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Di Cinzia Olianas

Dai tempi più remoti fino ad oggi, la donna ha assunto ruoli molto diversi, il suo status variava da civiltà a civiltà anche nel medesimo periodo storico.

Statua di Penelope
Statua di Penelope

L’icona femminile è presente tra i primi oggetti di culto creati dall’uomo, incarna la prima forma di divinità, capace di generare la vita e dare nutrimento. Rapidamente diviene punto di riferimento in quelle statuette volumetriche raffiguranti la dea madre, tanto diffuse dal neolitico e tali da costituire quasi un comune denominatore tra le civiltà del Mediterraneo.

Al ruolo centrale della donna nella società matriarcale si va sostituendo la maternità che, sotto certi aspetti, riveste la donna di una grande responsabilità sociale, le viene associata la funzione procreatrice, sino a trattarla con pena se non anche con malcelato disprezzo quando essa non aveva marito né prole. La storia è costellata di episodi di donne ripudiate quando non concedevano eredi allo sposo, fatto che la dice lunga sulla responsabilità che pesava su di lei, senza che mai fosse messa in dubbio la fecondità maschile.

Un esempio universalmente noto di donna forte e devota allo stesso tempo è in Omero. Penelope tesse e disfa la tela continuamente per sottrarsi all’imposizione del matrimonio con un altro uomo. Essa è evidentemente una figura ideale che riunisce quelle virtù femminili e, in questo, lei è molto diversa dalla regina dei Feaci, Arete. E’ a quest’ ultima, e non al re Antinoo, che Ulisse stesso deve chiedere ospitalità e aiuto, sintomo di una ben maggiore rilevanza presso i Feaci del ruolo della regina rispetto a quello del re.
Ma si inizia nella preistoria. Restituire oggi un volto alla donna in quell’età non è semplice, tuttavia, alla luce delle conoscenze acquisite, è evidente che le donne svolgevano compiti non dissimili da quelli degli uomini. Si ritiene prendessero parte alla caccia praticando una vita nomade insieme alle comunità cui appartenevano, spostandosi nei territori secondo i ritmi stagionali scanditi dalla natura e dagli astri. Innumerevoli sono le raffigurazioni femminili nelle incisioni rupestri, come anche le piccole veneri preistoriche giunte a noi scolpite su pietra, divinità volumetriche definite steatopigie dagli studiosi.

L’evoluzione che guidò l’uomo verso l’agricoltura spinse le comunità verso vere e proprie forme insediative stabili, accentuando la differenziazione uomo donna. La procreatrice diviene fulcro della comunità e, nel progressivo adattamento ad una vita sedentaria, si specializza sempre più in attività artigianali come la tessitura, la trasformazione del cibo e la produzione ceramica. Con l’introduzione della lavorazione dei metalli lo sviluppo tecnologico eleva a potenza l’importanza del ruolo maschile ridimensionando ulteriormente il ruolo della donna, semplice nutrice, portatrice del seme che genera la vita. Così, ridotta a strumento, vede padri o mariti impossessarsi di lei come di una proprietà, finendo relegata, salvo poche eccezioni, in una sfera marginale della società antica.

La condizione della donna in età storica muta secondo una costante legata alla comunità cui essa appartiene: il riconoscimento giuridico come persona. Questa conquista è riservata soltanto alle donne di elevato rango sociale. I più antichi codici curavano principalmente degli aspetti pratici inerenti le figure di sacerdotessa, madre e moglie, mostrando squilibri a vantaggio degli analoghi ruoli maschili. In Mesopotamia, avuto riguardo per la diversità tra le diverse città stato, i vari periodi storici conoscono progressivi cambiamenti ed è oggi possibile affermare che in quelle regioni non vi fosse la parità tra i due sessi. Anche oggi, vari paesi del Mediterraneo, non meno che in altre parti del mondo, la donna vive spesso in un clima di subordinazione, tanto per la posizione delle istituzioni quanto nel sentire popolare. Essa è fatta oggetto di più gravi responsabilità e colpe, a dispetto delle attenuanti concesse all’uomo e, talvolta sono severissimi giudizi cui, anche innocente, viene sottoposta.

La “signora della casa” dell’antico Egitto accudiva alle faccende domestiche e, in quell’aristocrazia, le era concesso di condividere insieme ai figli, in una misura limitata, la vita pubblica con il marito. Mentre, per i casi di sterilità e adulterio, era previsto il divorzio con l’obbligo per il marito di corrispondere gli “alimenti” nella misura di un terzo rispetto alla quota definita dall’accordo nuziale. Al marito, era concesso di risposarsi, mentre lei otteneva la parità soltanto alla morte, nel trattamento funebre.

Quanto all’Egitto, è bene ricordare una illustre eccezione, la regina Hatshepsut, rappresentante della XVIII Dinastia (1479-1457 a.C. circa) che veniva eloquentemente raffigurata, per sua stessa volontà, in panni maschili e barba posticcia proprio perché alla donna non era concesso divenire faraone, sebbene essa stessa potesse divenire sposa favorita del sovrano-dio e in virtù di ciò essere rappresentata con lui nelle immagini pubbliche, fatto molto significativo.
In epoca greca arcaica e classica, prima dei cambiamenti intervenuti nel periodo ellenistico, il ruolo della donna, in una società dall’impronta alquanto maschilista, era marginale ed il matrimonio era volto a suggellare le alleanze tra famiglie. Esisteva il gineceo un’abitazione riservata alle sole donne, ed esse erano escluse da ogni attività pubblica eccetto le ricorrenze religiose.

Si praticava la prostituzione, una funzione talmente importante da essere istituzionalizzata con Solone e considerata sacra presso i Fenici. Questi ultimi, nei loro templi dedicati alla divinità protettrice dei naviganti, riservavano alle donne la redditizia attività. All’onore di poter servire la divinità, con il proprio corpo, si aggiungevano le cospicue entrate per le casse del tempio. Nella Roma arcaica poi, era riservato al pater familias perfino il diritto di vita e di morte su moglie e figli e, per quanto si vada avanti nella storia di questa grande civiltà, raramente la donna ebbe posizioni fondamentali che non fossero quelle solite di madre, moglie e figlia. Un esempio virtuoso passato alla storia è quello di Cornelia, la madre dei Gracchi. In epoca romana imperiale è invece tristemente famosa la figura di Agrippina, madre di Nerone, nota per le sue macchinazioni e la sete di potere, desiderosa di regnare in vece del figlio rendendolo un fantoccio nelle sue mani. Ma questo atteggiamento e questa sua bramosia vennero stroncati dallo stesso Nerone, che, come si sa, ne commissionò l’assassinio.

Ancora tanti altri esempi potrebbero essere fatti anche per epoche più recenti, ma non ci si soffermerà ad elencarli tutti. Ciò che vale la pena di sottolineare è proprio la valenza plurima e talora contraddittoria, del ruolo della donna che, per lo più succube della supremazia maschile in tutti i campi, era considerata alla stregua di un oggetto idonea solo ad esser moglie o a dare figli e, emergendo, talvolta con prepotenza e forza, nel bene e nel male.
Oggigiorno la donna è in parte riuscita ad affrancarsi da tale condizione, ma non sempre e non dappertutto, continua ad essere vista con sufficienza, sottovalutata e ritenuta incapace di svolgere mansioni considerate tradizionalmente maschili. Perfino laddove una donna gode, sulla carta, di libertà e parità di diritti, non cessano episodi di subdolo maschilismo, con donne abusate e private della libertà da quelle stesse persone che avrebbero dovute amarle e rispettarle… nella buona e nella cattiva sorte.

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