La mobilitazione autunnale degli atenei sta paralizzando la didattica di molte università italiane. Da mesi è in atto una protesta che vede uniti i ricercatori a tempo determinato e non, con il sostegno di docenti e studenti, contro la riforma del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini. I ricercatori protestano contro i pesanti tagli ai finanziamenti e contro una riforma che mette a serio rischio il loro futuro e quello della ricerca universitaria. Il blocco della didattica operato dai ricercatori, dichiaratisi ‘indisponibili’, ha mostrato quanto importanti essi siano nel funzionamento dell’Università, facendo contestualmente emergere la situazione di precariato che si nasconde nella figura del ricercatore in Italia.
Il disegno di legge sull’Università (Riforma Gelmini), ora in discussione al Senato1, aggiunge un tassello al piano di riduzione della presenza pubblica nell’Università e di promozione di un modello di scuola privatistico. A questo piano s’ispirano i tagli strutturali decisi lo scorso anno dal Governo con la legge 133/20082, che pone molti atenei in una situazione di oggettiva difficoltà per quel che concerne la loro sussistenza. Nel testo del ddl in discussione al Senato è indicativa la ripetizione per ventisei volte della locuzione ‘senza oneri per lo stato’. S’inibisce, quindi, qualsiasi finanziamento alla ricerca, mettendo a rischio la sopravvivenza stessa di molte strutture universitarie.
I ricercatori, il più basso incarico accademico, protestano sia contro i tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario degli atenei, si parla di 820 milioni nel 2011 su 1,3 miliardi di tagli programmati3, sia per migliorare le proprie condizioni di lavoro. Con l’inizio dell’anno accademico è iniziata la mobilitazione dei ricercatori, riuniti nella Rete 29 Aprile4. Indisponibili a fare lezione, cioè a fare quello che il loro contratto non prevede. I 25mila ricercatori italiani sono i più colpiti dal punto di vista economico e di carriera dall’effetto congiunto della manovra finanziaria e della riforma universitaria, che, oltretutto, prevede la scomparsa della figura del ricercatore entro il 2013. In futuro, infatti, la loro figura sarà sostituita da un altro tipo di ricercatore a tempo determinato, con un contratto triennale prorogabile per soli tre anni per una sola volta, al termine del quale se non riusciranno a vincere un concorso per docente, dovranno andare a casa. E’ la cosiddetta tenure-track, vale a dire, nell’originale versione americana, di un contratto che alla fine del periodo di prova prevede, previa valutazione positiva, l’assunzione obbligatoria a tempo indeterminato. Negli Stati Uniti, però, è prevista fin da subito la copertura finanziaria per le figure da assumere. Nella sua variante italiana, invece, non è prevista alcuna copertura finanziaria per le posizioni permanenti né sono stati individuati i criteri di valutazione per i più meritevoli. Si tratta, quindi, di semplici contratti a termine per i quali la possibilità di chiamata in ruolo diventa irreale. Una disposizione che rende precari tutti i ricercatori5, che oltre a vedersi bloccare la carriera, avranno una penalizzazione sia in termini di salario sia di pensione. Altro punto controverso è il blocco del turn-over, vale a dire la mancata sostituzione dei docenti che vanno in pensione, già previsto dalla legge finanziaria, che grava, soprattutto sui giovani ricercatori.
Il problema del precariato nella ricerca e nella docenza è emerso come una vera e propria emergenza nazionale. Oggi, tra i lavoratori più colpiti, ci sono i precari dell’Università, stretti tra le poche opportunità di un sistema economico in crisi e un sistema universitario pubblico in via di destrutturazione. D’altronde, la questione della fuga dei cervelli conferma che l’Italia non sa né trattenere né attrarre capitale umano. La strutturale mancanza d’investimenti nella ricerca scientifica e nelle sue risorse umane, che ne è condizione imprescindibile, ha messo a serio rischio il futuro di tanti ricercatori e della ricerca di base in Italia. La ricerca scientifica, motore dello sviluppo economico di ogni paese, cammina sulle gambe dei ricercatori. Investire sulla ricerca significa anzitutto investire sul capitale umano.
[1] Al momento il Ddl Gelmini ha subito uno stop da parte della Ragioneria Generale dello Stato e del Tesoro perché privo di copertura finanziaria. L’esame della riforma è stato rinviato dopo la sessione di bilancio. Vedi Stop alla riforma dell’Università. L’Esame Solo Dopo la Sessione di Bilancio di Eugenio Bruno in ‘Il Sole 24 Ore’ del 14Ottobre 2010. La bozza provvisoria del Ddl è disponibile sul sito: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00504430.pdf
[2] L’art. 66, comma 13, prevede tagli pari a 63,5 milioni di euro per il 2009, 190 milioni di euro per il 2010, di 316 milioni di euro per il 2011, 417 milioni di euro per il 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dal 2013. Vedi la legge sul sito http://www.camera.it/parlam/leggi/08133l.htm
[3] Corsa Contro il Tempo per Salvare il Ddl Gelmini, in “Il Sole 24 Ore” del 12 ottobre 2010.
[4] http://www.rete29aprile.it/
[5] Si è cercato di sanare questa situazione con un emendamento che prevede 9000 posti di associato in 10 anni riservati ai soli ricercatori oggi in carica, escludendo, di fatto, i futuri ricercatori. L’emendamento è stato però bloccato dalla Ragioneria Generale dello Stato e dal Tesoro perché privo di copertura finanziaria.