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Ogni giorno stimoli di varia natura investono i nostri sensi. A loro volta, queste galassie interiori lavorano per decretarne bontà o mediocrità. A ognuna è affidato un compito: c’è chi studia i colori, chi i sapori, chi i rumori, ecc. Spesso cooperano tra di loro. Così traggono il massimo dagli spunti che le hanno risvegliate. È esattamente ciò che avviene a tavola.

Cucinare è una sfida. Ingredienti, dosi, tempi, intuito son gli strumenti per superarla. Si arriva al traguardo con un piatto fumante. Quale tra i cinque sensi sarà il suo giudice? Troppo facile nominare il gusto. Quest’ultimo esamina l’equilibrio tra gli elementi: sale e pepe, farina e zucchero. Si accerta che il pesce sia saporito e la torta fresca. Eppure la sua osservazione rimane incompleta.
L’estasi del cibo non si racchiude solo nel palato. Per poterne calcolare la forza devono entrare in gioco gli altri organi sensoriali.

L’olfatto in cucina è fondamentale sia durante che dopo la cottura. A un naso esperto non serve assaggiare. Intuisce subito se le dosi di sale e spezie son giuste, se è ora di spegnere il fuoco. D’altra parte, i commensali indovinano composizione e qualità della portata dal suo “profumino”. E si lasciano sedurre.

Mentre si spadella, la vista ha un ruolo chiave. È il colore delle carni a suggerire se son cotte o meno. I detti “L’occhio ha la sua parte” o “hai l’occhio più grande della pancia” son molto diffusi. Non per niente l’aspetto di un piatto influisce sull’appetito: stimola, ispira, decide delle porzioni. Vedere una tavola ben apparecchiata e imbandita è il massimo della gioia.

Nell’ambito gastronomico, il tatto allieta con le sue capacità. Conduce ad amare una pesca o un pan di spagna per la loro morbidezza. Con le labbra percepiamo la temperatura dei pasti. Infine, in molti preferiscono sentire sulle mani il calore del cibo e non il freddo delle posate (con la pizza, alcuni arrosti, le cozze e vongole).

Per raccontare l’udito, si può ricorrere alla pienezza delle parole. Non a caso, è anche il rumore di una patatina che “crocca” che ci induce a mangiarne un’altra. In realtà, basterebbe solo questo per testarne la qualità. Inoltre, il canto di piatti e forchette ci accompagna fin dalla nascita. Rimanda all’idea di famiglia e festa. Riscalda.

Non è banale studiare il potere del cibo sui recettori sensoriali. È guardando alla realtà da altre angolazioni che si scoprono emozioni nuove. Così, pranzare o cenare in solitudine non è più “triste”. Anzi, un buon pasto sarà una forma di compagnia; quel momento sarà utile per rilassarsi. Mentre i banchetti conviviali rivelano il senso più profondo dell’arte culinaria: la condivisione. In tali occasioni si racchiude l’ebbrezza dello stare insieme, della vita e dei suoi piaceri.

Questo si sente particolarmente nella cucina Mediterranea, l’unica che sa far gioire il cuore. Perché essa, oltre che essere universalmente ottima, ha delle origini antichissime. Racconta tante storie, in primo luogo quella di una natura che ha voluto regalare a questa terra ottimi frutti: olive, agrumi, pesci e carni dai sapori unici. E soprattutto narra delle popolazioni che l’hanno ideata. Così la cucina italiana è nota in tutto il mondo per la sua varietà e quella bontà tipica di chi mette passione in tutte le cose; quella greca simboleggia l’ospitalità delle sue genti, con tutti i cibi messi al centro della tavola da mangiare lentamente, tutti insieme; quella francese rappresenta raffinatezza ed eleganza, che son le stesse del suo popolo; quella spagnola porta in tavola il carattere forte e caldo delle sue genti.

La cucina è amori, odori, bellezza, ma anche natura, storia e persone. Ecco perché nella cucina si coglie un sesto senso: la felicità, quella che si percepisce quando si mangia.

Daniela Melis

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