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Con questa domanda è finita la mia intervista col sindaco di Bortigali

Francesco Caggiari. Siamo soliti aspettarci che durante una conversazione sia l’intervistato a fornirci le risposte più significative, ma quando queste risposte sono contenute in dei quesiti siamo obbligati a cambiare prospettiva. Per trattare l’argomento spopolamento, infatti, occorre cambiare veduta e immergersi nella realtà che si analizza.

Prima di adottare questo approccio avevo fatto ricerche sul fenomeno, su come stesse affliggendo il piccolo paese del Margine, e su quali manovre il paese di Bortigali avesse attuato per provare a ripopolare il suo territorio.

Nella mia visione positivista, alcune manovre a livello locale avrebbero avuto un seguito consistente, dandomi spunti su cui scrivere e sui quali ricercare nuove tattiche per sconfiggere lo spopolamento.

Arrivato nel borgo, avevo intervistato alcuni abitanti per avere un primo riscontro positivo. Dopo alcune domande mi sembrava che la nebbia che oscurava la cima del monte Santu Padre avesse contagiato la percezione che mi ero fatto del paese. Mentre il discorso verteva sullo spopolamento, la normale giovialità che traspare dai bortigalesi era nascosta dietro alla caligine della frustrazione e della delusione dal non essere in grado di combattere questo male che lentamente divora il villaggio.

Ascoltando le storie dei residenti, i numeri Istat prendevano identità, volti e nomi. Le percentuali di spopolamento diventavano persone e il “-2,19%” del 2015 divenivano amici, parenti o solo semplici conoscenti.

Nel contesto di un paese che lentamente scompare è facile comprendere la frustrazione che si respira. A questo, occorre aggiungere la delusione di un territorio che difficilmente riesce ad attirare nuovi abitanti.In quest’ottica la domanda postami dal Sindaco tuona di fronte a tutti i buoni propositi e idee che mi ero fatto. Immedesimandomi in un possibile abitante, ho compreso come la qualità della vita, la pace e la cultura locale non sono altro che misere consolazioni quando si vive la sensazione di essere abbandonati dall’Italia e dalla Sardegna.

I bei discorsi sul quieto vivere passano in secondo piano davanti all’importanza fondamentale dei servizi forniti dallo Stato, i quali rappresentano la base per ripopolare il paese. Se questi cessano, viene meno il tessuto sociale.

Bortigali comprende bene questo e lotta aspramente contro i tagli impostigli, arrivando a pagare di tasca propria servizi negati dallo Stato quali un giudice di pace per la zona o una scuola elementare in paese.

Per quanto la situazione sia urgente, in cui secondo alcune stime ben 177 dei 366 comuni sardi rischiano di sparire o di essere sciolti per mancanza di servizi, non si intravedono soluzioni. Il turismo, da molti invocato come il “deus ex machina” dell’economia sarda, si è sviluppato ciecamente su base costiera, portando all’espansione di una Sardegna “a ciambella” nella quale i piccoli centri dell’entroterra devono sgomitare per attrarre i pochi turisti che hanno i mezzi per raggiungerli.

Questo innesca un meccanismo darwiniano che porta a una lotta bassa tra comuni, che in alcuni casi arrivano a inventarsi tradizioni o festività mai esistite per accaparrarsi una fetta di consumatori.

E la triste realtà che sta mangiando Bortigali e tanti dei paesi sardi non è un fenomeno isolato.

Lo spopolamento dei piccoli centri, infatti, è un fenomeno presente in tutta Europa e rappresenta uno dei più grandi fallimenti dello stato sociale. L’abbandono delle politiche Keynesiane, che hanno ricostruito l’Europa per poi lasciare spazio alla via neoliberista intrapresa dagli stati moderni, ci sta portando a un impoverimento economico e culturale.

La sfida dello spopolamento non può essere lasciata all’intraprendenza dei sindaci o dei singoli cittadini, ma deve essere affrontata dalla classe dirigente non solo italiana, ma europea. Questa può infatti essere la soluzione di altri fenomeni che attanagliano il continente come l’immigrazione, la gentrificazione e la disoccupazione.

Solamente ricordandoci e tutelando queste piccole realtà potremo permettere a tutti di rispondere positivamente a quesiti come quello posto dal Sindaco. Un futuro per i piccoli borghi è l’unica via per tutelare non solo la nostra cultura ma soprattutto l’identità nazionale.

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