Quando penso ai capolavori di Hayao Miyazaki, uno dei primi che mi viene in mente è Porco Rosso (1992). Per l’anime ho un attaccamento particolare: lo adoro soprattutto per gli splendidi paesaggi italiani, che lo rendono uno dei pochi film d’animazione giapponese ambientati nel Belpaese.
Quest’ultima, certo, non è la sola ragione per appassionarsi all’opera di Miyazaki. I virtuosistici duelli aerei, la coinvolgente colonna sonora di Joe Hisaishi e il carisma del protagonista sono altrettanti motivi per ammirare l’anime.
Tali aspetti del film si sviluppano lungo una trama, che, pur avendo una durata relativamente breve (93 minuti), è ricca di azione e colpi di scena.
L’avventura di Porco Rosso
Protagonista dell’anime è Marco Pagot, un asso dell’aviazione italiana. Nome di battaglia: Porco Rosso. Nel mondo dell’aeronautica è chiamato così a seguito di un misterioso incantesimo, che lo ha trasformato in un maiale antropomorfo.
Dopo la salita al potere dei fascisti Marco Pagot diventa un cacciatore di taglie, sempre a caccia dei “pirati del cielo” che seminano il terrore nel Mar Adriatico. In risposta ai continui attacchi di Porco Rosso, i suoi nemici assoldano un aviatore statunitense, Donald Curtis.
Inizia così una rocambolesca avventura, nella quale Marco Pagot incontrerà vecchie conoscenze del passato, come l’asso italiano Arturo Ferrarin e la sua amica / amante madame Gina. Nel corso del film stringerà anche nuove amicizie, in particolare con la giovane Fio Piccolo, un genio della progettazione di idrovolanti.
Braccato dalla polizia fascista e inseguito da Donald Curtis, Porco Rosso riuscirà a regolare i conti contro tutti i nemici che vogliono catturarlo? O qualcuno si farà un nome, abbattendo il suo leggendario idrovolante?
L’antifascismo nel film Ghibli
E qui mi fermo nell’esposizione della trama. Non voglio raccontarvi altro perché rischierei di togliere il gusto della scoperta a chi ancora non ha visto l’anime… commettendo così qualche (involontario) “spoileraggio”. 😉
Voglio solo darvi un suggerimento: se il finale di Porco Rosso vi deluderà, allora sottovalutate le capacità narrative di Miyazaki. Il regista, in realtà, scioglierà ogni intreccio del racconto, ma dovrete stare (molto) attenti per capirlo.
La pazienza e la concentrazione non sono le vostre migliori virtù cinefile? Allora è meglio consultare il forum dello Studio Ghibli, dove l’utente Shito spiega ogni aspetto dell’ultima parte del film.
È difficile immaginare, del resto, che Miyazaki lasci “in sospeso” una sceneggiatura della quale conosce ogni angolo narrativo. Il regista, infatti, è l’autore del manga dal quale è tratto l’anime: L’era dell’idrovolante.
Oltre alla trama potrei approfondire tanti altri aspetti di Porco Rosso, dalla sua produzione alle tecniche d’animazione. Ma c’è chi l’ha già fatto in maniera ottima, come Anime Asteroid e Dr. Manhattan. In questo post, al contrario, voglio concentrarmi su un tema specifico: la posizione di Miyazaki nei confronti del fascismo.
Questa scelta mi è stata suggerita da un’osservazione del critico Emanuele Sacchi, secondo cui l’anime fa emergere «il lato più politico e libertario del regista nipponico».
Molti conoscono le posizioni di Miyazaki da giovane, che, al tempo di Il segreto della spada del sole (1968), sono vicine al marxismo. Idee che lo hanno portato, negli anni Sessanta, a militare a lungo in un sindacato di sinistra.
Nei decenni successivi, pur allontanandosi dalla militanza politica, il regista non ha mai smesso di esprimere il proprio orientamento su alcune questioni:
- l’ambientalismo: le sue preoccupazioni ecologiste, ad esempio, sono rappresentate dallo “spirito del cattivo odore” in La città incantata e dalla baia inquinata di Ponyo sulla scogliera
- il femminismo: quelle di Miyazaki sono donne tenaci e combattive, che lavorano duramente al pari degli uomini. La filmografia del regista abbonda di simili figure femminili, come Kiki e Chihiro, ragazze che maturano attraverso il lavoro
- il pacifismo: la sua posizione emerge soprattutto in Conan il ragazzo del futuro e Nausicaä della Valle del vento, dove Miyazaki mostra le conseguenze di un conflitto atomico in maniera dettagliata
Certo, qualcuno potrebbe osservare che ambientalismo, femminismo e pacifismo siano idee fatte proprie (anche) dai partiti di orientamento marxista. Ma, dopo gli anni Sessanta, Miyazaki mostra la sua lontananza da quel mondo politico: i suoi film, infatti, evitano di rappresentare ideologie specifiche.
Nei suoi anime, inoltre, è raro individuare critiche contro specifici regimi politici, anche se i personaggi si muovono in contesti storici “reali”. Un esempio? Il protagonista di Si alza il vento, Jirō Horikoshi, il cui sogno di progettare aerei è corrotto dalla loro trasformazione in strumenti di morte.
Nel film non emergono giudizi negativi verso i vertici militari del Giappone, che, tra gli anni Trenta e Quaranta, impiegano velivoli bellici per la loro politica espansionista in Asia. In Si alza il vento prevale piuttosto una mentalità fatalistica: quello di diventare mezzi di distruzione è un “destino maledetto”, che coinvolge tutti gli aerei.
Un pensiero simile emerge, ad un certo punto, nelle parole di Gianni Caproni. Per questa ragione l’ingegnere italiano spiega a Jirō che, se vorrà realizzare il suo sogno di costruire velivoli, dovrà accettare duri compromessi con il destino.
Gianni Caproni non parla mai di sacrifici legati a responsabilità politiche. L’argomento, al contrario, è esposto con un linguaggio metaforico e figurativo di impronta fatalista («Tu, tra un mondo con le piramidi e un mondo senza piramidi, quale dei due preferisci?»).
Solo Porco Rosso rappresenta un’eccezione alla regola miyazakiana (cioè quella di una mancata presa di posizione “politica”). Qui il regista, per bocca del suo protagonista, dà un giudizio politico chiaro.
Mi riferisco in particolare ad una famosa scena, dove, nel buio di una sala cinematografica, Marco Pagot bolla in maniera sprezzante il regime di Mussolini: «Piuttosto che diventare un fascista, meglio essere un maiale».
Porco Rosso, però, non formula mai modelli politici alternativi al fascismo, né intende unirsi ai gruppi antimussoliniani. Il suo antifascismo non è un pensiero elaborato, ma qualcosa di “istintivo”: Marco Pagot odia il regime di Mussolini perché comprende immediatamente che, accettandolo, metterebbe a rischio la sua libertà di volare in cielo come e quando vuole.
Per questa ragione rifiuta l’offerta di Arturo Ferrarin, suo amico di vecchia data, che lo vorrebbe far rientrare nella Regia Aeronautica pur di salvarlo dalla polizia fascista. Rispondendo negativamente alla sua offerta, Marco Pagot conserva la coerenza ai propri sogni contro un regime totalitario, che, al contrario, vorrebbe uniformare il protagonista alla massa.
Qualcuno di voi definirà la sua scelta come una fuga e basta. E non avete tutti i torti! Ma è l’unico modo, in fondo, attraverso il quale Porco Rosso può continuare a vivere come ha sempre voluto.
Una decisione, quella di Marco Pagot, che veicola un messaggio “libertario”: a qualunque costo dobbiamo mantenere la nostra identità contro chi, al contrario, vorrebbe cancellarla. E l’unico modo per farlo – quasi sembra dirci Porco Rosso – è quello di inseguire i nostri sogni, anche a costo di abbandonare il nostro paese di origine.
Il comportamento di Porco Rosso, a mio parere, è molto “de-ideologizzato” perché avanza una critica sprezzante nei confronti del fascismo, ma, al contempo, non contrappone nessuna alternativa politica. Un atteggiamento comprensibile, in particolare se pensiamo che l’anime è girato tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90.
Quel periodo coincide infatti con una fase di forti cambiamenti storici, come la crisi delle grandi ideologie (in particolare del comunismo). Davanti a un contesto internazionale del genere, c’è chi ha parlato addirittura di “fine della storia”.
In un tale clima di sfiducia collettiva verso la politica, non è difficile immaginare perché, in Porco Rosso, Miyazaki proponga per il suo protagonista la fuga dall’Italia. Marco Pagot preferisce conservare i propri sogni, piuttosto che assecondare un credo politico destinato – come ad esempio il comunismo sovietico – ad una fine ingloriosa. Una scelta che mette in primo piano la sua identità, a svantaggio di qualsiasi istituzione dagli intenti totalitari.
La parola a voi
E qui finisce il mio articolo su Porco Rosso. Uno splendido film, che omaggia l’Italia anche nel cognome del protagonista: lo stesso dei padri dell’animazione italiana, Nino e Toni Pagot.
Leggendo il post, avete qualche osservazione da fare? Condividete la mia interpretazione “politica” su Miyazaki? Oppure pensate che in qualche modo sia sbagliata? Nel caso vogliate rispondermi, scrivete pure nei commenti. Per il resto, ci vediamo al prossimo post!