Si è svolto nella giornata del 29 Ottobre il Convegno sui vitigni resistenti alle malattie e ai cambiamenti climatici organizzato dall’associazione Mater.ia, impegnata nella promozione territoriale e del turismo in terra irpina; a fare da prestigiosa cornice all’evento lo storico Istituto Tecnico Agrario di Avellino, fondato nel 1879 dal ministro dell’Istruzione Francesco Saverio De Sanctis a cui è intitolato, noto per essere tra le più rinomate istituzioni scolastiche del Mezzogiorno, la seconda scuola di enologia d’Italia e per aver accolto tra i banchi illustri personaggi del mondo del vino.
L’iniziativa è stata promossa dall’azienda di vivai cooperativi Rauscedo di Pordenone, salutata dal dirigente scolastico dell’I.T.A. Pietro Caterini, da Valentina Taccone, presidente dell’associazione Mater.ia, con la moderazione di Annibale Discepolo, giornalista de “Il Mattino”; nell’affrontare il dibattito sono intervenuti Stefano Di Marzo, presidente del Consorzio Tutela Vini d’Irpinia, e Roberto Di Meo, enologo e presidente della sezione campana dell’Associazione Enologi ed Enotecnici Italiani.
Le tematiche sono state affrontate presumendo che una maggiore sostenibilità della produzione vitivinicola possa derivare proprio dall’introduzione di vitigni costituiti geneticamente al 90% da Vitis Vinifera ed al 10% di altre specie del genere Vitis combinate ai cloni omologati da VCR. Sembra che questi nuovi ibridi consentano sia la diminuzione del numero di trattamenti che di influenzare positivamente la produzione del vino da esse ottenuto. Tuttora la Legislazione Europea consente di produrre vini a denominazione di origine esclusivamente con varietà di Vitis Vinifera e questo perché vecchi ibridi sperimentali come Clinto, Isabella e Vidal presentavano non solo evidenti difetti dal punto di vista organolettico ma generavano livelli elevati di metanolo, estremamente dannoso per la salute com’è noto; ad oggi invece è stato possibile ridurre notevolmente grazie a questi vitigni di nuova generazione non solo il contenuto di alcol metilico ma persino la soglia di percezione del sentore “foxy” e di fragola, dipendenti rispettivamente dalle molecole di metilantranilato e furaneolo; grazie alla ricerca iniziata nel 1998 dall’Università di Udine con la valutazione agronomica ed enologica condotta da VCR, è stato possibile iscrivere al Registro Nazionale delle Varietà di Vite già nel 2015 le seguenti varietà: Fleurtai, Soreli, Sauvignon Kretos, Sauvignon Nepeli e Sauvignon Rytos a bacca bianca e Merlot Khorus, Merlot Kanthus, Cabernet Eidos, Cabernet Volos e Julius a bacca nera. È stato anche sottolineato l’obiettivo di concentrare la ricerca su tre geni particolarmente resistenti ad oidio e peronospera al fine di ottenere vitigni con resistenza poligenica al fine di garantire una protezione indelebile a questa tipologia di crittogame per quanto improbabile sia il superamento delle barriere immunizzanti nei vitigni a resistenza monogenica che necessitano comunque, al fine di intercettare i periodi a maggior rischio infettivo e scongiurare il rischio di forme ipervirulente o di malattie secondarie come escoriosi, black rot ed antracnosi, di almeno due o tre trattamenti annui, rispetto ai dieci o dodici trattamenti praticati per gli impianto vitivinicolo tradizionale.
Fermo restando che la ricerca scientifica, soprattutto se usata con senso etico e parsimonia, non può che comportare determinati benefici è comunque giusto non sottovalutare la straordinaria capacità della vite di adattarsi al cambiamento climatico ed ai suoli più disparati, seppur con limitazioni in altitudine e latitudine, per non parlare dell’importanza di dover concedere a questa nobile pianta il tempo materiale di riappropriarsi del suo patrimonio di anticorpi vegetali, drasticamente ridotti a causa di un eccesso sovente ingiustificato e barbaro di trattamenti. Tra l’altro troppo poco è stata sottolineata l’importanza di sensibilizzare i produttori alla bonifica di quei terreni fin troppo funestati da pesticidi ed oggetto di spandimento agricolo delle acque da reflui vinari, per non parlare del fatto che esistono numerosi studi che dimostrano quanto determinate piante convivano magnificamente in simbiosi con la Vitis Vinifera fugandone i nemici o quantomeno allertandone la presenza in tempo sufficiente a correre ai ripari, spesso costituiti dalla buona pratica della lotta integrata.
A conclusione dei lavori la degustazione tecnica magistralmente tenuta da Annito Abate, delegato provinciale AIS Avellino, e da Valentina Taccone sui vini derivati da Soreli, Sauvignon Nepis, Merlot Kanthus e Cabernet Volos, degustazione molto interessante malgrado le suddette considerazioni, anche grazie all’assenza di un’impalcatura olfattiva eccessivamente baldanzosa derivante da addizione di lieviti selezionati.
Attualmente e per fortuna il protocollo regionale campano non ammette ancora l’uso di certi vitigni geneticamente modificati e a buon diritto: questa terra vanta di essere la più ricca di varietà ampelografiche e merita il suo patrimonio vitivinicolo sia preservato sotto ogni punto di vista. Senza un atteggiamento sinceramente rivolto alla sostenibilità ambientale rischieremmo qualcosa come una serie di denominazioni di origine inventata e la contaminazione genetica estinguerebbe per sempre l’autenticità di viti che hanno faticato per secoli ad adattarsi a nuovi suoli ed al rapporto con l’uomo!