di Liliana Navarra
“Mi hanno chiamato folle; ma non è ancora chiaro se la follia sia o meno il grado più elevato dell’intelletto, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non nasca da una malattia della mente, da stati di esaltazione della mente a spese dell’intelletto in generale”
Edgar Allan Poe – da Eleonora, 1842
La follia, questa affascinante sconosciuta che ammalia sussurrando incanti nelle menti di animi sensibili e creativi, può essere la causa o per meglio dire il vero demiurgo creatore dell’arte? Ha influenzato pittori, scrittori, cineasti, nessuno ne resta indifferente. C’è chi la usa per etichettare individui stravangati, sui generis, per cercare di emarginarli. Ma c’è sempre chi riesce a sfruttare tale situazione a suo favore ed è qui che incontriamo il confine tra la follia e la genialità. Un confine, linea o filo su cui entra in scena, come un funambolo João César Monteiro.
Folle o genio, rivoluzionario o reazionario, artista della costruzione o della distruzione, Monteiro era sopratutto il cineasta della società portoghese. Le sue creazioni artistiche ed estetiche erano il veicolo privilegiato per l’affermazione del suo punto di vista.
Tagliente e polemico, mai si adattò ai canoni convenzionali, preferendo la commedia come canale satirico e comico, attraverso il quale lasciava fluire le sue alchimie verbali.
L’aspetto che più di tutti deve essere evidenziato è l’inclinazione che il regista aveva per l’individuo “marginale”, ospite scomodo di una società decadente.
Sempre si lasciò affascinare dai meccanismi della mente e dalle sue devianze, prova ne sono i suoi film. Ospedali psichiatrici e reclusioni scandiscono due dei capitoli della sua trilogia: il primo, Recordações da Casa Amarela (Ricordi della Casa Gialla – 1989) e il terzo As Bodas de Deus (Le nozze di Dio – 1999).
Il dramma della follia è già presente nel primo capitolo dove il protagonista João de Deus, interpretato dallo stesso JCM, internato per aver indossato un’uniforme militare con l’intenzione di marciare fino al Parlamento, corre in senso antiorario nel cortile panottico dell’ospedale psichiatrico Miguel Bombarda.
In un’intervista, Monteiro ci spiega che “il movimento – non a caso – avviene da destra verso sinistra, perché così è più violento”, per lui, infatti, è importante evidenziare lo sforzo fisico e visivo del “corpo attoriale”1, questo perché, come lui sosteneva, “il lato fisico del cinema sta scomparendo un pò ovunque.”2
L’ospedale costruito nel 1896 dall’architetto José Maria Nepomuceno, è l’unico esempio di struttura panottica in Europa. Lo spazio è stato più volte utilizzato nella cinematografia portoghese, ricordiamo ad esempio il documentario Jaime di António Reis (1974), che ritratta la vita di Jaime Fernandes lì ricoverato.
Molte le analogie con il primo capitolo del trittico monteiriano, come ad esempio, il cortile, la cella/stanza e il refettorio. Analogie sicuramente scaturite dal fascino che il film di Reis ha suscitato in Monteiro, in un’intervista del 1974 scrive Jaime è “uno dei più bei film della storia del cinema o, se preferite: una tappa decisiva e originale del cinema moderno.”3
Anche nella vita privata tali luoghi non gli erano estranei, nell’ospedale psichiatrico Júlio de Matos (Lisbona), ad esempio, trascorse un breve periodo durante il quale fu sottoposto ad alcune sedute di elettroshock; concluso il suo internato, Monteiro varcando la soglia dell’ospedale disse: “Agora sou um louco certificado.”4
È evidente che esiste una relazione molto forte tra arte, o creatività, e malattie mentali. Molti studiosi sostengono ancora oggi che il legame sia dovuto alla capacità di tali soggetti di accedere ai meandri più profondi della psiche da cui attingono il loro estro.
Jung, ad esempio, sosteneva che esiste uno stretto legame tra ‘dissociazione mentale’ e ‘percezione geniale’, e distinse: l’arte come prodotto della nevrosi e l’arte la cui fonte è situata nell’incosciente collettivo. Nel primo caso, che ci rimanda all’opera di Monteiro, la creatività è un prodotto di una nevrosi che prende ispirazione dall’incosciente personale dell’artista.
In As Bodas de Deus, risultato della platonica thèia manìa,incontriamo nuovamente la scena circolare nel giardino panottico, ma questa volta percorsa in senso contrario, quasi a voler chiudere un circolo spaziale, temporale e rituale.
Il filosofo portoghese Eduardo Loureço scrisse nel 1991 <<Non credo che João César Monteiro, decidendo di entrare in scena (…) abbia scelto per caso di rivestirsi di una pazzia sacra, (…). Il nostro mondo, così vertiginosamente razionale e controllabile, perse l’antica familiarità con la Pazzia, con il sogno che riporta a (…) un mondo addormentato dalla sua sapienza. Per svegliarlo è necessario prenderlo al contrario, è necessario “fare il pazzo”, con determinazione, umore e allegria.>>.5
In definitiva è possibile affermare che le opere artistiche del regista lusitano sono un prodotto scaturito da un intelletto sofferente, imprigionato dai limiti di una società dormiente che obbliga gli animi geniali a conformarsi a una placida creatività.
1. Prendiamo in prestito il termine da C. Bene. Non possiamo non riferire che la trilogia era molto apprezzata da C.B., vedi BENE, C. DOTTO. Vita di Carmelo Bene. Milano: Tascabili Bompiani, 2008:33.
2. GILI, J. “Um cineasta na cidade” In: Nicolau, J. João César Monteiro. Lisboa: Cinemateca Portuguesa, 2005:415.
3. MONTEIRO, J.C. “Jaime, o inesperado no cinema português” In: Cinéfilo nº29, 20 Aprile 1974.
4. “Adesso sono un pazzo certificato”.
5. LOURENÇO, E. Um estranho João de Deus, Nice, 6 Junho 1991.