Povertà
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di Laura Gatto

“Siamo quella percentuale di cittadini europei e poveri del terzo millennio. Da quest’anno vogliamo prendere la parola, confrontarci e agire. Aiutateci, non siate ciechi né sordi. Tra di noi c’è gente povera da sempre, gente che ha perso il lavoro, gente vittima di una disoccupazione di lunga durata, gente con uno stipendio insufficiente, gente che vive in una condizione di diseguaglianza economica e sociale, gente ai margini delle opportunità, gente degli stenti quotidiani, pensionati da fame, giovani plurilaureati senza opportunità di inserimento lavorativo.” Sono queste le voci protagoniste de “l’anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale”, fissato per questo 2010. L’iniziativa è stata decisa e programmata prima della crisi economica e si fa ancora più pregnante dato che quest’ultima sta assumendo il volto poco rassicurante di un peggioramento minaccioso della qualità delle condizioni di vita, con un restringimento quasi soffocante delle opportunità di una esistenza dignitosa.

“Da dove veniamo e verso dove siamo diretti?”: è questa una domanda che l’uomo si pone dalla notte dei tempi e che possiamo prendere a prestito dalla filosofia per intraprendere un viaggio di lettura e comprensione di ciò che sta accadendo nell’ambito delle condizioni di vita dei cittadini dell’Unione Europea. Una netta linea di demarcazione ha sempre diviso il mondo ricco da quello povero e, nell’immaginario comune, la povertà è l’icona dei paesi africani, asiatici e dell’America Latina, contrapposti al resto del mondo in piena salute fisica e spirituale e sinonimo di benessere ed abbondanza. Ma è davvero così la realtà dei fatti?
Sulla povertà dei paesi cosiddetti in via di sviluppo purtroppo non vi è dubbio, per l’unione Europea si delinea un’altra questione: essa rappresenta un’area ricca rispetto al resto del mondo tuttavia quegli elevati standard di vita, urlati da spot televisivi e manifesti pubblicitari, si riducono ad una ostentazione di una ricchezza che è povertà nella sostanza, fatta di stenti quotidiani da parte del 17% dei cittadini europei e da una diminuzione del benessere economico e sociale generale. Cosa significa questo? Ebbene, che nel terzo millennio una fetta non indifferente della popolazione dell’unione europea non ha accesso ai beni e ai servizi essenziali e primari e provenendo da una cittadinanza attiva di diritto si dirige verso una sostanziale esclusione sociale, insomma, dal centro ai margini delle opportunità di benessere esistenziale.

Entriamo ora nello specifico della questione sociale attraverso un viaggio nell’intimo vissuto quotidiano, capace di farci vivere e comprendere le problematiche di questa moderna “questione sociale”. Essere poveri nel terzo millennio europeo significa non disporre di almeno il 60% del reddito medio del paese di appartenenza e vivere una condizione di diseguaglianza.
In Italia si delinea una questione sociale nella più ampia questione sociale, cioè una povertà che colpisce sì tutte le regioni ma che si accentua nel Mezzogiorno, anche se i sintomi di tale malessere sono universalmente europei, ai danni di giovani e anziani: le fasce più deboli della società per antonomasia. Ma alla povertà precipuamente materiale, dovuta ad una mancanza in termini di accesso ai beni materiali atti alla sussistenza e al soddisfacimento dei bisogni primari per cause monetarie e redditizie, si associa inevitabilmente una povertà sociale da intendersi come preclusione all’inclusione nel circuito sociale. Povertà materiale ed esclusione sociale fanno dell’uomo contemporaneo il simbolo della vulnerabilità e dell’incertezza, nonché facile preda di stati di malessere psicologico e di azioni illegali per la sopravvivenza, quali lavoro in nero e partecipazione alla micro e macro criminalità organizzata. La cittadinanza così perde il suo significato di diritto-dovere per divenire una condizione di reclusione, di impotenza e di privazione della propria dignità, una condizione di vita difficile in cui è impossibile compiere delle scelte per la propria autorealizzazione.

L’esclusione sociale comporta un vivere ai margini della società e alle dipendenze dell’assistenzialismo di associazioni e di amministrazioni locali, che nel migliore dei casi rimangono l’unico legame con la società la cui dipendenza però è un ricordo quotidiano della propria povertà esistenziale. La mortificazione e la vergogna che derivano da una tale esistenza marginale portano ad un allontanamento dalla vita sociale dettato dalle circostanze e vissuto come inevitabile, in tal modo la povertà finisce con l’essere consumata in una solitudine ancora più schiacciante che scaraventa la soggettività e l’individualità in una periferia spirituale rendendo fragile il rapporto con gli altri e con se stessi. Tempo e risorse fisiche e mentali vengono tutte utilizzate per cercare di arrivare non alla fine del mese ma alla fine della giornata, con sensazioni di impotenza che finiscono con l’avere ripercussioni negative sulla stabilità degli affetti fino, nei casi più drammatici, alla disgregazione familiare. Le frustrazioni quotidiane inevitabilmente finiscono con il corrodere i legami affettivi i quali divengono il bersaglio principale contro cui sfogare l’insoddisfazione. Per quel che riguarda la cura dei figli, poi, l’esclusione sociale determina una carenza in termini di quantità e qualità e di opportunità educative e formative: fin da piccoli si fanno i conti con genitori avviliti e con una società che opprime e, al contempo, tenta. Ecco allora che, in alcuni casi, il lavoro minorile diviene fonte di reddito per le famiglie povere e spesso numerose con pesanti ripercussioni sul pieno godimento del diritto alla studio e un drammatico depauperamento della possibilità di emancipazione socio-culturale e di partecipazione attiva alla comunità di appartenenza: la povertà finisce così col divenire una pesante eredità tramandata a figli e nipoti e alle generazioni a venire!

Tutto questo determina una involuzione nel processo di umanizzazione della condizione di vita della società civile che, per essere tale, deve garantire a tutti un pieno godimento della condizione di benessere fisico, psico-affettivo e sociale da svilupparsi nel rispetto della dignità di ciascuno. Il 2010 è quindi investito da questo importante obiettivo umano attraverso l’impegno congiunto e sinergico dei rappresentanti dei paesi membri e il coinvolgimento della comunità nel suo insieme. Da esso ci attendiamo l’inizio di un viaggio di ritorno dalla marginalità al centro del pieno godimento del diritto ad una cittadinanza attiva come base per una esistenza all’insegna della dignità e del benessere.

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