La diffusione della cultura, oggi, è affidata principalmente a due mezzi molto potenti, che ci informano quotidianamente di quanto accade nel mondo: la televisione e internet. I giornali non sono quasi mai e quasi più i protagonisti. Poiché guardare, invece di leggere, sta diventando l’ideale della cultura contemporanea a livello delle masse. Mentre un tempo, quando si produceva un grosso avvenimento, la gente usciva di casa per comprare il giornale (magari in edizione speciale), oggi si precipita ad accendere la tv o collegarsi al web. Questa modalità di informazione spinge il lettore ad un trasporto immediato e passeggero sulla vera sostanza della notizia, e porta ad avere sensazioni molto forti e di qualunque genere. Anche se le fonti di informazione sono molto spesso e molto probabilmente inquinate, non abbiamo nessuna voglia o capacità di cercare altrove. D’altronde, è quasi impossibile sfuggire a questo tipo di bombardamento. Il risultato è devastante: soprattutto per le categorie più intelligenti e quelle più sensibili. Per non parlare poi di quella vasta fetta di popolazione che continua a navigare nell’ignoranza più totale, poiché lontana (per colpa propria o per essere semplicemente parte di una categoria poco educata alle forme di comprensione della realtà – e mi viene da pensare a una persona anziana) da fonti di informazione serie e attendibili.
Gran parte del giornalismo italiano sembra assolutamente incapace di comunicare informazioni in maniera seria, equilibrata e corretta. Il peggio di questo avviene appunto in televisione e su internet (dove circola veramente di tutto) ma, attenzione, non è raro trovare notizie scorrette e che mirano solo allo “scoop” anche per esempio in quei giornali che vengono distribuiti gratuitamente nelle stazioni. Lo spunto per la scrittura di quest’articolo deriva, infatti, dal ricordo di una mattina come tutte le altre in cui mi alzavo per andare all’università; era il periodo della tragica scomparsa dei due fratellini di Gravina di Puglia, Salvatore e Francesco, che poi furono ritrovati molto tempo dopo sul fondo di una cisterna. Passando per la stazione della mia città prendo al volo uno dei giornalini gratuiti che venivano distribuiti. In prima pagina c’era il resoconto della vicenda, le cui indagini avevano portato a nuove soluzioni. Guardo il giornale e mi accorgo che i particolari più macabri di questa storia erano messi in evidenza in appositi pallini, tutt’intorno all’articolo, i quali “riassumevano” il modo in cui erano stati ritrovati i corpicini dei bambini, e ipotesi su quanto fossero rimasti vivi e dopo quanto fossero morti. Questo succedeva qualche anno fa ormai, e quel momento lo ricordo come l’inizio di una lunga e profonda riflessione sul ruolo dei mass-media nella nostra società e sulla triste trasformazione di parte del giornalismo italiano in puro “lancio” di informazioni assurde.
Oggi si è instaurato un modo macabro di fare giornalismo; esso imperversa soprattutto nella televisione generalista, che spesso supera di molto i confini del buongusto e che non riesco nemmeno a definire “giornalismo”, essendo esso soltanto un modo alternativo di fare spettacolo. Si nota benissimo, infatti, il tentativo di attirare l’attenzione del pubblico attraverso l’uso improprio delle immagini e di una certa modalità nel comunicare le notizie: su tutto regna il sensazionalismo, il gossip della notizia a tutti i costi, l’andare a scavare nei dettagli e nella vita delle persone coinvolte in un dato avvenimento. Trattasi quindi non di giornalismo, ma di voyerismo mediatico che riduce e banalizza qualsiasi cosa. Chi non ricorderà le immagini oscene del povero Morosini, un ragazzo che moriva su un campo di calcio, che si susseguivano a ripetizione su tutti i canali per giorni e giorni? Chi non si accorge del modo in cui l’immagine delle vittime di fatti di cronaca atroci viene utilizzata in modo ossessivo e manipolata al fine di renderci partecipi di un dramma di cui certo non abbiamo bisogno di sapere i particolari? Non è necessario né utile alla notizia fornire la sequenza e i particolari raccapriccianti di una tragedia privata. A che serve indugiare su certe cose? Quella che si perpetua oggi è una vera e propria “pornografia” dell’orrore, che manca totalmente di rispetto alla sensibilità del pubblico (e dei diretti coinvolti, ovviamente). L’immagine, quella in particolare, regna su tutto. Proprio come nelle pubblicità. Se così non fosse, quei “pallini” su quel giornalino inutile, non mi sarebbero mai rimasti in mente.
Penso che i mass-media siano assolutamente consapevoli di questo, sappiano perfettamente di essere la cassa di risonanza e il megafono della paura: essi la promuovono e la sostengono come cultura, investono su essa, poiché, quando si trasmette il Male, si trasmette anche la forza di quel male, e in quel momento aumentano improvvisamente anche gli ascolti. Le immagini di morte in tv e su internet non sono una novità, ma ciò che inquieta è che la gente ne resta in qualche modo presa, come incantata. Ecco che allora diventiamo complici dell’immoralità e dell’oscenità di ciò che guardiamo e che, guardando, incrementiamo. La tv in particolare privilegia con i suoi contenuti ciò che di negativo accade nel mondo contemporaneo, attraverso l’uso di immagini violente sia nei telegiornali che nelle fiction. Numerosi e gravi sono i problemi che derivano dalla loro utilizzazione. Spopolano ad esempio le fiction incentrate su fatti o personaggi di mafia, quasi tutti con le stesse trame, incentrati sempre intorno alle stesse dinamiche, con un sovrannumero di immagini violente e linguaggi volgari, a volte ridicoli, che sfiorano il tragicomico. Qual è la validità di una fiction con tali contenuti? Sensibilizzarci su un tema delicato come la mafia, la più grande piaga sociale del nostro paese? O anche, senza uscire troppo fuori tema: quale può essere l’utilità di certi programmi, in onda la domenica pomeriggio, dove si “discute” su recenti fatti di cronaca o si “denunciano” le scorrettezze dei politici a danno dei cittadini? Come faccio a spiegare a mia nonna che, oltre a quei piccoli sei tasti del telecomando, si può andare oltre e cercare valide possibilità di intrattenimento in quei canali che fortunatamente rappresentano alternative di qualità alla televisione generalista? Esistono fortunatamente canali nuovi, disponibili sul digitale terrestre, che si propongono con programmi specifici, di merito e pregio: trasmettono valori di comunità locali rendendoli accessibili come patrimonio culturale mondiale, si occupano di cose nuove in programmi educativi non previsti dai canali tradizionali; i programmi di intrattenimento sono didattici e istruttivi, e permettono di imparare arti o attività manuali, piccole professioni, esperienze, attività, maestrie e competenze specifiche. Ma come si fanno a ri-educare le generazioni ad un uso corretto e alla selezione critica di ciò che ci viene ogni giorno sbattuto sotto la faccia? Credo che il fenomeno dei salotti televisivi, il preferito sia per le questione politiche, sia nella manipolazione dei fatti di cronaca nera, sia oggi la più grande manifestazione di presa in giro, la più grande canzonatura a danno delle masse, in un mix di programmi ipocriti fintamente intellettuali su quello che dovrebbe essere il mondo reale. Non si capisce nemmeno più il modo in cui programmi del genere debbano essere classificati: sono talk-show? Sono programmi di intrattenimento? Come mai fatti gravi di cronaca nazionale, o di politica interna, vengono trattati come se fossimo in presenza di un gioco a quiz, o peggio, come un varietà? Mi torna in mente ad esempio il modo in cui si è indugiato sulle vicende intorno all’incidente della Costa Concordia. Ma davvero la televisione ha il permesso di trasformare tutto in una recita da quattro soldi? Perché la morte di qualcuno deve diventare uno show? Perché si parla di cose così delicate in modo tanto superficiale? Chi c’è dietro l’utilizzo improprio di certe notizie? Non c’è oggi una risposta a queste domande. Non sappiamo contro chi puntare il dito. Probabilmente siamo passati da un sistema in cui c’era l’uso politico della stampa (al servizio di un qualsivoglia regime) a un sistema in cui regna l’uso “economico” delle notizie, cioè un giornalismo votato al consumo spasmodico delle notizie, nel continuo inseguimento del consumatore televisivo. I vari avvenimenti vengono sostituiti rapidamente non appena essi perdono di interesse, con altri più recenti, in una frenesia di continua novità che travolge l’intera società. In tutto questo, ciò che muore è l’informazione, e non si dà più spazio alle opinioni e ai temi veramente importanti.
Il più importante collaboratore di un ipotetico giornale sarebbe il lettore, che deve contestare e segnalare le eventuali inesattezze o scorrettezze, condizionare con i suoi consensi e la sua critica, possibilmente costruttiva, il prodotto giornalistico. Se il giornale riesce a far nascere nel suo potenziale lettore questo spirito critico, avrà raggiunto (in teoria) il suo scopo: aver dato un antidoto ai rischi di livellamento culturale impliciti nella cultura di massa che sta prevalendo nella società. Questo può accadere, però, solo in una società veramente democratica, in cui la stampa e le informazioni assolvano il loro compito di diffusione al centro di una libera cultura. Ovviamente, sappiamo tutti che nella nostra società (ma non solo) i gruppi al potere, compresa l’importanza di tale mezzo, lo hanno monopolizzato e asservito alle loro ideologie. Lo stesso discorso dobbiamo applicarlo all’uso dei media, dunque al modo in cui noi (noi che una volta eravamo i lettori e oggi, al massimo, siamo spettatori) usufruiamo di quell’enorme ammasso di dati, spiegazioni e chiacchiere che ogni giorno scandiscono la nostra quotidianità. Sono questi ad essersi sostituiti alla stampa per divenire strumento di potere, e usati dai gruppi dominanti per imporre le loro leggi. Come già detto in merito ai giornali, siamo proprio noi i principali “collaboratori” dei media, in un rapporto di dipendenza continua.
Purtroppo non si può più tornare indietro; non si tornerà mai all’uso esclusivo dei giornali per informarsi o per approfondire le notizie che ci interessano davvero. E poi sarebbe sciocco non avvalersi dei mezzi perfezionati ed efficaci che offre oggi la più aggiornata tecnologia. È per questo che coloro che gestiscono i mass-media hanno molte responsabilità. Essi lavorano con armi potentissime, che possono essere di grande utilità per l’evoluzione sociale e culturale dell’uomo, a patto che siano usate con discernimento, criterio, saggezza e, soprattutto, massima onestà. L’unica cosa che hanno dimostrato fino ad oggi, invece, è di essere tra i responsabili, all’interno della società, dell’esatto contrario, di una sorta di involuzione: con la vuotezza e la pochezza delle immagini e dell’educazione, con la violenza di ciò che mostrano e dicono, con il loro linguaggio elementare, povero, spersonalizzato e collettivo, mostrano esclusivamente l’interesse a propagare la notizia al maggior numero di persone nel più breve tempo possibile. I loro messaggi sono fugaci e superficiali ed hanno perlopiù capacità di suggestione, ma quasi mai di informazione. Siamo molto lontani dunque da un giornalismo di tipo educativo, poiché ci siamo allontanati addirittura da un “semplice” giornalismo informativo.
Anche noi ovviamente abbiamo le nostre responsabilità: spiacevolmente, occorre constatare che abbiamo tutti accettato questo modo infimo e becero di fare informazione, in un vero fenomeno di schizofrenia collettiva, dimenticando i particolari atteggiamenti psicologici e sociali non sempre positivi che ha provocato. Non si sente e non si legge assolutamente nulla in proposito, e questo aggrava il quadro. Fortunatamente, so di non essere la sola a pretendere un miglioramento della qualità delle notizie – e perché no, un miglioramento della televisione stessa, invece di limitarmi a lamentele e a ribadire che la tv non andrebbe guardata – e a sperare che un giorno i media sollecitino lo spirito critico di coloro che informano, approfondendo i concetti e trasformando, finalmente, l’informazione in vera cultura.
FONTI E ISPIRAZIONI
“Il giornalismo italiano fra ipocrisia e disinformazione” di Paolo Ermani, su www.ilcambiamento.it;
“Le colpe dei media”, in “Panico! Una bugia del cervello che può rovinarci la vita” di Rosario Sorrentino e Cinzia Tani.
Un ringraziamento particolare a Gianmarco Murru, che con le sue domande e provocazioni ha stimolato e incrementato le mie personali riflessioni!