Corpi sezionati, organi in primo piano, l’uomo mostrato nella bellezza di tutti i particolari anatomici tra il raccapriccio per la morte e la meraviglia per rappresentazioni oltre la realtà, fiori e frutta resi immortali, questa è la ceroplastica, l’arte di modellare la cera che si unì alla Scienza nei secoli passati.
Erede di una lunga tradizione che si perde nella storia delle nostre origini la ceroplastica vanta una lunghissima trazione nella cultura mediterranea. E’ un’arte che dai tempi nuragici, attraverso gli Egizi, i Romani, gli Etruschi, e i più famosi scultori del Rinascimento arrivò nel ‘700 a livelli stupefacenti di riproduzione del vero. La Scienza trovò in essa un modo per studiare e mostrare il corpo umano e la natura fino all’avvento della fotografia.
Fra le più antiche testimonianze dell’uso artistico della cera i bronzetti nuragici occupano un posto d’eccezione: oltre 4000 anni di storia della tecnica a “cera persa”. La cera, materia prima per costruire ali e volare con la fantasia, fu mito nella storia greca di Dedalo e Icaro. Fu materiale prezioso per proteggere il legno delle navi, le armi dall’ossidazione, in tintoria, in agricoltura, nella scrittura per gli Egizi e i Romani.
Etruschi e Romani riproducevano in cera le figure degli antenati, usanza tramandata e ripresa a partire dal XIII sec. d.c. a Firenze nella produzione di oggetti votivi. Cellini, Michelangelo, ma anche Sansovino, Giambologna e tanti altri celebri scultori, realizzavano bozzetti di cera come studi preliminari delle loro più famose opere e figure umane a scopo celebrativo.
Perché l’uso della cera si tramandava nei secoli? All’ottima malleabilità si aggiungeva la buona resistenza agli agenti atmosferici, la facilità nell’essere colorata e la possibilità esclusiva di inserirvi particolari veri come unghie, denti e capelli, ma anche spine e rami.
Verso la fine del ’600 i metodi empirici della Scienza iniziarono a far riferimento all’osservazione e alla sperimentazione. Si faceva sempre più strada l’esigenza di una conoscenza approfondita dei meccanismi fisici e del funzionamento del corpo umano. Ma l’accesso allo studio dei cadaveri era ostacolato dalla classe religiosa. Da qui la necessità di conservare i corpi per le lezioni di anatomia. Ma anche conservare fiori e frutti provenienti da paesi lontani, dai primi viaggi di esplorazione, divenne una sfida sospesa tra arte e rigore scientifico delle rappresentazioni.
Le prime sperimentazioni di iniezioni vascolari di cera in corpi dissecati si dimostrarono un vero fallimento perché inutili nel fermare la decomposizione. Da qui l’idea di realizzare modelli in cera, fedeli riproduzioni delle dissezioni anatomiche e perfette copie di fiori esotici.
La medicina e l’arte trovarono contemporanea soddisfazione nella ceroplastica. Lo Spellato del Cigoli in posa evoca il passaggio dalla sala dissettoria dell’anatomia artistica. I preparati in cera divennero ben presto l’alternativa al cadavere dissezionato, privi dell’odore della morte sempre collegata alle pestilenze. E dalla peste, rappresentata in tutta la sua crudezza da Giulio Gaetano Zumbo, nei celebri Teatrini, iniziò il lungo successo della ceroplastica scientifica.
L’Officina de La Specola a Firenze divenne la più celebre e i lavori di artisti come Clemente Susini, Francesco Calenzuoli, Luigi Calamai ed Egisto Tortori, guidati dai più famosi medici dell’epoca, vennero richiesti da molti sovrani per dare inizio a collezioni e musei. La ceroplastica divenne un fenomeno di portata europea che vide l’Italia protagonista nella ricerca della perfetta rappresentazione scientifica e dove lo scienziato e l’artista lavorarono all’unisono.
Le Veneri fiorentine, modelli di corpi femminili spesso apribili e scomponibili nei vari organi, pur mostrando il rigore scientifico nella resa tridimensionale, cromatica e plastica esprimono tutto il gusto estetico dell’epoca in pose languide e quasi in estasi che poco avevano a che fare con la ripugnanza dei cadaveri in disfacimento. Altri modellatori come Giuseppe Chiappi a Ferrara, mostrarono la realtà umana fatta di carne e ossa, immediata, realistica e scevra dalla ricerca estetica tipica dell’ambiente toscano.
Parallelamente alla ceroplastica anatomica, la tecnica di modellazione della cera si estese a tutti i campi della Scienze Naturali, in special modo alla Botanica, ma anche ai funghi, all’anatomia comparata, agli insetti dannosi in agricoltura. Il primo studio sui meccanismi di impollinazione delle angiosperme, le piante con i fiori, fu spiegato con un grande modello in cera, più volte duplicato.
La lavorazione della cera, giunta a livelli di incredibile descrizione del vero era però condannata all’oblio. Nuove tecnologie di raffigurazione, prima fra tutte la fotografia, si affacciavano nella storia delle arti figurative e della scienza. La morte di Egisto Tortori, l’ultimo ceroplasta, avvenuta nel 1893 segnò la fine di una tradizione che aveva accompagnato per millenni la nostra cultura.
I misteri della perfezione, i coloranti, le miscele preziose di cere animali e vegetali, la preparazione dei calchi e dei cadaveri sono stati i segreti di bottega che ceroplasti e scienziati si tramandavano oralmente. Rimangono oggi gli inventari dei materiali acquistati, ma nulla o poco sappiamo sulle tecniche di modellazione.
Spesso le opere giunte fino a noi hanno subito i danni del tempo, vibrazioni, polveri, muffe, umido, caldo, freddo, altre volte il tempo si ferma e capita di poterle ammirare praticamente integre. A Cagliari, grazie a condizioni climatiche favorevoli i 23 modelli di Clementi Susini dell’Università, dopo quasi 200 anni, si mostrano ancora in tutta la loro bellezza. Altre volte, come il caso delle cere ferraresi del Museo Tumiati, l’aspetto originario dei modelli è scomparso sotto la patina del tempo, in magazzini umidi e bui nell’attesa di tornare a essere testimoni di una tradizione dimenticata. Una tradizione, quella della ceroplastica scientifica, che ancora oggi ha tanto da raccontare.
Odiernamente si assiste a casi isolati di qualche scultore/scienziato che si cimenta, in piccoli laboratori annessi a musei naturalistici, nella sperimentazione di miscele di cere per realizzare modelli di fiori, insetti, funghi, ma anche di altri protagonisti invisibili della scienza come pollini, batteri, acari e cellule.
Riscoprire le collezioni, proporle al pubblico in chiavi di lettura diversificate, dall’arte, alla storia, alle scienze e alla letteratura, può diventare un viaggio nella storia dell’uomo alla ricerca delle proprie origini e delle proprie tradizioni. Ma anche provare a sperimentare la cera in modellazioni tridimensionali in sinergia con le più sofisticate tecnologie a partire dal microscopio elettronico potrebbe essere un modo per rendere visibile e toccabile ciò che l’occhio non vede, ciò che gli antichi ceroplasti non poterono rappresentare, in un nuovo e moderno confine tra arte e scienza.
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