Nei tempi moderni ci si affanna per rincorrere qualcosa di effimero e ci si dimentica di essere umani: ecco, ci vuole un libro che riporti alla lentezza. Ci pensa Franco Arminio, scrittore, poeta, registra italiano e “paesologo” che vive a Bisaccia (poco più di 3000 abitanti in provincia di Avellino). É qui che negli anni ha composto i suoi versi, oltre che battersi per la salvezza dei paesi e altre cause civili. Nasce così “Cedi la strada agli alberi – Poesie d’amore e di terra”, edito da ChiareLettere, una raccolta di poesie scritte da Arminio negli anni, a partire da quel 1976, all’età di 16 anni, con i primi versi buttati giù usando “una penna rossa su una di quelle agende in finta pelle che regalano i commessi che venivano all’osteria” del padre. Suddiviso in quattro sezioni, dopo un’intensa nota d’avvio, l’antologia riporta ai tempi lenti e densi del passato, senza smettere di analizzare il presente, dove tanto si perde mentre si “cercano ripari, senza mai esporsi, nelle nostre case gremite di bene poco rari” e dove ci si dimentica di guardare il mondo attorno.
Poesie sulla terra
La prima sezione, “L’entroterra negli occhi”, raccoglie poesie dedicate alla terra, ai paesi e alla loro grandezza. Il pensiero della morte, che è ciò da cui “nasce la sua imperiosa urgenza”, permettendogli di scrivere, emerge già dal primo verso: “Pensa che si muore / e che prima di morire tutti hanno diritto / a un attimo di bene”. Da qui, nelle pagine che seguono, fioriscono vari consigli ad aprirsi a tutto ciò che è umano. Arminio fa sentire la necessità impellente di ritrovare quanto di sacro ci è rimasto: ascolta con clemenza, guarda con ammirazione le volpi, scendi verso il fondo anche a rischio di annegare, non chiedere altro che una gioia solenne, concedetevi una vacanza attorno a un filo d’erba, prendi una forchetta in mano come fosse un momento solenne. Tutto questo si riassume nel componimento, che è anche la contro-copertina del libro, dove si spiega che per essere rivoluzionari oggi bisogna “togliere più che aggiungere, rallentare più che accelerare, dare valore al silenzio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza”. In qualche modo la salvezza, anche per “i disperati che vogliono distrarsi e odiano i disperati che cantano la loro disperazione” (i poeti), è nel dare attenzione a quanto abbiamo attorno: guarda, esci per incontrare un albero, innamorati del mondo, sappi che la miseria ti salva, non evitare mai il punto in cui tutto si rompe. Sono tanti inviti a cadere in basso, piuttosto che ad arrivare primi, a mescolarsi col mondo, piuttosto che a mettersi al di sopra di esso per provare a comandarlo.
Poesie sull’amore
La prima parte cede il passo alle poesie “Brevità dell’amore”, intime e aperte. Arminio alza il sipario su delle immagini quotidiane dove si può nascondere la magia dell’amore, come un “bacio che spezza il filo” a cui si sta appesi, farsi portare al supermercato, in un’officina meccanica, “nel mondo, non dove c’è poesia”. Anche qui giunge una parte dedicata ai consigli sentimentali: un invito ad arrendersi e non portare rancore, a rispettare le rispettive solitudini, a proseguire una storia anche quando è finita, lasciando un po’ del nostro cuore a tutti, ché mica lo perdiamo, “tanto si riforma”.
Poesie sul passato e conclusione
Nella terza sezione, “Poeta con famiglia”, il poeta si mette a nudo e racconta il suo passato, presente e, sempre, futuro, con l’assillo della morte, ciò che lo ispira. Viaggiamo così nei tempi andati in cui non c’era l’ansia; nel primo amore a vent’anni, mentre nel paese c’erano ancora i muli e già le prime macchine, e il vecchio lasciava il passo con stridore al nuovo. Poi le poesie dedicate ai figli, quelle che si soffermano sul lavoro del padre in osteria e sull’ansia della madre, che “ti rovina la vita, ma ti conserva la purezza”. Storie di un ragazzo di montagna, formato da neve e freddo del suo paese, che sa di “terra, vento e amarezza”, elementi che caratterizzano queste terre aspre.
Il libro si conclude con dei testi dedicati alla “Poesia al tempo della rete”, riflessioni che in realtà hanno accompagnato le sezioni precedenti. Qui si scoprono i segreti della sua scrittura, aperta e sincera. Per lui “scrivere è un martirio” dove lo scrittore mette se stesso in ogni riga, è il suo modo di dare amore per puntare a uno sfondamento, per lacerarci e portarci a vedere cosa c’è dietro la vita. La sua poesia, così densa e dai messaggi tanto semplici che sembrano rivoluzioni, è lontana da quella letteratura moderna che, per l’autore, non è più qualcosa di unitario che mira alla creazione di una “comunità poetica”, ma il luogo dove degli scrittori isolati tentano di emergere, svuotando di significato i propri libri, perché, come tutti i predicatori di Facebook, sono impanati nel “profano e nel visibile”.
Invece in questi versi per la terra (Irpinia, zone terremotate, i tanti paesi dell’Italia Centrale, dove si rispecchiano tutti quelli del Mediterraneo), per l’amore e il quotidiano, c’è il tentativo -riuscito- di farci ritrovare la via del “sacro e dell’invisibile”. Basta aprire una pagina qualsiasi di “Cedi la strada agli alberi” e lasciarsi andare alla bellezza, persi in qualsiasi angolo di semplicità che ci resta.
Daniela Melis