Maria Lai
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di Maria Pina Usai

Una bambina, una bambina di 91 anni. Questo è Maria Lai, così ama definirsi. E “giocare” è la sua principale attività. Da sempre. Con la serietà e il rigore che ogni vero gioco richiede. Inclusa l’arte.

Ne aveva 62 di anni quando, nel 1981, coinvolse “la sua” Ulassai, un piccolo paese della Sardegna adagiato ai piedi delle montagne Ogliastrine, in un’operazione che a molti, all’epoca, deve essere apparsa come “un gioco”. E chissà che non avesse questo in mente, Maria, quando il Sindaco, nel 1979, le chiese di realizzare un’opera d’arte, quando le chiese di “donare” al suo paese un Monumento ai Caduti.

“No” rispose lei “io un’opera per i morti non la faccio. Se volete, faccio un’opera per i vivi.”

Così rispose, con quella schiettezza sfrontata che solo i bambini hanno.

Passò un anno e mezzo, poi il Sindaco accettò la “sfida”. “E ora?”, deve aver pensato Maria “cosa m’invento?

Decise di mettersi in ascolto paziente, finché, tra le voci narranti della gente di Ulassai, riemerse una leggenda: l’antica storia di una bambina che, mandata sulla montagna, per portare il pane ai pastori, e rifugiatasi con loro in una grotta per ripararsi da un temporale, vide un nastro celeste volare nel cielo, e corsa fuori per inseguirlo, si salvò, mentre la grotta crollava travolgendo i pastori e le loro greggi.

In quel momento Maria capì di aver trovato la soluzione, e capì che avrebbe fatto qualcosa non solo per il suo paese, ma con il suo paese: quel nastro celeste avrebbe legato le case di Ulassai l’una all’altra e poi le avrebbe legate alla Montagna, svelando le tessiture dei rapporti sociali e umani.

L’impresa non fu facile: Maria Lai proponeva di realizzare un’opera d’arte che non sarebbe durata nel tempo, un’azione effimera che, per di più, avrebbe mostrato i sentimenti reciproci di una popolazione abituata a gestire con silenzioso riserbo passioni, rancori e inimicizie. Andò di casa in casa, parlò con le persone: il nastro non sarebbe durato a lungo, ma forse la memoria di questo evento si sarebbe trasmessa come la leggenda della bambina, e si sarebbero potute decidere insieme quali regole seguire per la stesura del nastro.

Così fu, e in accordo con la popolazione si decise il giusto “codice”: laddove tra le famiglie non sussisteva nessun rapporto, il nastro sarebbe passato dritto, un nodo tra due case avrebbe dichiarato un rapporto di amicizia, mentre un pane delle feste appeso con un fiocco avrebbe significato che esisteva un legame d’amore.

Un commerciante di stoffe mise a disposizione tredici pezze di tela jeans, e il paese si mise all’opera, ricavandone ventisei chilometri di nastro celeste.

L’8 settembre 1981 un botto segnala il volo del nastro nel cielo, e Ulassai si mobilita: uomini, donne e bambini si affacciano alle finestre e escono per strada. Il nastro passa di mano in mano, lanciato da una casa all’altra, annodato e addobbato, finché, nell’arco di tempo di un’ora, tutte le case di Ulassai sono legate l’una all’altra.

Nel pomeriggio il momento più atteso: tre scalatori risalgono la parete rocciosa, e, una volta in cima, lanciano il nastro. Ulassai è legata alla montagna.

Maria era riuscita nel suo intento: non aveva realizzato soltanto un’opera d’Arte Pubblica, ma era addirittura andata oltre a quella che viene definita Arte Sociale: aveva fatto si che un intero paese fosse Autore di un’opera d’arte, un’opera d’arte che, da quel momento, si sarebbe definita Comunitaria.

Il concetto di Arte Pubblica assume sempre, in qualche modo, l’accezione di dono: l’artista regala la sua opera alla città, esponendola alla possibilità di un’accettazione o al rischio di un rifiuto e, facendo questo, provoca spesso un dibattito sull’identità di un luogo, sulla capacità di una società di riconoscersi o meno nei posti che quotidianamente frequenta e vive, e spinge la popolazione a riflettere sulla propria storia e sulla propria contemporaneità, coinvolgendola spesso attivamente nell’intervento artistico; è così che l’Arte Pubblica diventa Arte Sociale.

Maria Lai quindi, nell’81, precorre i tempi: oltre ad aver reso l’intero paese protagonista dell’opera, ad averlo reso Artista, con Legarsi alla Montagna dona alla comunità, attraverso l’arte, la possibilità di mettersi in gioco, di superare i limiti di una cultura, quella sarda, spesso orgogliosa e tradizionalista, e di mettere pubblicamente a nudo se stessa, svelando amori e inimicizie; tutto questo attraverso un’operazione che, come scriverà la critica d’arte Alessandra Pioselli nel libro Arte pubblica nello spazio urbano [Bruno Mondadori | 2007], si è articolata secondo un altro modello ancora rispetto a quanto proposto fino a quel momento e anticipando pratiche di lavoro che, in Italia, emergeranno all’incirca oltre un decennio dopo […]

Di Legarsi alla Montagna rimangono oggi due straordinarie testimonianze: il video documentario Legare Collegare, di Tonino Casula, e il lavoro fotografico di Piero Berengo Gardin.

E nelle immagini che ritraggono la performance, Maria non compare.

A Ulassai l’Autore è stato il Paese”, afferma tutt’oggi. Legarsi alla Montagna è il suo dono.

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