Lo sviluppo tecnologico ha avuto un riflesso enorme sulla musica, in ogni direzione. L’ascolto di ogni singola persona è cambiato, la produzione e la registrazione della musica stessa hanno subito modifiche strutturali e profonde, la distribuzione e la vendita sono state a dir poco stravolte.
Il cambiamento e, di conseguenza, il modo di rapportarsi al cambiamento sono diventati uno degli argomenti principali di discussione tra addetti ai lavori, hanno animato conferenze e dibattiti pubblici. Hanno avuto risvolti importanti anche dal punto di vista sociale con la chiusura di moltissimi negozi dischi – piccoli ma non solo – punti di riferimento culturale per diverse generazioni dagli anni sessanta in poi.
Dal 2009, ho dato vita ad un percorso di interviste e incontri chiamato Dischi Parlanti. Il vero punto di partenza era quello di indagare quali fossero i dischi che avevano instradato musicisti e persone coinvolte nel mondo della musica all’ascolto, prima, e alla decisione di diventare musicisti, poi. In modo naturale e immediato è entrato nel novero delle domande – le stesse per ciascuna intervista – l’evoluzione del modo di ascoltare e il rapporto con i vari mezzi con cui la musica poi la si ascolta.
Si intersecano, nelle risposte, purismi e differenze generazionali, voracità e audiofilia. “Quando ero piccolo non erano molti i dischi che giravano: per questo motivo eri costretto ad ascoltarli e conoscerli bene. Oggi, con le possibilità offerte dal web, uno ha la possibilità di ascoltare miriadi di dischi, ma poi va a finire che non coglie il senso profondo di quanto ha di fronte.” Partiamo dalle parole di Antonello Sorrentino, trombettista, per individuare uno dei punti focali del discorso. Con Paolo Russo, pianista e bandoneonista, invece ricordiamo il “rapporto fisico” con il vinile. “Il disco era suddiviso in un lato A e un lato B, dovevi alzarti per girarlo o cambiarlo, c’era bisogno di pulirlo prima di metterlo sul piatto.” Come ricorda Dino Plasmati, chitarrista, “Mi manca il fatto di mettere il vinile sul giradischi, mi manca il fruscio che ti dava la percezione della realtà dei musicisti che suonavano.”
Tra i diversi aspetti del passaggio alla musica senza supporto – liquida, come dicono alcuni; digitale come siamo abituati a sentirla chiamare – è stata la scomparsa e, ancor più, la cancellazione dalle nostre memorie della musicassetta. “Quando c’era un disco che mi piaceva, mi facevo la cassetta a modino, con tutte le informazioni riportate sopra, musicisti, brani. Ora mi rimane molto meno facile far questo con gli mp3!” È Silvia Bolognesi, contrabbassista, a recuperare il punto su questo mezzo importantissimo per la condivisione e per il passaparola prima dell’avvento della rete: la possibilità di ascoltare un disco prima di acquistarlo, la possibilità di catturare dalla radio, come ricorda Massimo Giuliano, critico musicale e giornalista, un brano per poterlo riascoltare o, ancora, per portare in macchina la propria discografia. Ora basta un messaggio in chat, o un sms, con un link per mettere a parte gli amici di un brano o di un’esecuzione live da ascoltare.
Quando si parla di qualità, spesso, si sovrappongono due concetti diversi: la qualità della registrazione e la qualità dell’ascolto. La smaterializzazione della musica ha tolto la sacralità del rito: l’approccio all’impianto, la disposizione delle casse, l’equalizzazione dei volumi e delle frequenze a seconda della registrazione, il calore espressivo del vinile e i tempi dedicati all’ascolto, cosa di cui, in generale, sono molti a lamentare la mancanza. D’altro canto è aumentata la portabilità, la reperibilità e soprattutto la qualità media della fruizione. Gaetano Partipilo, sassofonista, e Silvia Bolognesi, tra gli altri, pongono entrambi l’accento sull’ascolto della musica in auto, soprattutto nei viaggi verso i concerti: un ascolto migliorato nella resa sonora rispetto all’antico autoradio e reso enciclopedico dalle possibilità di connessione dell’impianto con hard disk e cellulari di ultima generazione. Michele Francesconi, pianista, mette in evidenza come la rete permetta ormai di visionare e ascoltare molteplici versioni di uno stesso brano e diventa così un formidabile strumento di studio. La qualità sonora del compact disc per Gino Fortunato, critico musicale e giornalista, diventa senz’altro il mezzo migliore per l’ascolto del jazz, grazie al progresso e alla perfezione tecnica della ripresa e della riproduzione.
Gli sviluppi successivi hanno anche segnato delle trasformazioni sul modo di concepire la musica. “Basta pensare al passaggio dal 78 al 33 giri, nota Marco Di Battista, pianista. Se prima i brani e, di conseguenza, gli assolo erano costretti nel limite dei tre minuti delle facciate, successivamente la musica doveva essere architettata per il minutaggio maggiore del 33.” Lo stesso è avvenuto con il CD e sta avvenendo ora con i file. Cambia la maniera di registrare e di pensare la musica, di proporla agli ascoltatori e venderla: siamo ora, con la smaterializzazione, in un momento di passaggio ancora più radicale di quanto avvenuto in precedenza con i cambiamenti di supporto che però non hanno mai messo in discussione il rapporto tra artista e ascoltatore, mediato in generale da etichette discografiche, distribuzione e punto vendita. Ora è possibile un dialogo diretto, oltre che un ascolto estremamente mirato e disegnato con estrema puntualità da ogni utente sui propri desiderata: non esistono più i concetti stessi di disco introvabile oppure di attesa per l’ordinazione in negozio. In conclusione, possiamo utilizzare ancora le parole di Marco Di Battista per dire che “la trasformazione dei vari supporti è connaturata all’evoluzione della tecnica” e che il processo è inesorabile nel suo corso e, soprattutto, travolgente e basta un esempio: nel 1990, il lettore CD era a disposizione di un numero limitato di possessori mentre, oggi, sembra un mezzo destinato ad essere velocemente relegato al passato…
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