Domenica 27 novembre
ritorna in piazza Santa Caterina la “Repubblica Domenicana dei Poeti”, con l’ultimo appuntamento del 2016 che vedrà protagonista Helel Fiori dare vita ai versi intensi e ammalianti della poetessa e fotografa Antonia Pozzi che, il 3 dicembre 1938, a soli ventisei anni, si tolse la vita mediante barbiturici, soccombendo alla «disperazione mortale» di cui lei stessa parlava nel biglietto d’addio.
Dopo la fondazione ufficiale del 23 ottobre, con l’esplosiva performance di Sergio Garau nei panni del collettivo brasiliano Noigandres, e i sorprendenti incontri successivi con Andrea Doro in Allen Gingsberg, Luana Farina in Patrizia Vicinelli, Roberto Demontis in Dino Campana e Alessandro Doro in Toti Scialoja, si chiude, per il momento, il 27 novembre con Helel Fiori in Antonia Pozzi.
Nell’isola felice della poesia, una selezione dei migliori protagonisti del campionato regionale del Poetry Slam Sardegna, nelle precedenti domeniche ha interpretato – con sola voce e corpo – i versi di poeti conosciuti e affermati, ma anche di quelli meno noti e dimenticati, con in chiusura un assaggio dei versi originali e inediti di ogni interprete. Il tutto con la possibilità, per i naufraghi e amanti della poesia, di poter godere di un ascolto privilegiato in uno spazio intimo all’interno della birreria Birrajó.
L’ideazione e organizzazione della nuova e originale iniziativa, a ingresso gratuito, è a cura di Leonardo Eleusi, Giovanni Salis e Sergio Garau.
Helel Fiori
Nata nel 1983, scrive praticamente da sempre, pubblicando solo sui media i suoi testi. Ha all’attivo alcuni racconti lunghi ma per lo più si diletta in brevi stralci, testimonianze di vite potenziali, e per questo scritti indistintamente da punti di vista maschili e femminili ove gioca spesso con l’androginia.
Si barcamena inoltre con scritti motivazionali che nemmeno Osho è così santone; scritti erotico/romantici che la Valduga al confronto è pur sempre la Valduga e quindi le fa dieci a zero; scritti comici che non fanno ridere ma siccome di donne che facciano ridere ce ne sono poche, lei ha la quota rosa e fa ridere lo stesso.
Parallelamente alla scrittura – quando possibile – coltiva la sua altra passione, il teatro; sporadicamente in qualità di autrice ma soprattutto come attrice.
Attualmente frequenta l’ultimo anno del corso di laurea in Scienze della Comunicazione.
Antonia Pozzi
Nasce a MIlano il 13 febbraio 1912: delicatissima, tanto da rischiare di non farcela. Invece cresce (in un ambiente colto e raffinato).
Gli anni del liceo ne segnano per sempre la vita: si dedica con assiduità alla poesia, ma soprattutto viene subito affascinata dal professore di greco e latino, Antonio Maria Cervi dalla cultura eccezionale; la giovanissima allieva non fatica a scoprire dietro l’ardore e la serietà, nonché la severità del docente, molte affinità: l’amore per il sapere, per l’arte, per la cultura, per la poesia, per il bello, per il bene. Sarà un amore tanto intenso quanto tragico, perché ostacolato con tutti i mezzi dal padre; sentimento che resterà incancellabile dalla sua anima anche quando, forse per colmare il terribile vuoto, si illuderà di altri amori, di altri progetti, nella sua breve e tormentata vita.
L’altro amore sconfinato lo avrà per la montagna fin da bambina, dispiegato in passeggiate e scalate: esperienze intensissime che si traducono in poesia o in pagine di prosa che mettono i brividi, per lo splendore della narrazione e delle immagini.
Alla fine degli anni ’30 è ormai divenuta “maestra” in fotografia: non tanto per un desiderio di apprenderne l’arida tecnica, quanto perché le cose, le persone, la natura per Antonia hanno un loro sentimento nascosto che l’obiettivo deve cercare di cogliere al fine di eternarle. Si vanno così componendo i suoi album, vere pagine di poesia in immagini.
La normalità delle sue attività è però purtroppo solamente apparente. In realtà Antonia Pozzi vive dentro di sé un implacabile dramma esistenziale.
Il 3 dicembre del 1938 a soli ventisei anni si toglie la vita mediante barbiturici, soccombendo alla «disperazione mortale» di cui lei stessa parla nel biglietto d’addio. In seguito, la famiglia negò la circostanza «scandalosa» del suicidio, attribuendone la morte a polmonite. Il testamento fu distrutto dal padre, che manipolò anche le sue poesie, al tempo ancora tutte inedite.
Poesie che, malgrado l’elogio successivo di Montale (secondo il quale «sono asciutte e dure come i sassi» o «vestite di veli bianchi strappati», ridotte al «minimo di peso») in realtà si allontanano dal pensiero dell’autrice.
A partire dagli anni ’80, il meticoloso lavoro filologico della suora Onorina Dino (entrata in possesso dell’eredità della Pozzi e degli scritti autografi) disvela l’originale corpus dell’opera della poetessa dal quale – per chi fosse interessato ad approfondire – nel 2009 è stato tratto un cine-documentario della regista milanese Marina Spada dal titolo “Poesia che mi guardi”.