Precari tra precari.
Si scrive free-lance si pronuncia precario e forse gli operai in cassa integrazione e i pastori davanti al Consiglio Regionale non lo sanno ma a raccontare su tv, giornali, radio e siti internet le loro storie di ordinaria disoccupazione sono spesso lavoratori meno tutelati e pagati di loro. Pensateci quando vedrete un corrispondete inseguire trafelato il sindaco o il sindacalista di turno: quella giornata di lavoro gli frutterà al massimo 20 euro lordi, ma stiamo parlando proprio dei casi di più estrema generosità da parte dell’editore: in media un articolo vale 6 -10 euro. La maggior parte dei servizi di cronaca che riempiono radio, tv, agenzie, e giornali locali non sono scritti dai redattori ma da co.co.co più o meno regolari, spesso di lungo corso, molti pubblicisti e un buon numero professionisti che lavorano pagandosi a stendo i soldi delle telefonate e della benzina. Lavoratori che se scendessero in piazza probabilmente non troverebbero nessuno a sostenerli perchè fino ad oggi nessuno ha alzato la voce, troppo impegnato a riportare quella degli altri.
La commissione della Fnsi. Il popolo dei precari delle redazioni lo scorso 13 novembre si è ritrovato nella sala riunioni dell’Assostampa convocato dalla Commissione sul lavoro precario costituita in seno al sindacato a giugno di quest’anno, che però ha solo una funzione tecnico-consultiva e nessun potere di contrattazione ne peso politico. Sono due i punti su cui i delegati stanno lavorando: l’indagine conoscitiva sul fenomeno e la battaglia per aumentare i compensi minimi. La squadra ha il compito di predisporre un dossier rappresentativo delle condizioni di lavoro dei free-lance in Italia, articolato per tipo di media e area geografiche. Ma a interessare i presenti è soprattutto il secondo argomento: il miglioramento delle retribuzioni, il minimo garantito per ogni pezzo. Tema su cui la sordità è dilagante e generalizzata. Leyla Manunza, rappresentante dei free-lance sardi nella commissione, spiega la situazione senza nascondere le difficoltà, economiche, di rappresentanza nel sindacato, e anche interne alla commissione, presieduta da una giornalista contrattualizzata che poco conosce dei problemi e della fretta dei suoi colleghi “professionalmente instabili”.
Qualche numero per chiarire. In Italia i giornalisti professionisti contrattualizzati sono circa 12.000 mentre a svolgere attività senza un contratto di lavoro a tempo indeterminato o determinato sono oltre 20.000. I dati sono stati forniti sia dall’Ordine dei giornalisti sia dall’Inpgi, Istituto di previdenza, dove versano i contributi tutti i redattori parasubordinati e collaboratori in diverse forme, dunque non si considera la schiera di giornalisti che lavora senza versare contributi di alcun tipo, i disoccupati (a oggi più di 2500) e chi scrive senza nemmeno il contratto. Scendendo al livello regionale i giornalisti con contratto sono appena 337 a fronte di 619 professionisti (550 professionisti e 69 praticanti) e 1355 pubblicisti. I free-lance che vivono esclusivamente di questa attività sono 626 e c’è poco da essere allegri per loro e per tutta la categoria se è vero ciò che ha detto Franco Siddi, segretario nazionale della Federazione della stampa italiana, che entro il 2011 potrebbero chiudere 40 testate locali e nazionali.
Informazione per missione. In sala siedono uomini e donne tra i 30 e 40 anni per la maggior parte, che scrivono per giornali e tv piccoli e grandi, qualcuno per le agenzie di stampa. C’è chi ha collaborato per anni con un quotidiano e dopo un’assunzione di 18 mesi si ritrova a spasso senza neppure poter più collaborare. E poi ci sono quelli che aspettano i pagamenti da mesi, chi ha un contratto legato alla sopravvivenza di iniziative editoriali che che durano il tempo di una commissione importante, chi spera in un ufficio stampa che in spregio a ogni regola è affidato invece a un redattore. Chi parla racconta la propria storia di impegno e dedizione a 700 euro lordi quando va bene ed è buffo davanti a queste cifre fare i conti sulle proposte di aumentare i contributi a carico dell’editore: la sala sorride, perchè se anche le aliquote contributive fossero portare al 50 per cento – percentuale impossibile – si parla comunque del 50% di 4-6 euro. Difficile che possa essere un deterrente per un editore. E per questo ciò che si chiede a gran voce è un tariffario con minimi garantiti di retribuzione per pezzo, i rimborsi per benzina e per le telefonate. Nell’assunzione nessuno ci spera più, nessuno farà lo sciopero della fame come Paola Caruso, precaria da sette anni al Corriere della sera che si è vista sorpassare da un collega più giovane, ma almeno si vorrebbero compensi dignitosi. Perchè nel frattempo a rimetterci non sono solo i collaboratori ma l’informazione tutta e lo si capisce dal tenore degli interventi che questo sistema ti prende per stanchezza. Così cominci col fare qualche telefonata in meno per comporre il pezzo, ti limiti al comunicato, ti sposti il meno possibile e riduci i tempi per documentarti e scrivere altrimenti i conti a fine mese non tornano. Le inchieste, in queste condizioni, sono proprio un lusso che non ci si può permettere.