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C’è un legame tra tutte le cose del mondo. È un filo invisibile teso dalla storia che si nasconde nel presente. Riuscire a trovarlo, o immaginarlo, non è facile. Si può però provare sfruttando il ruolo del cibo.

La connessione tra posti, culture, uomini e idee è contenuta, ad esempio, in due pietanze ormai da tempo assimilate: il cous cous e la fregola sarda. Il cous cous è un particolare tipo di pasta, di origini nordafricane. La sua lavorazione è lenta e delicata: semola di grano duro e acqua vengono trattate a mano fino a farne delle pallottoline; queste son tenute separate aggiungendo nuova semola e poi passate al setaccio. Come risultato, una cascata di granelli millimetrici, le cui varianti sono il cous cous palestinese, israeliano, trapanese, carlofortino.

La fregola, in Sardegna, si erge a pasta tipica isolana. La sua realizzazione è simile a quella appena descritta. Semola, acqua e sale vengono “sfregate” (da qui il nome, dal latino “fricare”) su un grosso catino di coccio. Le palline ottenute assumono poi i peculiari sapore e rusticità per naturale essicazione e tostatura. Non importa quale sia la loro dimensione (piccola, media o grande): la tradizione non si misura in millimetri, tantomeno la bontà.

Entrambi gli alimenti sono ottimi se preparati con le verdure. In Sardegna è famosa soprattutto la fregola con arselle, così come nelle coste del Mediterraneo il cous cous si cucina col pesce. Il piatto maghrebino si abbina idealmente con i ceci, allo stesso modo in cui il pasto sardo si sposa ai legumi (fagioli in primis, specie se con pancetta). La carne più usata per insaporire il cous cous è l’agnello: un ovino, quindi, specie caratteristica della Sardegna.

Piatti tipici ci suggeriscono le affinità tra due terre geograficamente vicine, ma artatamente lontane nell’immaginario collettivo. L’Africa, anche quella del Nord, si configura col Terzo Mondo. La Sardegna, essendo parte dell’Italia, si colloca nel sistema Occidente. In una carta politica sembrerebbero l’una l’opposto dell’altra. Se si potesse disegnare, invece, una cartina culinaria, si coglierebbe subito quel legame che le unisce.

Alla luce di queste somiglianze, come si può definire “diverso” chi viene dal mare? Ogni giorno si sente parlare dello sbarco di clandestini che arrivano dall’Africa. Hanno la speranza negli occhi quando approdano, un’espressione di positività che non durerà a lungo. Eppure fanno paura, ad alcuni orrore. Per eliminare questa sensazione, basta accostare un piatto di cous cous a uno di fregola. Sarà il cibo a rivelare che siamo più simili di ciò che si crede. Perle solidali di semola creano un’unione astratta che è più che geografica, più che culturale: è umana.
Scambi e incontri hanno dato vita al nostro presente. Non si può dimenticare questa comunità di interessi e intuizioni. E se lo si farà, ci saranno sempre cous cous e fregola a ricordarci di quel filo che accomuna al di là della paura.

Daniela Melis

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