60 videro la Democrazia Cristiana sarda dominare incontrastata, insieme alla destra di allora, nelle scelte sul futuro della Sardegna dopo che i Sardisti del Partito d’Azione si spaccarono in mille rivoli e correnti vicine al socialismo, ma poco incisive a livello decisionale. La visione di sviluppo della DC sarda era incentrata sull’industrializzazione mirata alla diminuzione del divario economico esistente con il resto delle Regioni italiane, specialmente del centro nord. A questo punto il quadro dell’occupazione in Sardegna aveva già subito profondi cambiamenti: i 221.000 occupati in agricoltura del 1950 si erano trasformati in 165.000 nel 1961, riducendosi in un decennio del 25%.

Nel 1961 nasceva, nella zona della laguna di Santa Gilla, a Macchareddu, nei pressi di Cagliari, la zona industriale del CASIC e si iniziava a ragionare sul progetto del Porto canale che avrebbe dovuto costituire già da allora un punto di smistamento merci per l’import/export (ironia della sorte, non lo è ancora oggi). Nella nuova zona industriale andarono a stabilirsi molte aziende a carattere industriale tra cui la SANAC, la REMOSA di Mambrini, e molte altre trasformando l’area in un polo industriale. Nella vicina zona di Sarroch, nei pressi dei siti archeologici di Nora e Bithia e su parte di una delle coste più belle del Sud Sardegna, trovarono alloggio la Saras Spa Raffinerie Sarde di Moratti, la Saras Chimica divenuta poi Enichem, La Sarasla Pibigas e Siosarda, produttrici di gas in bombole, tanto per comprendere la tipologia di investimento in contrasto con il territorio d’insediamento prescelto.

Nel decennio tra gli anni ‘60 e ’70, le scelte attuate su uno sviluppo industriale “random” ponevano purtroppo le basi di un periodo si è protratto lungamente, fino agli anni ’90 e che in parte è giunto fino ai nostri giorni. Lunghi decenni in cui non venne minimamente preso in considerazione il tipo di sviluppo integrato ed ecosostenibile che avrebbe potuto permettere la convivenza tra diversi settori di sviluppo e incrementato la crescita tecnologica verso un rispetto ambientale e culturale; un lungo periodo che ha contribuito a provocare di fatto la crisi occupazionale, una grave inflazione e tutti quei disturbi sociali che hanno caratterizzato quegli anni e segnato profondamente i nostri giorni.

Risale a questo periodo il fronteggiarsi in terra sarda di gruppi industriali di portata nazionale ed europea come la SIR di Rovelli, Montedison ed ENI, senza che ad alcuno sfiorasse il pensiero che di lì a poco la grave crisi petrolifera giunta a cavallo degli anni ‘70 avrebbe reso praticamente impossibile ogni speranza di sviluppo.

Alla fine degli anni ‘70 la Sardegna aveva già pagato un prezzo altissimo di perdita occupazionale per il declino di quella che era stata considerata come un fiore all’occhiello dell’industria petrolchimica italiana a livello internazionale. La SIR, infatti, finì per consegnare i propri impianti all’Eni e la Sardegna perse l’ennesima buona occasione, oltre ad una quantità di portata drammatica di posti di lavoro.

La scelta – tipica – da parte della Regione sarda a favore delle grandi aziende statali continuava a bloccare lo sviluppo dell’imprenditoria privata in qualunque campo, favorendo lo statalismo monopolistico nella spesa delle risorse destinate alle opere pubbliche.

Ricordiamo, ad esempio che l’inflazione già nel 1975 raggiunse il 24.5%, andando a colpire le piccole imprese così tanto che i tassi debitori sfiorarono l’usura e il conflitto di posizioni esistente tra confederazioni sindacali e organizzazioni di categoria non migliorò putroppo la situazione generale.

A quel punto, l’unico obiettivo da perseguire per un risanamento della situazione sarebbe stato quello di ricreare ex novo delle condizioni di crescita dell’occupazione con un’apertura verso la vera vocazione agricola e turistica del’Isola, ma la sempre più incalzante corsa tecnologica dell’economia bloccò gli investimenti a causa dell’immobilismo e del’inadeguatezza del tessuto socioeconomico, tanto che i giovani sardi, divenuti nel frattempo i soggetti più colpiti dalla recessione, si trovavano ad avere ben poche possibilità di entrare a far pare del mercato del lavoro come imprenditori e perseguivano la scelta sicura dell’impiego pubblico e/o dell’emigrazione all’alea dell’investimento privato, considerato, più che privato, privo di prospettive di sviluppo economico.

Dagli anni ‘80 ai giorni nostri abbiamo assistito al continuo, inesorabile peggioramento di tutti i parametri di crescita della Sardegna.

Uno dei mali endemici di cui ha sempre sofferto l’economia isolana nel suo complesso è sicuramente individuabile nella perenne sottocapitalizzazione finanziaria e nella difficoltà obiettiva di competitività nazionale ed internazionale, che avrebbe dovuto passare obbligatoriamente attraverso il rinnovamento della tecnologia della catena produttiva: dalla materia prima al prodotto finito. Questa carenza è stata poi aggravata dalla conseguente e penalizzante difficoltà di commercializzazione dovuta anche ad altre concause che tutti noi sardi ben conosciamo (vedi costi abnormi dei trasporti merci e cittadini).

Come si è visto dall’excursus storico compiuto, ancora oggi lo sviluppo sociale e, specialmente, economico sardo è rimasto come si suole dire “al palo” a causa di una mentalità difficilmente scalzabile.

Una mentalità che si può riscontrare in uno, ma non il solo, dei concetti base: la costante supremazia della cultura della rendita sicura identificata spesso con l’impiego pubblico, con il risparmio e con l’acquisto del “mattone”, a discapito dell’investimento nella cultura, nell’innovazione, nella tecnologia applicata ai vari settori produttivi, nell’apertura – pur ovviamente senza mai intaccare la peculiarità della tradizione da considerarsi come il massimo valore aggiunto per la nostra economia – ai mercati nazionale e internazionali. Un orientamento considerato estremamente rischioso e privo sia di supporto economico pubblico, sia da parte dei privati. In poche parole una fotografia della grande difficoltà dell’imprenditoria isolana, in particolare quella giovanile e femminile, a conquistare nuovi mercati interni, nazionali ed internazionali ed a trasformarsi da aziende di”production oriented” in “customer oriented” *.

Basti pensare agli ultimi, recentissimi, dati sull’agricoltura sarda in cui “il crollo delle imprese è stato negli stessi anni del 43,5%, mentre la Sau (superficie agricola utilizzata) è aumentata nell’ultimo decennio solo del 13 per cento (dati provenienti dalla Confederazione Italiana Agricoltori (CIA)”.

Percentuali da brivido, che hanno contribuito a creare il circolo vizioso del fenomeno dello spopolamento delle campagne e della senilizzazione della popolazione rurale sarda, insieme alla conseguente inadeguatezza del sistema rurale rispetto a molte realtà italiane e, specialmente europee.

Ancora, prestiamo attenzione a questo concetto: “emerge inoltre, il persistere di limiti e condizionamenti tipici di una società’ ancora rurale, conseguenza di una modernizzazione senza sviluppo in cui le occupazioni dominanti sono caratterizzate da bassa qualificazione, mentre sono risultate molto contenute quelle attività connesse al terziario qualificato e quasi assenti le occupazioni nell’industria”. A tale proposito, infatti, è stata analizzata ad esempio “la mobilità femminile diretta verso l’esterno o limitata all’interno dell’Isola, al fine di evidenziare le caratteristiche inerenti agli spostamenti delle donne in rapporto al mutato modello di crescita demografica, al cresciuto livello d’istruzione e di formazione professionale, nonchè all’evoluzione dell’atteggiamento della donna verso la mobilità’. I risultati dell’inchiesta (cui sfuggono i movimenti migratori di più’ lungo raggio e di maggiore durata) hanno evidenziato un incremento della partecipazione della donna alla mobilità come conseguenza della modernizzazione, e fatto emergere il divario tra generazioni” **.

Il quadro attuale, risultante anche dalle considerazioni appena riportate e scaturite da qualificati studi sociologici, appare, come si può notare, molto sconfortante: le ferite del fallimento del’industrializzazione selvaggia sanguinano ancora tanto per potersi permettere di ricadere in quegli errori costati tanto in termini di sfiducia nel futuro da parte della società sarda nel suo complesso.

Il futuro

Pianta officinale - Foto di Antonello CossuEppure cari giovani disoccupati, cari disoccupati e basta, care donne giovani e/o disoccupate, una ricetta forse ci sarebbe.

Sebbene i cittadini si siano profondamente disinnamorati della politica e degli effetti devastanti che ha avuto fino ad oggi, sebbene la recessione globale stia livellando verso il basso l’economia mondiale, sebbene gli strumenti a nostra disposizione siano incatenati a paletti burocratici, nonostante tutto ciò e, vorrei aggiungere, paradossalmente, si sta assistendo ad un movimento di rinascita per così dire “ dal basso” da parte di noi persone comuni, della società cosiddetta “civile”, della nouvelle vague nella cultura verso varie direzioni (letteratura, arte figurativa, musica, cinema, teatro, etc.), della consapevolezza della necessità di uno sviluppo ecosostenibile, del riconoscimento del valore di ciò che noi Sardi abbiamo di più prezioso e unico rispetto a qualunque altro luogo: la terra in senso lato, l’ambiente, l’agricoltura, il patrimonio naturale, le tradizioni. Tutto ciò rappresenta alla fine il concetto tanto abusato, vituperato e spesso inquinato di “identità” che, a mio modesto parere, altro non è se non il senso comune di appartenenza all’Isola considerata come un “luogo” del mondo.

A questo punto si potrebbe finalmente superare quel fastidioso concetto di “pocos, locos y malunidos”, nei confronti del quale, purtroppo, non vi sono state finora molte smentite. Si potrebbe debellare quella “nostra” proverbiale invidia distruttiva; la stessa che fa dire al pastore interpellato da Dio su che cosa desideri in dono – tenendo conto che il suo desiderio verrà raddoppiato come dono nei confronti del vicino di campo – “bogamì un’ogu” ( toglimi un occhio).

Ecco oggi è forse giunto il momento non solo di permettere a tutti di mantenere i propri occhi aperti, ma anche di inforcare gli occhiali per cancellare questo atteggiamento deleterio e immobilizzante che ci ha sempre tenuti ostaggio di un medioevo mentale; Siamo pronti noi Sardi, sono pronti a ciò i giovani, le donne e tutti coloro che avendo perso un lavoro hanno bisogno di speranze e prospettive, a superare questo gap mentale che ci ha nociuto e ci ha tenuti spesso indietro nei confronti della crescita veloce e inesorabile del mondo che ci circonda?

Ma parlavamo di ricette

Ovviamente per le ricette occorrono gli ingredienti e in questo caso gli ingredienti principali potrebbero essere, anzi sono la voglia di mettersi in gioco e rischiare, l’essere informati sulle opportunità a disposizione per crescere,l’osservazione costante e l’adeguamento nei confronti degli standard più avanzati, la preparazione specializzata e l’aggiornamento costante al progresso.

Non è poco,lo sappiamo tutti, ma è l’unica strada che può permetterci di transitare a testa alta tra le regioni europee – e parlo di regioni geografiche non di Stati – in crisi come noi.

Molte di loro si stanno già adeguando, stanno compiendo sforzi notevoli e stanno riuscendo ad affermare le loro peculiarità. Dobbiamo farlo anche noi se vogliamo uscire dall’impasse.

D’altronde, la stessa Europa, in vari settori, ci ha messo a disposizione indicazioni, indirizzi normativi e strumenti economici perché si possa finalmente impostare la crescita, ma non solo, perché si possano creare delle sacche di eccellenza, visto che la materia prima, umana e materiale,non manca. Anzi è una materia umana di prima qualità, una fortuna alla quale è difficile prestare attenzione distratti come siamo da problemi contingenti senz’altro importanti, ma che non dovrebbero allontanare dalla mente di ciascuno di noi gli obiettivi di positivo sviluppo in senso qualitativo e, perché no, anche quantitativo.

Per quanto mi riguarda, posso presentarvi una esperienza di lavoro personale che mi ha portata ad occuparmi della comunicazione e della informazione sul principale strumento di programmazione ed attuazione della possibilità di crescita regionale in materia di agricoltura e sviluppo rurale: Il Programma di Sviluppo Rurale2007/2013 della Regione Sardegna – che d’ora in poi chiamerò confidenzialmente PSR (veramente lo faccio già da più di due anni) – per cospicua parte finanziato dall’Unione Europea con i cosiddetti fondi FEASR (Fondo Europeo Agricolo di Sviluppo Regionale).

Abbiamo già visto dai dati già citati e forniti dalla CIA che l’agricoltura sarda è, da molto tempo, in grave sofferenza. Ed è in grave sofferenza soprattutto perché la politica agricola isolana, supportata dai lacci e lacciuoli burocratici e da scelte non sempre concrete, spesso non è stata divulgata e comunicata ai cittadini, agli agricoltori e a coloro che lo vogliono divenire, nel modo giusto.

A partire da questo secondo ciclo di interventi (il primo è stato il PSR 2000/2006), anche l’approccio informativo in termini di trasparenza si è fortemente evoluto in un vero e proprio piano di comunicazione articolato in numerosi strumenti informativi a favore degli agricoltori sardi e delle loro differenti realtà territoriali ed economiche.

Grazie agli strumenti della comunicazione è quindi più semplice accedere all’informazione sul PSR. Si tratta, infatti, di un programma operativo che si basa su obiettivi concreti e che rappresenta un indirizzo articolato che viene in aiuto a coloro che vivono di agricoltura e a coloro che volessero accostarvisi per avviare un processo di sviluppo competitivo e inserito nel contesto agricolo europeo.

Gli obiettivi principali del Programma sono:

– l’aumento della competitività del settore agricolo e forestale;

– la valorizzazione dell’ambiente e dello spazio rurale;

– il miglioramento della qualità della vita nelle zone rurali e la diversificazione delle attività economiche.

– l’approccio cosiddetto LEADER che interviene sull’obiettivo precedente (miglioramento della qualitàdella vita nelle zone rurali e diversificazione delle attività economiche) attraverso i Gruppi di Azione Locale (GAL), che sono raggruppamenti di partner che rappresentano sia le popolazioni rurali sia le organizzazioni degli operatori economici presenti sul territorio.

A loro volta, questi obiettivi divisi per Asse (da 1 a 4), per potersi realizzare in modo concreto, sono supportati da interventi mirati che finanziano le attività rurali a tutto campo, anche in sinergia con altri settori quali l’industria agro alimentare, il turismo, l’ambiente, le tradizioni culturali e storiche del territorio isolano.

Sono obiettivi rientranti nel piano strategico nazionale di indirizzo agricolo – PSN – che si propone di “creare quelle economie esterne che favoriscono l’insediamento di nuove attività economiche e il mantenimento di standard minimi nella qualità della vita delle popolazioni residenti in aree rurali” e “incentivare gli investimenti nelle attività economiche esistenti o da creare nelle stesse aree”. Questo indirizzo propone un orientamento verso l’opportunità di variare e diversificare le attività agricole, di sviluppare le piccole e piccolissime imprese, di favorire iniziative nel campo del turismo rurale e delle offerte relative alla cultura e al tempo libero, con la programmazione di interventi in quei territori che il PSN ha individuato quali aree rurali intermedie e aree rurali con problemi complessivi di sviluppo.

Ma non è ancora finita

Attraverso il cosiddetto approccio LEADER di cui si è scritto prima, si sta già procedendo verso la reale possibilità di pianificare un miglioramento delle condizioni generali dei territori agricoli svantaggiati (che in Sardegna rappresentano la percentuale maggiore) attraverso un forte sostegno nei confronti della diversificazione economica basata sulla valorizzazione di un’economia sostenibile e del patrimonio ambientale e culturale che in Sardegna presentano una qualità molto alta e, specialmente, unica nel suo genere. Questa tipologia di interventi, se ben sviluppata, mira a interrompere il circolo vizioso, particolarmente evidente proprio nelle aree interne, provocato dalla mancanza di servizi, dalla perdita di attrattività dei territori e dal declino sociale di cu si è già detto.

La programmazione regionale è destinata principalmente alle aree colpite dai più gravi e costanti processi di spopolamento e invecchiamento. Il suo intento è quello di valorizzare le caratteristiche di forte identità legata alle tradizioni popolari e culturali, di cui si è detto, rappresentate nei diversi territori storici della Sardegna.

Si tratta di valorizzare, ad esempio, alcuni importanti obiettivi di sviluppo, richiamati in vari interventi previsti dal PSR, che possano promuovere ed incrementare l’occupazione femminile e giovanile creando sinergie e complementarietà più ampie attraverso modelli innovativi di sviluppo capaci finalmente di mobilitare le risorse territoriali. Ciò può avvenire incrementando il consolidamento, già avviato dai Gruppi di Azione Locale (GAL), delle forme di aggregazione di partner pubblici e privati con la conseguente valorizzazione delle radici storico-culturali delle popolazioni isolane.

Il rafforzamento dei raggruppamenti di partner passa attraverso l’animazione e l’acquisizione delle competenze specifiche per valorizzare il forte potenziale “locale” in tutti i settori che meritano un pieno sviluppo e una importante promozione.

Per chi fosse interessato – spero molti tra i giovani che leggeranno – e volesse approfondire questo argomento, si possono reperire numerose e dettagliate informazioni sul portale dedicato al Programma di sviluppo rurale presente tra gli Speciali pubblicati sulla home page della Regione Sardegna: http://www.regione.sardegna.it/speciali/programmasvilupporurale/programma/, sul quale è possibile consultare anche il primo numero del Magazine quadrimestrale dedicato al PSR: http://www.regione.sardegna.it/index.php?xsl=510&s=176683&v=2&c=6997&t=1&tb=6990&st=11 .

Ancora, è in corso da giugno 2011 una campagna d’informazione sui quotidiani, sulle TV e radio locali sempre sulle opportunità offerte dai finanziamenti programmati.

Sarà inoltre disponibile a brevissimo anche una pagina Facebook istituzionale, sulla quale reperire ulteriori informazioni e interfacciarsi con coloro che magari hanno già usufruito di aiuti attraverso il PSR (i cosiddetti beneficiari effettivi) e che possono a loro volta creare informazione sulle opportunità di cui hanno usufruito.

Come si può ben leggere in queste parole, anche da parte della amministrazione regionale, giunge un forte segnale di trasparenza, informazione e comunicazione al servizio dei cittadini; parole spesso abusate e obsolete, ma che in questo caso rappresentano uno sforzo notevole proveniente dall’interno dell’assessorato dell’agricoltura – e chi scrive può testimoniare ogni giorno in prima persona – a dimostrazione del fatto che molte volte la fama di nullafacenti regionali è decisamente usurpata, tenuto conto della passione e della disponibilità di quanti lavorano in questo, come in tanti altri, progetto di programmazione economica e della comunicazione dello stesso all’esterno.

La speranza è che queste mie parole, scaturite dal un forte desiderio di informare sulla creazione e sulla presenza di un multicanale utile per tutti gli interessati, possano in piccolissima parte contribuire a modificare, anzi proprio a scalzare, la diffusa mentalità disfattista che spesso alimenta la sfiducia nell’approccio alle scelte di vita dei giovani sardi e ad accrescere un positivo e collaborativo atteggiamento mentale verso uno sviluppo futuro in Sardegna.

L’agricoltura nel suo complesso, il turismo, la cultura, l’ambiente, le tradizioni popolari – in una sola parola l’unicità – rappresentano il valore assoluto della nostra Terra: cerchiamo di non dimenticarlo mai.

Fonti

* Paolo Orrù, Nicola Asuni, 2004-06-19 Riassunto gerarchico delle nozioni del corso 2003-2004 di Economia del Prof. F. Asquer – Università degli Studi di Cagliari, Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche Naturali, Dipartimento di Matematica ed Informatica, Corso di Laurea in Informatica

**ISRE. Maria Luisa Gentileschi (Professore straordinario presso la Facolta’ di Lettere e Magistero dell’Universita’ degli Studi di Cagliari);
Margherita Zaccagnini (Professore incaricato di Geografia presso la Facolta’ di Lettere e Magistero dell’Universita’ degli Studi di Cagliari);

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