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Il dono del latte
“Il dono del latte” di Veronica Matta

In Sardegna esiste un libro, un saggio antropologico per la precisione, intitolato “Il Dono del latte. La cultura dell’allattamento nella Sardegna tradizionale” che, nato da una ricerca universitaria in antropologia culturale all’Università di Cagliari nel 2002, è stato ripubblicato per la terza volta nel 2011 dalla casa editrice sarda Il Sole di Ivan Botticini, in seguito al riconoscimento politico e sociale della sua qualità tematica, rappresentando un primo passo culturale importante verso la riappropriazione di una pratica nutrizionale infantile e soprattutto verso il recupero del significato culturale dell’allattamento al seno. “Il dono del latte è una pubblicazione promossa dall’Onorevole Amalia Schirru, membro della Commissione Bicamerale per l’infanzia e l’adolescenza.

La sua autrice, Veronica Matta, laureata in filosofia con una tesi antropologica sul sistema alimentare popolare infantile nella Sardegna rurale del ‘900, ha partecipato, in questi ultimi anni, ad un vivace e crescente dibattito in Sardegna; tra conferenze e convegni sull’allattamento materno, insieme a storici della medicina, antropologi, demografi, pediatri, psicologi e rappresentanti politici, è giunta a riportare al centro del dibattito contemporaneo, l’obiettivo principale: restituire centralità di interesse al lattante che ha il diritto di ricevere il suo alimento naturale: il latte materno. Contemporaneamente ha cercato di evidenziare le cause che attualmente impediscono al neonato di poter ricevere la sua alimentazione naturale (ospedalizzazione del parto, medicalizzazione della gravidanza e delle prime cure al neonato, poteri economici delle multinazionali dei sostituti del latte materno, perdita della cultura dell’allattamento al seno).

L’autrice, in particolare, sostiene che, l’allattamento al seno, non è solo una pratica nutrizionale da cui, sia la madre sia il neonato possono trarre vantaggi e benefici fisici e psicologici, ma rappresenta “un fatto sociale totale”, sotto stretto controllo sociale, politico ed economico, in grado di comunicare, perché incapsula molteplici significati culturali elementi dell’organizzazione sociale. L’allattamento al seno, dunque non è un semplice evento naturale, ma una pratica che oggi, come nel passato, è sotto controllo sociale, culturale, politico, fattori che ne condizionano il successo o il fallimento.

In discussione non è il ruolo delle donne nella società di oggi, alcune delle quali rinunciano volontariamente all’allattamento naturale del proprio piccolo, per motivazioni personali (scelta di non voler allattare, carriera, indifferenza verso i benefici del latte di donna a favore di quello artificiale, mal sopportazione del dolore, stanchezza, pigrizia, cattiva informazione, motivazioni di ordine estetico ecc.); la posizione dell’autrice è chiara nel ritenere la questione “allattamento al seno” un argomento né femminista né antifemminista.

Il saggio pone piuttosto, nuovi interrogativi per cercare di capire quali sono le cause che hanno indotto la nostra società a negare il diritto al neonato a ricevere la sua alimentazione naturale; e lo fa mostrando i risultati dell’inchiesta qualitativa d’indagine etno-antropologica, sul sistema alimentare popolare infantile svolta nell’estate del 2002 nelle zone rurali del centro Sardegna.

Attraverso i racconti delle testimonianze femminili, l’autrice riporta in vita un mondo tradizionale, sardo, capace, anche attraverso l’uso del dialetto, di evocare immagini, spazi e visioni, a tratti inquietanti, ma veritiere; uno spaccato di vita tradizionale sarda in cui prevale un’identità femminile intimamente connessa con un reale senso delle cose, una profonda conoscenza “naturale, istintiva, primitiva” che le donne sarde avevano di se stesse e per la propria prole.

Se l’allattamento per molte mamme è un atto del tutto naturale, per altre si configura come una tecnica di comportamento che con modalità diverse, si deve acquisire ed apprendere dalla cultura. Le tecniche e le posture dell’allattamento al seno, nel saggio dell’autrice, fedelmente descritte e illustrate, venivano apprese, soprattutto, tramite l’osservazione e l’imitazione, non venivano insegnate oralmente. Quante donne, da bambine, cullano le bambole nella posizione destra? Non è istintivo: è appreso. L’impostazione giusta si apprende da piccoli, evidentemente quella posizione “appropriata” è stata appresa perché esse provenivano da famiglie nel cui ambito hanno potuto vedere bambini allattati al seno. Le tecniche e i gesti, ritenuti “efficaci”, rappresentavano le espressioni di una cultura orale di un mondo tradizionale, in cui prevalevano modi di apprendimento attraverso la pratica diretta (Ong,1986). In questo modo il gruppo trasmetteva la sua eredità tecnica e culturale accumulata poco a poco, permettendo a ogni generazione di sopravvivere senza dover reinventare tutto (Leroi Gouran, 1977).

Un libro che prende le difese di una pratica fondamentale per la vita dei bambini: l’allattamento al seno, che presuppone un modello di società a favore del bambino e della mamma. Un libro ricco di spunti e di informazioni utili per capire il sistema sociale legato alla pratica dell’allattamento.

Da un lato l’autrice evidenzia i vantaggi dell’allattamento: gli aspetti legati alla salute e alla crescita del neonato, lo spirito comunitario delle donne che aiutavano altre donne quando non potevano allattare (per mancanza di latte o per impegni lavorativi), l’uguaglianza sociale rispetto a questa pratica (il latte non si comprava, si donava); dall’altro, appaiono con nudità e crudezza anche gli svantaggi per le donne che allattano: le mastiti, i dolori a volte insopportabili, la debilitazione fisica dovuta ad un massiccio e prolungato allattamento (quest’ultimo voluto e protetto in ogni modo dalle donne sarde, perché risultava in qualche modo salutare per le circostanze di vita in cui il bambino veniva a trovarsi; ritardava lo svezzamento con cibi impropri, e quindi le infezioni gastrointestinali che in quei tempi decimavano l’infanzia sarda e italiana).

“I bambini, bevevano latte crudo e non sterilizzato, spesso conservato in recipienti di pelle o di sughero; mangiavano zuppe di pane d’orzo, frutta immature, legumi, fave e fagioli mal cotti”. Spesso gli alimenti sostitutivi che si somministravano ai bambini erano poveri di sostanze nutrienti e indigesti, gli oggetti di consumo infinitamente più rozzi e poveri. Dal pasto che consumava il resto della famiglia, si riciclava qualsiasi cosa, in quest’ottica è evidente quanto l’allattamento al seno materno fornisse il migliore inizio alla vita di tutti i bambini, e come in una società di poveri, in cui l’economia e la medicina erano meno sviluppate delle attuali, costituisse un indispensabile fonte di sopravvivenza.

Non ci sono dubbi sull’utilità dell’allattamento naturale in quel periodo storico; è certo che, in una società povera, caratterizzata dalla mancanza di regole di igiene e dei servizi sanitari, poter nutrire il neonato con il latte di donna, costituisse un dono di Dio. Le donne che sono state intervistate, durante l’inchiesta, da Veronica Matta, ricordano terrorizzate l’alta mortalità infantile che caratterizzò la loro epoca, ma ben lontana da loro era l’idea che i nuovi mezzi e sistemi alimentari potessero sostituire con successo il latte materno. Sapevano quanto fosse stato onorato, dalle loro madri e prima ancora dalle loro nonne, il seno materno, il solo capace di sottrarre i neonati alle stragi spaventose delle malattie intestinali. E si stupiscono di quelle donne che oggi non accettano più con l’antico orgoglio questo dovere, né sono turbate nel trascurarlo.

Hanno allevato i loro figli a partire dal primo dopoguerra; raccontano di esistenze durissime, fatte di lunghi orari di lavoro fuori e dentro casa, sopportati per amore dei figli, della famiglia. Questo spiega l’inquietudine e gli sforzi meravigliosi che ciascuna madre faceva perché ogni bambino avesse il latte di donna. Non si rassegnavano per niente, né di fronte alla miseria più nera né alle più dure ed estreme condizioni in cui dovevano vivere. Tutt’altro era proprio in quei momenti, cosi tragici e drammatici, che i rapporti comunitari si facevano più forti; le donne in particolare modo si davano un grande aiuto, si trattavano come sorelle, come eguali, mettendo il latte delle madri a disposizione di chi ne aveva bisogno; insieme ascoltavano i consigli delle più anziane, delle loro madri e nonne, cercando i rimedi più disparati pur di non perdere il loro latte, quindi, pur di non far morire la loro creatura.

C’è un momento storico in cui questa pratica nutrizionale e culturale – che esiste da quando è nata la vita umana ed animale – viene a mancare.
Il modello organizzativo della società italiana e sarda muta, e con esso scompaiono i punti di riferimento tradizionali che reggevano la struttura famigliare rurale tradizionale.

Se nel passato la neo mamma era contornata dal cosiddetto vicinato, che la sgravava dalle incombenze domestiche e la rassicurava sulla sua adeguatezza di nutrice, supportandola con consigli e sostegno materiale, oggi, le neo mamme, che quasi mai hanno visto allattare le proprie madri, sono spesso impreparate ad esercitare questo ruolo, sono frastornate e bombardate da messaggi contraddittori ed eterogenei sia sulla gestione del neonato. Soprattutto, sull’allattamento, e se ciò non bastasse, devono, in nome di un distorto concetto di efficienza, recuperare presto il proprio ruolo nella famiglia e nella società, a scapito del proprio rapporto col bambino e del rispetto dei suoi tempi e delle sue esigenze.

La società cambia, si assiste ai continui inarrestabili “progressi” tecnologici e al miglioramento delle conoscenze sui contenuti nutrizionali”; si cerca di faticare sempre meno, di trovare sistemi comodi di organizzare la vita che evitino sempre meno sacrifici e meno sofferenze e l’allattamento al seno è un impegno che alcune donne cominciano a non voler più affrontare. Si potrebbe ipotizzare che la soglia della sopportazione del dolore o della sofferenza è diminuita sempre di più, fino ad arrivare all’intolleranza per qualsiasi tipo di lavoro o di sforzo che non sia accettabile dal senso comune. Ma non è solo questo, non è solo colpa delle esigenze sociali delle donne.

Una delle cause fondamentali della forte diminuzione dell’uso dell’allattamento naturale è sicuramente l’enorme giro d’affari, dovuto alla crescente ed esplosiva commercializzazione del latte artificiale da parte di alcune multinazionali che pubblicizzano il latte artificiale come sano, come equivalente o migliore del latte materno. Contravvenendo in questo modo al Codice Internazionale della commercializzazione dei sostituti materni, che vieta di fare pubblicità ai sostituti artificiali del latte materno, “regolamentando le vendite e le promozioni inappropriate degli alimenti per l’infanzia che possono essere usati per sostituire il latte materno”.
Certamente ciò ha influito nel passato e influisce ancora oggi, sulle abitudini e scelte delle donne rispetto alle pratiche d’allevamento e di cura dei propri figli.

Con il latte artificiale cambiano diverse cose: il latte artificiale non difende i bambini dalle infezioni e malattie, non trasmette gli anticorpi, il rapporto tra madre e figlio non è più così forte, il latte artificiale costa e perciò crea differenze tra madri ricche e madri povere. Il latte materno è, in qualche modo, egualitario; l’inchiesta effettuata da Veronica Matta nella Sardegna rurale del passato dimostra la diffusione del baliatico chiamato, dall’antropologa Gabriella Da Re, “comunitario o egualitario” che si effettuava spontaneamente e gratuitamente tra i gruppi meno agiati e non richiedeva un contraccambio necessario e immediato. Le donne del paese si rendevano disponibili ad alimentare i neonati altrui senza chiedere nulla in cambio. Il dono del latte era si una forma di scambio sociale, visto la sua frequenza nella vita quotidiana di allora, ma ancora più importante erano i legami sociali cui dava luogo. Un particolare rapporto, la parentela di latte, nasceva tra la balia, che diventa “mamma tittedda o mamma de latti” (mamma di tetta o mamma di latte) i suoi figli e l’allattato, che diventano “fradi de latti” (fratelli di latte). Una pratica che tutte le donne sarde portavano avanti senza nessuna remora.

Al giorno d’oggi l’allattamento naturale non è ben visto nei luoghi pubblici, e questo insieme ad una serie di fattori discutibili, ha finito per influenzare anche le abitudini private. Se poi guardiamo ciò che accade in alcuni ospedali, ci accorgiamo che la situazione è ancora peggiore, perché è proprio li che i bambini vengono nutriti con il latte artificiale, provocando da subito l’assuefazione.

Non a caso, “L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ed il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) hanno posto l’enfasi per molti anni sull’importanza di mantenere la pratica dell’allattamento al seno – e di farla rivivere ove sia in declino – come un modo per migliorare la salute e la nutrizione dei lattanti e dei bambini”.
Il tema della maternità è sempre attuale, anzi sempre più, vista la diminuzione costante delle nascite. I neonati hanno bisogno di molte cure e attenzioni, hanno bisogno della presenza costante della mamma, hanno bisogno di un nutrimento sano e naturale: hanno bisogno dell’allattamento materno naturale.

“Il dono del latte. La cultura dell’allattamento nella Sardegna tradizionale” è un libro-inchiesta sull’allattamento naturale nel passato in cui vengono descritte le forme tradizionali d’alimentazione infantile con una finalità che l’autrice precisa sin dalla nota introduttiva del saggio: la difesa di una pratica in via di estinzione in un mondo, quello della nutrizione dei neonati, in cui gli unici a perdere sono proprio i bambini. In virtù di alcune riflessioni in ambito della nutrizione moderna e dei suoi misfatti, che non fanno più storia ma cronaca, si pone in evidenza tutta una serie di problematiche ancora irrisolte nello studio delle determinanti della sopravvivenza infantile nel mondo, mettendone nuovamente in luce la complessità. Molti sono i problemi aperti e gli interrogativi che restano senza una risposta e richiedono ulteriori studi e ricerche.

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