Abbiamo desiderato noi pure esserlo, chissà quante volte invisibili. E altrettante lo siamo stati, probabilmente in maniera involontaria, perché invisibile è tutto quello che fugge all’occhio, come quando camminando incontro a una fiumana di gente, in molte sono le facce che ci lasciamo scivolare addosso senza vederle per davvero.
E’ una particolarità a trattenere l’occhio, o la curiosità di trovare, di scoprire. Se non altro le cose quando invisibili hanno il pregio di conservarsi dimenticate. E’ per questo forse che la vetusta Sardegna si è conservata, perché non vista. A sapere quanto di bello c’era pensate che non sarebbe stata saccheggiata di pietre, di acque, di sorrisi e di cultura come lo fu di querce e speranze?
Tra il mezzo dell’ottocento e l’esordio del secolo scorso l’isola fu oggetto di lunghi viaggi. La si raggiungeva con la speranza di tornare a casa con un trofeo, un racconto insolito, un episodio vissuto e inedito. E Ichnusa offriva, si offriva. A vederla per davvero dopo secoli, con quella sorpresa dell’avventuriero esploratore furono i viaggiatori venuti da lontano, dalla Francia, dall’Inghilterra, dalla tanto vicina eppure straniera Italia. Nei diari di viaggio, divenuti infine manuali dell’esploratore troviamo un Lawrence meravigliato, un La Marmora curioso, un Vuillier attento a quei particolari che decise di incatenare fra carta e matita. Oggi raccontano ai sardi di una terra perduta, dimenticata, invisibile, che si potrà ritrovare attraversandola al ritmo del sogno, lentamente. Un po’ come fa il trenino verde, che la incide come un pane appena sfornato, mostrando il suo cuore caldo e fiero solo a chi ha la pazienza di osservare.
Percorrerla per un breve tratto al passo pigro di un piccolo treno verde è stato come conoscere un aspetto nuovo del carattere di chi già si credeva di conosce bene. Il viaggio è partito da Mandas, con la sua stazione minimalista e retrò, che contribuisce a precipitare il visitatore in un’epoca altra. Ci passò anche Lawrence a Mandas, che incredulo guardava la Sardegna e vedeva la Cornovaglia. Costante del viaggio il borbottio di una linea ferroviaria che passeggia, non corre, fatta di piccoli corridoi e poltrone di pelle bordeaux con finestrini che si affacciano sul mondo, quello di Sardegna naturalmente. Sarei rimasta ore infinite a spiare quel paesaggio che da collinare si è fatto di montagna, di roccia dura e di acqua fredda, di un muschioso verde inteso e profumato.
La prima sorpresa è stata quella del Flumendosa che si trasforma in lago fra Orroli, Nurri e Palarana, sfiorato da un imbarcazione che vi galleggia placida. Tutto è calma soleggiata e silenziosa. Verrebbe voglia di farsi più vicini a quel lago invisibile finalmente scoperto. Ma il treno riparte a suo modo spedito, attraversando nere e umide gallerie che penetrano collinette granitiche per rigettarci nel grembo del nulla.
Il nulla a Palarana è visuale bucolica sul Flumendosa, angolo di cielo fra due gallerie e casa cantoniera detta della punizione. Vi capitavano, così ci è stato raccontato, i dipendenti più riottosi abbandonati per giorni nel niente più sconfortante. La casa oramai è abbandonata, ancora arredata di tutto punto e dietro la polvere si scorgono lanterne, tavoli, forno sardo e scale che conducono non saprò mai dove. Ci si attende da un momento all’altro di scorgere il capo cantoniere sbucare dall’angolo più buio di quella casa rettangolare, ma è solo illusione.
La casa della punizione l’abbandono con una certa reticenza. Profuma di antico, ha tutto il sapore del passato e dell’invisibile scoperto. Ma la galleria ci avvolge e Sadali si presenta infine taciturna e sonnolenta in una domenica come tante.
E’ un paesino fatto d’acqua, di muschio, di ricordi e si presenta con una delle sue carte vincenti: le Grotte Is Janas.Scommetto che vi riposano ancora le tre sorelle fate, alle quali non riuscì di cacciare via il prete insistente, appeso oggi al soffitto in forma di stalattite. La grotta accoglie umida e palpitante, la leggenda delle Janas affascina gli avventurieri di oggi che stropicciano gli occhi davanti a tanta meraviglia da pochi vista. Il cuore della caverna è la stanza detta Su Longu, un tempo ospitò rituali votati alla Dea Madre custoditi nel ventre della terra rigato d’acqua. Ritrovare la luce del sole all’uscita delle grotte è confortante e il verde toccato dalla luce acceca.
Niente di tutto ciò in Sadali paese seppurel’acqua è presente anche qui.
La sua espressione più intesa è nella cascata detta di San Valentino, che un tempo con la sua forza muoveva un mulino. Invisibile per molti, oggi si scopre oggi fra schizzi e fiori. Per il resto Sadali è botti ricolme di terra e verde agli angoli di ogni strada, e foto plastificate che imbellettano ogni vicolo. Raccontano di ieri, strappando al fascino dell’invisibile una storia che non intendono dimenticare. Al rientro ad attendermi Mandas illuminata di poche luci d’arancio. Lawrence ancora parla dalla targa infissa in stazione, la Sardegna riscoperta è più silenziosa, ma palpita nella mente di chi l’ha ritrovata.