Porto di Palermo
Share

Di storie e di civiltà i porti mediterranei sono pieni e chissà quanti singoli racconti contenevano idealmente tutte le spedizioni di carattere commerciale e mercantile che da sempre accompagnavano le andanti navigazioni in perenne movimento marino. Navi che solcavano le onde per guerreggiare, scoprire, innovare, in un mare che poteva lasciare intravedere nuovi orizzonti, nuove lotte, nuove dinastie e nuove avventure da constatare concretamente nello scalo di arrivo.

Un andirivieni continuo e costante, mutato di secolo in secolo in base ai fatti e agli avvenimenti della storia e caratterizzato da un fattore pluri terminologico denominato, in glottologia, interferenza e che ha dato origine ad un fenomeno di vero e proprio meticciato linguistico orale unico e per questo patrimonio inestimabile nella complessa rete di intrecci da sempre retaggio culturale del Mare di Mezzo. Nel caso qui particolare, ci riferiamo ad un periodo probabilmente iniziato con le Crociate, primo grande momento di incontro tra gli europei e i popoli levantini e proseguito fino a tutto il XIX secolo, in un momento storico dominato dai contatti navali provenienti da Repubbliche Marinare, Greci, Arabi e Turchi e che avrà una successiva appendice durante le prime fasi dell’occupazione francese in Algeria nel 1830.

Il modus comunicandi era dunque costituito da una lingua franca – termine che deriva dall’arabo lisân al-ifranj o lisan-al-farangi, e che si riferisce arabicamente alla accezione Franco/dei Franchi, utilizzato per indicare gli europei in generale – più tardi noto come petit mauresque o sabir, vocabolo indicante il sapere e la conoscenza che doveva servire di immediato impatto ai fini di una reciproca intesa.

La particolarità del Mediterraneo ha visto in questo linguaggio di mera utilità comunicativa una sorta di incontro lessicale tra particolarismi di maggioranza romanza e lievi prestiti semitici, che riusciva ad avvicinare diverse e divise individualità nell’onda dello scambio e del contatto.

Idioma longevo dunque, di durata quadrisecolare, contraddistinto da una sintassi estremamente semplificata e derivata da un punto di vista terminologico dallo spagnolo e successivamente dall’italiano e che utilizzava schematici semplicismi avulsi da ogni distinzione grammaticale sia per quanto riguarda la forma nominale che quella verbale.

E’ affascinante pensare che fino agli albori del Novecento commercianti, armatori, pescatori, pirati e marinai in partenza o in arrivo a Genova, Valencia, Algeri, Napoli, Tangeri, Marsiglia, Palermo, Salonicco o Istanbul parlassero e si esprimessero attraverso questo filtro di comune linguaggio, quasi annullando d’un tratto le differenze culturali e le distanze chilometriche tra le due sponde marine, pronunciando frasi del tipo seguente:

“Mi star contento mirar per ti” “sono contento di vederti”

“Cosa ti ablar?” “cosa dici”

“Mi tener piacer conoscir per ellu” “ ho piacere di conoscerlo”1

Tali esempi dimostrano la presenza radicata di elementi romanzi, anche se come abbiamo detto anche l’elemento turco e quello arabo sono presenti, sia pure in forme minori.

Tralasciando il carattere appartenente all’analisi sintattica, resta di notevole impatto culturale il fatto che un irregolare contenitore di diversi vocaboli appartenuti alle principali dominazioni di un’epoca vasta e variegata abbia influito sul linguaggio e sullo stesso modo di rapportarsi delle popolazioni mediterranee portuali.

Il lento e successivo declino della rotta mercantile nell’area a favore di quella atlantica e la disgregazione delle formazioni imperiali e statuali multietniche a favore dei rispettivi nazionalismi, unitamente alla politica di assimilation coloniale hanno favorito l’estinzione definitiva del sabir, segnando de facto il limes tra necessari bisogni di relazioni e convinzioni riguardanti divisioni territoriali prive di opportuna mediazione.

I pochi studi effettuati su questa lingua non ne cancellano certamente la sua importanza, tanto da essere stata negli ultimi anni a pieno titolo riabilitata in un filone musicale che recupera alcuni testi che furono scritti in sabir (Novalia, Piccola Banda Ikona, Raffaello Simeoni) e che si pone come fine l’utilizzo della lingua e dello stesso vocabolo come metafora per ricomporre, attraverso suoni e parole, quel dialogo ieri necessario per commerciare nei porti e oggi unica base per ricondurre, dal mare verso la terraferma, possibili sviluppi intercomunicativi.


[1] A. Nocentini, L’Europa linguistica – Profilo storico e tipologico, p. 74

Leave a comment.