Waterhouse Danaides
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Articolo di Carla Dotzo

Le cinquanta figlie del vecchio Danao, angosciate all’idea di dover sposare i loro spasimanti -nonché cugini- Egizi, fuggono e chiedono ospitalità e protezione al re di Argo Pelasgo. Questi, secondo una consuetudine cara al mondo greco antico – e meno, probabilmente, a molti Capi di Stato attuali – sceglie di radunare l’assemblea di tutti i cittadini, affinché sia la comunità a decidere se accogliere le recalcitranti ragazze o se il matrimonio s’abbia da fare.

Il dibattito è vivace: rifiutare l’accorata richiesta delle Danaidi significherà venir meno al sacro dovere dell’ospitalità; d’altra parte, accoglierle in patria comporterà una reazione negli spasimanti respinti, con la conseguenza di una guerra dagli esiti incerti. Il pericolo paventato è lo scontro fra Europa e Africa, entità tanto geograficamente vicine quanto culturalmente distanti; l’europeo pervaso dai valori della democrazia contro l’africano percepito come grezzo, prevaricatore, tiranno. La decisione finale è lo specchio della società greca e le ragazze entrano ad Argo, accolte e protette. Ma il vecchio Danao vede movimento in prossimità delle coste: gli Egizi, furenti, arrivano a rivendicare i loro diritti. Nonostante i brani successivi siano estremamente frammentari, possiamo affermare con sicurezza che le Danaidi, costrette a capitolare, accettano formalmente le nozze, ma stipulano un accordo segreto che prevede che ognuna di loro, durante la prima notte matrimoniale, uccida il proprio sposo. Solo una, Ipermestra, tradisce il giuramento. Presa da pietà e commozione non può uccidere il marito, nel quale vede un uomo buono e amorevole. Ipermestra verrà punita per la sua disobbedienza e presumibilmente sottoposta ad un processo. Per difendersi la ragazza invocherà la divinità cui è devota, Afrodite, colei che è garante dell’amore e dell’avvicinamento fra l’uomo e la donna e, grazie a questo, verrà assolta.

Per secoli i maggiori interpreti del teatro greco si sono interrogati sul senso più profondo della trilogia eschilea qui sinteticamente raccontata, la Trilogia delle Danaidi, appunto; essa era composta da tre tragedie: le Supplici, unica ben conservata, gli Egizi e le Danaidi, molto frammentarie.

La visione del mondo di Eschilo è come sempre arcaica, ancestrale e tutta pervasa di Zeus. Agli dei spetta il ruolo di essere misura di tutte le cose; l’uomo, posto nel corso della propria vita davanti a una serie di scelte, è avviluppato nelle maglie di un Destino di natura divina che lo porterà, qualunque decisione prenda, a soffrire e macchiarsi di colpe terribili. Qui la figura tragica è il povero Pelasgo, costretto a scegliere se rispettare la sacra ospitalità o allontanare le Danaidi. Qualunque sia la decisione finale essa sarà intrisa di colpa: se l’uomo, ospitando le ragazze, obbedirà alla volontà degli dei sarà costretto a combattere una guerra che coinvolgerà l’intera comunità su cui regna; qualora invece l’amore per la sua gente prevalga sul rispetto di quelle forze divine che mai hanno ancora prodotto leggi scritte ma che governano il mondo, si attirerà la loro vendetta….Un bivio lo pone, in sintesi, dinanzi a due alternative, entrambe giuste e al contempo sbagliate.

E’ proprio alla luce della necessità di sottomissione dell’uomo all’arbitrio divino che capiamo perché Ipermestra, in un’opera nella quale dall’inizio lo spettatore ha naturalmente parteggiato per le Danaidi, venga assolta nonostante abbia infranto il giuramento con le sorelle. Eschilo vuole ricordarci che nel momento in cui l’essere umano si erge a arbitro unico e assoluto della propria vita, proprio in quel momento, commette il peccato più nefando: egli esclude dai propri progetti le Forze Superiori, rifiutandone il potere. Si macchia quindi di hybris, la tracotanza che induce un umile mortale a pensare di poter organizzare i cardini della propria esistenza disobbedendo alle grandi leggi che reggono il cosmo.

E qui a macchiarsi della peggiore delle colpe sono state proprio le Danaidi. Proprio loro hanno scelto, col rifiuto delle gioie dell’amore coniugale, di ignorare il potere e la volontà di Afrodite, colei che incoraggia la congiunzione fra la terra e il cielo e che diffonde l’Eros nel cosmo, come ricorda Ipermestra nella sua arringa conclusiva, e di sottovalutare l’importanza di Era, divinità protettrice dei matrimoni. Hanno deciso di escludere dalla propria vita la fatale condivisione che rappresenta la sintesi di ogni magia: è il matrimonio l’atto che coniuga infatti amore e nascita, unione di elementi diversi dell’universo che nella fusione e nella creazione raggiungono il massimo della loro potenza.

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