D. Cillo, C. Ancona, A. Spiga, F. Alamanni, O.Masala, C. Delunas
RIASSUNTO
Il sistema delle “Pitfall traps” è diventato il metodo principale di cattura di insetti di grotta nelle ricerche entomologiche. I regolamenti e la legislazione sull’uso di questi sistemi di cattura sono spesso carenti e contradditori. Il ruolo dei “ricercatori indipendenti” è spesso sottovalutato. Gli autori analizzano lo stato attuale dell’arte con alcune riflessioni sulle normative vigenti.
ABSTRACT
The “Pitfall traps” system has become the main method of catching cave insects in entomological research. Regulations and legislation on the use of these bad systems are often deficient and contradictory. The role of “independent researchers” is often underestimated. The authors analyze the current state of the art with some reflections on the vingenti regulations.
Parole chiave: Biospeloeologia, Pitfall trap, Ricercatori indipendenti.
Key words: Biospeleology, Pitfall trap, Independent researchers.
INTRODUZIONE
Nel corso degli ultimi anni, durante le attività di studio e ricerca condotte nelle grotte della nostra bellissima Sardegna, ci siamo imbattuti più volte in resti di trappole a caduta, conosciute come “Pitfall traps” (Fig. 1), per la cattura degli insetti troglobi cioè che vivono esclusivamente in ambienti cavernicoli e sotterranei e troglofili che, pur vivendo in prevalenza in grotte e caverne, possono trovarsi anche in altri ambienti. Gli insetti di questo tipo, in particolar modo le specie troglobie, trovano all’interno di queste cavità naturali le condizioni ideali per sopravvivere essendosi adattati da ormai milioni di anni alla vita ipogea o sotterranea. Queste peculiari condizioni e l’elevato grado di isolamento in habitat che si possono ritenere “chiusi” o “relativamente chiusi” hanno portato gli insetti in oggetto a sviluppare caratteristiche adattative uniche e favorito nel tempo processi di differenziazione che hanno favorito l’evoluzione in nuove specie. Il risultato è che la maggior parte di queste specie sono endemiche cioè esclusive di poche grotte o di territori ristretti, come ad esempio specie dei generi Sardaphaenops e Speomolops del Supramonte, dei generi Bathysciola e Ovobathysciola e lo Speonomus lostiai Dodero, 1904, della Barbagia di Seulo.
Tali caratteristiche hanno reso questi insetti estremamente interessanti per gli studiosi, siano essi professionisti o meno, tanto da farli finire nelle loro collezioni e in quelle di semplici collezionisti. L’uso delle trappole per la cattura di detta entomofauna si è di conseguenza affermata e diffusa nel tempo diventando la tecnica standard di prelievo e campionamento in ambienti tanto particolari quali quelli di grotta.
L’utilizzo di metodi di cattura e prelievo, in questo come in ogni altro caso, presuppone, o dovrebbe presupporre, competenze e consapevolezza sicuramente fuori dal comune e soprattutto anni di studio teorico e tanta pratica. Purtroppo non sempre è così e vengono a crearsi spesso spiacevoli fraintendimenti e problematiche legate all’utilizzo delle pitfall traps. Capita infatti che le trappole possano essere dimenticate o perse, del tutto o in parte, da coloro che le avevano poste in opera. Quando in seguito vengono rinvenute dai ricercatori che visitano gli ambienti ipogei il più delle volte risultano abbandonate da tempo e ormai prive della miscela utilizzata come conservante ed esca per la cattura. Frequentemente sono rinvenute piene di una poltiglia decomposta costituita in prevalenza da resti di insetti e quant’altro abbia avuto la sventura di finirci dentro. Il tutto, ovviamente, sacrificato inutilmente.
Le trappole abbandonate e/o dimenticate continuano purtroppo a mietere vittime per lungo tempo e senza che questo abbia uno scopo o un senso che trovi alcuna giustificazione, meno che mai in ambito scientifico.
Sarebbe auspicabile che quanti fanno ricerca e/o collezionismo in tale ambito e ricorrono al cosiddetto “trappolamento” adottassero metodi e pratiche più consone ed idonee e soprattutto rispettose degli ambienti e delle biocenosi associate agli insetti troppo spesso visti come semplici rarità da collezione. Questo anche e soprattutto considerando come l’investigazione e l’analisi scientifica volte al miglioramento della conoscenza e comprensione dei fenomeni naturali sia finalizzata proprio a promuovere e favorire una maggiore consapevolezza verso gli aspetti inerenti la preservazione, la conservazione, la tutela, la protezione ed in generale una maggiore attenzione nei confronti di quel bene collettivo che è il patrimonio naturale. Essenziale risulta quindi la massima riduzione del disturbo e del danno antropico anche nella fondamentale ed imprescindibile fase di studio.
DISCUSSIONE
La pratica del trappolamento come metodo di cattura ai fini dell’indagine scientifica in Italia è andata diffondendosi verso la fine del secolo scorso, ma già veniva utilizzata all’estero. L’abuso di questo sistema di cattura in certi paesi europei ha avuto conseguenze a dir poco catastrofiche per la fauna di alcune grotte, ne sono un esempio alcune grotte pirenaiche un tempo celebri per l’abbondanza della fauna che ospitavano, facilmente rinvenibile all’epoca mediante ricerca diretta senza l’uso di nessun tipo di trappola. Oggi queste grotte hanno il pavimento ricoperto di frammenti di vetro e quelle specie, allora abbondanti, sono oggi una rarità e difficili da reperire anche con l’utilizzo delle trappole.
Già nel 1980 Italo Bucciarelli in un articolo pubblicato nel supplemento al Bollettino della Società Entomologica Italiana, XXI-N.97, metteva in evidenza questo problema scrivendo “Quando si collocano in una zona limitata un certo numero di trappole che vengono spesso lasciate in loco per certi tempi superiori ad una settimana, si verificano alcuni fatti che sarà opportuno ricordare. Per prima cosa il pericolo di dimenticare qualche trappola con le conseguenze facilmente immaginabili. Poi la trappola non ha occhi e non effettua scelte su quello che può meritare di essere raccolto e quello che si può lasciare in loco. Nel caso dei Carabidi inoltre c’è da tener presente che il momento di attività corrisponde quasi sempre con quello degli accoppiamenti, per cui le femmine spesso o non si sono ancora accoppiate o non hanno ancora depostole uova. Pertanto ogni femmina catturata andrebbe moltiplicata per le uova che avrebbe deposto Perché la situazione rimanga in equilibrio su un certo numero di uova deposte soltanto una copia deve giungere all’accoppiamento, perché se ne giungessero due la popolazione raddoppierebbe, almeno in linea teorica, Sottraendo un numero eccessivo di esemplari, si verificherebbe un calo e tenendo presente la falcidia che si verifica di altri Coleotteri comuni in zona, si può facilmente comprendere che la pressione degli animali insettivori si farà sentire in modo più marcato anche nei confronti delle specie che uno intendeva raccogliere.” (Bucciarelli I.,1980).
Sono numerose le accortezze che il ricercatore può porre in essere per diminuire grandemente e limitare al massimo questo tipo di impatto senza venir meno alla qualità e alle finalità della ricerca come quelle di seguito elencate.
1) La pianificazione preventiva del posizionamento delle Pitfall traps in base alle dimensioni e caratteristiche degli ambienti consente di ottimizzare la resa con il minimo indispensabile numero di trappole.
2) La mappatura, anche rudimentale ma puntuale, del trappolamento con il numero esatto ed il posizionamento quanto più preciso possibile anche fotografando la messa in opera delle trappole in modo da evitare dimenticanze e smarrimenti.
3) La pianificazione ed il rispetto dei tempi di messa in opera del trappolamento con regolari e frequenti controlli.
Tale auspicabile abitudine permette anche una maggior qualità dei dati acquisiti fornisce un resoconto temporale delle catture molto più preciso e contestualizzato.
4) Privilegiare per il posizionamento di dette trappole punti facili da raggiungere e da ritrovare.
5) Evitare di posizionare le pitfall trap lungo l’alveo dei corsi d’acqua sotterranei periodicamente asciutti limitando o evitando il rischio che le stesse vengano sommerse con perdita del materiale ivi contenuto e/o disperse e rese irrintracciabili con conseguente inquinamento del sito durante le piene stagionali.
6) Fondamentale è l’opera di rimozione capillare e totale del trappolamento posto in opera al termine della campagna di raccolta e campionamento cosi come la rimozione di quelle eventualmente dimenticate, disperse ed abbandonate da altri.
7) In ultimo, sarebbe buona abitudine provvedere, al termine delle visite ed ispezioni di controllo, alla rimozione sistematica di ogni altra fonte di inquinamento come bottiglie, involucri e contenitori di vetro, plastica o metallo, frammenti plastici, cartacei o in associazione di materiali (tetrapak ecc), cicche di sigaretta, batterie e quant’altro costituisca alterazione o potenziale pericolo per i delicati ambienti in questione e per la fauna ivi residente.
È nelle intenzioni degli scriventi mettere in luce l’aspetto di criticità che coinvolge le grotte della Sardegna ma anche operare un’azione di sensibilizzazione nei confronti di chiunque faccia ricerca scientifica nelle grotte sarde e non solo, invitando a prestare maggiore attenzione agli aspetti di disturbo, ed eventuale danno, durante queste fasi di studio e ricerca sul campo.
Perciò come più di un trentennio fa Italo Bucciarelli tentò di sensibilizzare i giovani entomologi e ricercatori a usare questi sistemi di cattura con maggior parsimonia e giudizio, anche noi ci associamo con quanto da egli espresso a suo tempo ritenendo che, oggi come allora, queste problematiche non vadano sottaciute né sottovalutate e le buone prassi abbracciate ed incoraggiate attivamente.
Questo contributo non mira a colpevolizzare nessuno, considerato che il trappolamento è il metodo standard di campionamento e prelievo in ambienti di questo tipo e gli stessi scriventi sono ricorsi più volte all’utilizzo di questo sistema di cattura quando non si presentava la possibilità della ricerca diretta o a vista, ma sempre utilizzando un numero esiguo di trappole, che venivano poi controllate e prelevate nei tempi prestabiliti e congrui con le finalità della ricerca stessa.
Con queste premesse e queste intenzioni ci rimettiamo al buon senso e quindi alla capacità di analisi, sensibilità, competenza e consapevolezza dei lettori che operano prelievi e campionamenti a fini scientifici nelle grotte della Sardegna.
Recentemente sul sito della FSS Federazione Speleologica Sarda (http://www.federazionespeleologicasarda.it/) è comparsa una comunicazione che riportiamo per esteso e che di seguito analizziamo.
COMMISSIONE BIOSPELEO FSS
All’interno della Commissione Biospeleologica, in seguito al problema rilanciato sulla mailing – list SPELEOSAR relativo al ritrovamento di trappole per la fauna in alcune grotte, è stato discusso quale potesse essere il ruolo della stessa Commissione, essendo direttamente interessata da questa problematica, e quindi proporre delle azioni che potessero consentire un contrasto a questi atti pericolosi per l’ecologia delle grotte.
Le azioni che la Commissione Biospeleologica ritiene opportune sono:
1- Recuperare sistematicamente le trappole individuate in ogni grotta (salvo puntuale segnalazione su eventuale ricerca scientifica in corso) stando attenti a non disperderne il contenuto. Se si ravvisasse la presenza di animali ancora vivi, provare a liberarli, in alternativa conservare il tutto per poi consegnarlo a un referente per la determinazione (se ancora possibile) delle specie decedute. Si propone di asportare dalle grotte ogni forma di artifizio, comprese bottiglie anche di plastica, che spesso si trasformano in trappole involontarie;
2- Segnalare puntualmente all’Assessorato della Difesa dell’Ambiente il rinvenimento di strumenti di ricerca (non esplicitamente segnalati) sulla fauna ipogea atti ad alterare la composizione biotica delle grotte e proporsi eventualmente come punto di riferimento per il controllo di queste azioni;
3- Incrementare con modalità ancora da definire la divulgazione e la sensibilizzazione dell’importanza di questi ambienti da tutelare;
4- Creare un database delle grotte con in cui sono state recuperate trappole in passato e progressivamente aggiungere le informazioni recenti;
5- Creare una lista pubblica sui nostri siti sulla quale divulgare i ritrovamenti di trappole non adeguatamente segnalate e comunicate;
6- Sfruttare un piccolo spazio al Congresso di Biospeleologia di aprile prossimo per una campagna di comunicazione contro il prelievo indiscriminato di fauna ipogea a scopo commerciale e collezionistico;
7- Studiare un modo per utilizzare la legge regionale sulla speleologia a nostro favore e come contrasto a queste attività predatorie. La legge infatti ai punti 3 e 4 parla anche di tutela della fauna ipogea;
8- Raccomandare a raccoglitori, entomologi e specialisti che utilizzano tali tecniche di cattura che nel caso di progetto scientifico riconosciuto e autorizzato è corretto apporre accanto all’ingresso della grotta o dentro la grotta stessa in maniera visibile, un cartello con data di inizio e termine del progetto, indicando anche il responsabile.”
Le intenzioni generali che sembrano animare questa comunicazione, sicuramente meritoria e condivisibile, potrebbero sicuramente favorire future e fruttuose collaborazioni fra tutti gli appassionati di biospeleologia. Non possiamo però non riscontrare l’incongruità oggettiva e l’approssimazione di alcuni passaggi nei punti elencati, in particolare dei punti 6, dove si parla delle “raccolte indiscriminate della fauna ipogea a scopo commerciale e collezionistico”, e 7, dove l’attività di ricerca mediante utilizzo di trappole a caduta viene identificata impropriamente come “attività di tipo predatorio”.
In subordine anche il punto 8, dove si parla di “progetto scientifico riconosciuto ed autorizzato” e l’incipit del punto 7 ove si parla di “utilizzare… a nostro favore”.
Andiamo per gradi e procediamo con ordine alla discussione dei punti citati:
-Per quanto concerne il punto 6:
Alla luce delle attuali conoscenze non sono noti casi documentati di pratiche commerciali del materiale faunistico ipogeo di Sardegna e sarebbe buona cosa da parte di chi ne sia a conoscenza il documentare tali vicende e affermazioni.
Aggiungiamo inoltre che non è dato a noi sapere se qualche “malintenzionato” o “dilettante allo sbaraglio” venga in Sardegna con lo scopo di sistemare trappole per catturare specie rare da commerciare poi con i collezionisti di fauna troglobia. Tali soggetti, volutamente o meno, potrebbero aver lasciato, nei siti di campionamento, alcune trappole poi abbandonate.
Facciamo davvero fatica ad immaginare i ricercatori sardi, stimati entomologi, molti dei quali sulla scena internazionale da decenni e con numerose pubblicazioni alle spalle, nei panni dei “predatori per fini commerciali”.
Tali comportamenti sarebbero lesivi della reputazione e dell’immagine della comunità degli entomologi sardi, costruita in tanti anni di attività.
Inoltre quello degli entomologi è un ambiente relativamente ristretto e non solo quello sardo. Determinati comportamenti e attività sarebbero per forza di cose risaputi nell’ambiente. Siamo dunque portati ad escludere comportamenti del genere da parte dei ricercatori sardi noti ed attivi in ambito entomologico in Sardegna.
Per quanto riguarda il collezionismo, la cosa diventa più complessa e delicata. Esistono infatti vari gradi, livelli, finalità, metodi, competenze ecc. di collezionismo, perciò non si può fare di tutta l’erba un fascio con generalizzazioni improprie, fuorvianti e persino ingiuste.
La collezione può essere fine a se stessa e posta fuori dagli usuali ambiti scientifici oppure, al contrario, essere il frutto di anni di ricerca e studio le cui risultanze, materiali, metodi, dati ed osservazioni, sono note e messe a disposizione della comunità scientifica traducendosi di frequente in pubblicazioni, materiale per specialisti ed istituzioni o per ricercatori non professionisti.
C’è quindi chi colleziona insetti di grotta e insetti in generale alla stregua dei comuni tappi di bottiglia e fortunatamente non si conoscono casi simili in Sardegna. C’è poi chi colleziona in maniera scientifica e realizza raccolte di assoluto riferimento per lo studio della fauna regionale e nazionale, dalle quali vengono acquisiti i dati per stilare le checklist della fauna di piccoli e grandi territori.
Queste collezioni sono oggetto di studio per decenni non solo per chi le possiede, ma per specialisti ed istituzioni nazionali ed internazionali. Esse sono materiale di confronto, fonte di dati in originale e di specie nuove, che vanno ad arricchire le conoscenze spesso strategiche per un determinato territorio.
È un ambito quello zoologico, entomologico, ecologico e tassonomico, dove le attività di ricerca dei cosiddetti “non professionisti” risultano largamente maggioritarie nel computo globale della ricerca di settore. Interessante a tal proposito, la lettura di un articolo apparso su Plos One (Fontaine B., et al, 2012) per una valutazione oggettiva del contributo dei tassonomi amatoriali.
Gli enti di ricerca istituzionali pubblici non dispongono né di personale, né tanto meno di fondi per far fronte ad una simile mole di lavoro. I cosiddetti “ricercatori non professionisti” quindi assolvono una fondamentale e ormai storica e consolidata funzione vicariante e sussidiaria: fanno ricerca, pubblicano a spese proprie su riviste specializzate del settore collaborando così inevitabilmente e molto attivamente con gli enti istituzionali nazionali ed internazionali, quali Università e Musei. Decenni di scoperte e relative pubblicazioni scientifiche in questo settore confermano questo ineludibile dato di realtà.
Ad ulteriore riprova dell’importanza delle collezioni entomologiche sarde vi sono le innumerevoli citazioni nella letteratura di riferimento a partire dai numerosi volumi della collana sulla Fauna d’Italia (http://www.comitato.faunaitalia.it/Pubblicazioni.html), pubblicata sotto gli auspici dell’Accademia Nazionale Italiana di Entomologia e dell’Unione Zoologica Italiana e con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Molti dei dati sono stati pubblicati in monografie sulla fauna di alcuni territori dell’isola (Nardi G. et al, 2011). Sono inoltre stati di grande utilità per poter affermare la presenza di determinate specie per realizzare le liste rosse della fauna Saproxilica italiana (Audisio P. et al, 2014), nonché citati nei numerosi volumi del Catalogo Paleartico sui Coleotteri (Löbl I. & Smetana A.).
Bisogna aggiungere e rammentare come le collezioni private non resteranno per sempre di proprietà del collezionista, siamo solo di passaggio, un giorno questi importanti reperti andranno ad arricchire le grandi collezioni museali, verranno continuamente curati, conservati compatibilmente con lo stato degli apparati museali italiani e esteri e consultati nel tempo, da personale specializzato, i professionisti, come dai “ricercatori indipendenti non professionisti” non rendendo vane le fatiche di una vita trascorsa con passione, dedizione, competenza e serietà alla realizzazione delle stesse.
Ne è un esempio palese la famosa e studiatissima collezione cagliaritana coll. Meloni (Carlo Meloni, 1950 – 2009), donata al Museo Civico di Storia Naturale G. Doria di Genova.
-Per quanto concerne il punto 7:
Una volta evidenziato il ruolo e l’importanza del “ricercatore indipendente non professionista” dovrebbe apparire chiaro come gli scopi di questo tipo di attività altro non possano essere che il contributo a una conoscenza più precisa, ampia e approfondita, della fauna vivente, della complessità delle biocenosi, di determinate linee evolutive nei vari contesti zoogeografici e paleozoogeografici. Grazie a queste attività vengono scoperte nuove entità specifiche che vanno a valorizzare l’aspetto faunistico di queste cavità e del territorio su cui insistono; spesso poi le specie scoperte sono endemiche delle cavità studiate o limitate a poche grotte di un areale limitato e circoscritto, il che non fa che aumentare il significato ed il valore della scoperta come del territorio ove è avvenuta, dando risalto ai suoi peculiari ambienti.
Detti ambienti vengono indagati per periodi relativamente limitati e, dopo che le catture sono state effettuate, le ricerche vengono abbandonate o rimandate, con il conseguente ritiro delle trappole che vi erano state posizionate.
Viste da occhi inesperti possono sembrare invasive e ad alcuni addirittura “attività predatorie” ma le cose stanno ben diversamente. Si tiene sempre conto delle dimensione della cavità e della sua conformazione e caratteristiche salienti per sistemare un numero minimo di trappole, che il più delle volte non superano le due unità, si fa ricorso a dei sistemi per renderle selettive per il tipo di fauna che si intende studiare in modo da evitare che vi finiscano specie di piccoli vertebrati come Spelomantes e altri frequentatori casuali delle cavità.
La manomissione delle trappole da parte di mani poco esperte, se non rimosse subito dopo essere state maneggiate, può arrecare danni alla fauna locale perché lo spostamento della trappola o delle pietre che ne coprono l’imboccatura rendono possibile il passaggio a specie di taglia maggiore condannando queste a finire nel loro interno con esiti ben immaginabili.
Le trappole vengono sistemate seguendo dei transetti ben prestabiliti, ogni trappola viene numerata e fotografata in situ, prima e dopo la sistemazione, questo sistema permette di identificare rapidamente il punto dove era stata sistemata al momento della rimozione, annullando la possibilità che questa venga dimenticata in loco.
Esistono testi scientifici appositi utilizzati come guida e riferimento per fare questo tipo di ricerche sia in ambiente ipogeo che epigeo e consigliano metodi e tecniche nel rispetto dell’ambiente che si va a indagare. Vengono spiegate nel dettaglio le tempistiche, il posizionamento ed i tipi di miscele conservanti e attrattive da collocare all’interno delle trappole (Allegro & Dulla, 2008) (Giachino & Vailati, 2010) (Brandmayr P., Zetto T., & Pizzolotto R., 2005).
C’è un passaggio saliente in questo punto 7 poi che non può non ingenerare una legittima e perfino doverosa domanda:
Cosa si intende esattamente per “utilizzare la legge regionale sulla speleologia a nostro favore”? E in subordine: la si intende quindi utilizzare a detrimento di qualcun altro?
Si rammenta come l’esperienza e l’evidenza scientifica sin qui maturata e consolidata ci porta ad affermare che la tutela della biodiversità, per essere fattiva e concreta deve necessariamente partire dalla tutela degli ambienti e non riguardare questa o quella specie senza considerarne gli aspetti ecologici. Questa è ormai cosa universalmente nota e raccomandata infinite volte nelle pubblicazioni scientifiche a carattere zoologico ed entomologico anche se largamente disattesa in ambito legislativo e normativo nazionale e regionale.
-Al punto 8 troviamo invece scritto: “nel caso di progetto scientifico riconosciuto e autorizzato”… non possiamo fare a meno di chiederci, alla luce di quanto esposto in precedenza e di seguito, “riconosciuto e autorizzato” da chi? E su quali basi e competenze?
CONCLUSIONI
Ci auguriamo che quanto proposto dalla Commissione Biospeleologica porti a un miglioramento delle attività di ricerca nelle cavità isolane, senza voler sottendere mire egemoniche “di parte” in questo genere di attività di ricerca, anche perché come evidenziato in precedenza, dati alla mano, la maggior parte della ricerca e delle scoperte sulla fauna sarda ipogea, endogea e epigea, sono state fatte proprio da “ricercatori indipendenti non professionisti” non riconducibili quindi a nessuna delle istituzioni scientifiche “canoniche” (Università, poli museali, Enti, ecc.).
Di questa qualificata attività ed opera e impegno ne sono prova le centinaia di pubblicazioni degli ultimi decenni uscite su decine di prestigiose riviste scientifiche nazionali ed internazionali. Grazie a costoro attualmente si ha un quadro più preciso e completo dello stato del patrimonio della biodiversità della Sardegna e, grazie alle competenze dei “ricercatori indipendenti non professionisti” e alla loro passione si potranno valorizzare e salvaguardare ambienti dove sono presenti specie esclusive di grande valore conservazionistico.
Impedire o ostacolare il contributo dei non professionisti all’avanzamento della ricerca scientifica in ambito zoologico, entomologico e tassonomico non potrà che tradursi inevitabilmente in una enorme perdita per la comunità scientifica e per la collettività come per quel menzionato patrimonio di biodiversità in cui cosi tanto vi è ancora da comprendere, analizzare e scoprire.
Il fatto che presso gli enti di ricerca istituzionali le Scienze Naturali, ed in particolar modo la Tassonomia, versino in condizioni di sofferenza rafforza il ruolo e l’importanza della figura del ricercatore non professionista in questo contesto. Le passioni, gli indirizzi di ricerca e l’impegno dei ricercatori non professionisti non dipendono dai fondi che gli Stati destinano alla ricerca né dai criteri che gli istituti e gli enti istituzionali di ricerca adottano per l’allocazione delle risorse al proprio interno.
In generale, in un contesto fosco e contraddittorio come l’attuale la loro opera ci pare possa essere definita lodevole e meritoria.
In conclusione, preme mettere in evidenza quella che consideriamo una discrasia sistemica di lunga dovuta alla non esistenza di una reale e fattiva interfaccia, un “trait d’union”, tra coloro che fanno ricerca, a qualunque titolo, professionista o meno, sui territori e gli enti ed istituzioni preposte a gestire e a governare gli stessi territori compresi gli enti parco et similari, gli assessorati e ministeri.
Accade sin troppo spesso che queste istituzioni, deputate e chiamate a decidere, autorizzare, normare e di ausilio alla fase legiferante, poco o nulla sappiano dello stato della biodiversità dei territori di loro competenza e spesso quello che sanno si basa su informazioni datate quando non proprio obsolete.
Non è pensabile che tali organismi non si dotino di apparati e personale qualificato che di professione esamini e studi quanto venga di continuo pubblicato sulle riviste scientifiche non di un solo settore come l’Entomologia, che già sarebbe compito arduo, ma di tutti i settori riguardanti la biodiversità e le Scienze Naturali e Biologiche in generale. Il discorso è tanto più vero e stringente quanto più ci si approssima agli enti locali, spessissimo piccoli, senza particolari risorse e privi di competenze non solo specifiche ma anche generiche. Dovrebbe essere il mondo della ricerca nel suo complesso ad interconnettersi con le realtà locali interpellandole, coinvolgendole, inviando e sottoponendo alla conoscenza e all’attenzione delle stesse le novità, le scoperte, le eventuali criticità, gli studi e le conclusioni.
L’auspicio è quello che le realtà locali in primis come i Comuni, gli Enti Parco, le Aree protette, gli Assessorati competenti quando chiamate a normare, regolare e tutelare, prendano consapevolezza di quale sia lo stato dell’arte in quel dato momento e su quel dato territorio in merito a tutte le possibili sfaccettature ambientali .
La speranza è che questi intenti siano quanto più è possibile condivisi e fatti propri da chiunque che, a qualunque titolo, faccia ricerca scientifica in tali ambiti ed abbia sinceramente a cuore il patrimonio di biodiversità che caratterizza i nostri territori e non solo.
AUTORI
Davide Cillo
Via Zeffiro 8, 09126, Cagliari (CA), Italy. E-mail: davide.cillo@hotmail.it
Cesare Ancona
Via Mascagni 3, 09020, Ussana (CA), Italy. E-mail: c.ancona@yahoo.it
Antonio Spiga
Via Salieri 26/28, 09045, Quartu S.E. (CA), Italy. E-mail: antonellospiga@yahoo.it
Federico Alamanni
Via delle Serre 28, 09044 Quartucciu (CA), Italy. E-mail: federico.alamanni@gmail.com
Orietta Masala
Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del CNR U.O.S di Cagliaric/o DICAAR, Facoltà d’Ingegneria – via Marengo 2, 09123 Cagliari (Italy)
E-mail: omasala@unica.it
Cristina Delunas
Università degli Studi di Cagliari, DICAAR – via Marengo 2, 09123 Cagliari (CA), Italy. E-mail: cdelunas@unica.it
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Collezionisti di insetti_Art1
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