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Le terre di origine del Manfredi, attraversate dal fiume Auso e dal fiume Fasanella, sono abitate da tempi remoti ed hanno dimostrato nel tempo di avere grande vocazionalità per la viticultura; qui ai piedi del massiccio degli Alburni gli antichi abitanti della Colchide decisero di stanziarsi dopo un lungo viaggio, avviando le pratiche dell’agricoltura, della pastorizia e del commercio, in un territorio che dal Mar Tirreno al Vallo di Diano ha da sempre costituito un passaggio fino al Mar Jonio. Memori del fiume lasciato alle spalle nelle terre di origine e sorpreso di trovare anche in questi luoghi i fagiani battezzarono il fiume col nome Phasis, fondando dunque Fasanella, erigendo cinte murarie e ponendo una stele dedicata ad Antece, divinità guerriera, a difesa della città contro le popolazioni lucane.Furono gli attacchi punitivi del 1246 ordinati da Federico II di Svevia a distruggere la città a causa della congiura ordita contro di lui dal feudatario Pandolfo presso il Castello di Capaccio, costringendo i sopravvissuti prima a vivere tra le rovina cittadine, per poi abbandonarle a causa dell’aria malsana scaturita dai fiumi verso il 1452. Fu a quel tempo che Manfredi, signore di quella zona, era apparso un angelo nei pressi di una grotta e, come narra la leggenda, ad indicargli un luogo più adatto per il nuovo insediamento. E fu così che sotto il protettorato di San Michele Arcangelo nacque l’odierna cittadina di Sant’Angelo a Fasanella, risollevata dall’opera dei frati benedettini della vicina badia di Cava de’ Tirreni, dai frati francescani e dalle suore teresiane.

Le vigne di Aglianico allevate a guyot e poste a circa 500 metri s.l.m. sono impiantati su terreni ad alternanza marnosi ed arenacei e vedono una produzione di poco più di 60 quintali per ettaro. Per vendemmiare le uve necessarie a produrre il Manfredi bisogna attendere la seconda decade di Ottobre, dopo la diraspatura, tra pre e post fermentazione, dovranno passare almeno trenta giorni per completare la macerazione alcolica; dopo la svinatura ed una pressatura soffice il Manfredi sosterà in tonneaux di rovere francese per 30 mesi, poi in acciaio per altri 15 mesi ed infine, al compimento del quarto anno dalla vendemmia, altri 3 mesi di affinamento in bottiglia senza aver effettuato stabilizzazione tartarica, senza solfiti aggiunti e con un blando filtraggio.

Di un rosso rubino quasi impenetrabile, appena tendente al granato ed archetti fittissimi a testimoniare un estratto secco di 37,8 grammi per litro, il Manfredi dimostra da subito la sua generosa consistenza e la sua trama robusta. La ciliegia si palesa da subito nel trittico che la veda in quanto a frutta tal quale, in confettura e sotto spirito, segue il profumo di scorza di arancia candita innestato nelle note di carruba, poi terra bagnata, timo selvatico ed una scia balsamica ben veicolata dagli alcoli e contenente pepe nero, sentori di vin cotto, china ed accenni vanigliati. In bocca il fruttato esplode riconfermandosi all’esame gusto olfattivo, la vaniglia volge in confetto e soltanto una piacevole acidità riesce a tenere a bada la tannicità ancora in odore di gioventù ma per niente spiacevole vista la masticabilità del vino ed il finale piacevolmente lungo.  Fusilli di Felitto fatti a mano con ragù di castrato e ricotta di capra secca.

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