Grazie a Sorano d’Efeso, esponente della Scuola dei Metodici vissuto tra il I e il II sec. d.C., sono state gettate le basi della pediatria e nei suoi trattati, per quanto ce ne siano pervenuti solo quattro, viene data grande importanza alle malattie femminili, all’assistenza alle partorienti e alle prime cure ai neonati.
Galeno ( 130-200 d.C. ca.) esaltava, e a ragione, i benefici dell’allattamento materno (argomento in futuro caro anche all’autore Aulo Gellio, vissuto tra il 130 e il 175 d.C. ca. ), riservò nei suoi scritti grande importanza alla puericultura, alle problematiche della dentizione, della parotite, dei parassiti intestinali e delle convulsioni infantili; si devono a Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.) alcune delle nozioni fondamentali sull’educazione dei bambini e ad Aulo Cornelio Celso, nel I sec. d.C. , il concetto della specificità del bambino non in quanto a uomo in miniatura bensì in divenire; Gaio Plinio Secondo il Vecchio ( 23-79 d.C.) ipotizzò l’interazione tra stagioni e clima, età e costituzione con le malattie infantili oltre tramandarci elementi di endocrinologia pediatrica.
Nel IV sec. d.C. tra i dotti di Bisanzio eccelse Oribasio di Pergamo per aver scritto il “Sinagoghè”, noto compendio del sapere medico ippocratico-galenico; Celio Aureliano, originario di Sicca in Numidia e vissuto a Roma presumibilmente nel V sec. , introdusse la pratica della tracheotomia per facilitare la respirazione in caso di malattie infettive nel tratto laringo-faringeo e illustrò nelle sue opere, il “De morbis acutis et chronicis” e “Gynaecia”, la dottrina dei “metodici”, altrimenti sepolta dalle polveri del Tempo; Aezio di Amida, vissuto nel VI sec. , nel suo “Tetrabiblon”, elargì alcune osservazioni personali ed inedite su febbri e difterite; Alessandro di Tralles, originario di Caria (l’attuale Aydn in Turchia) vissuto tra il IV e il VII sec., si distinse in medicina per la redazione di monografie sui disturbi oculari alla nascita; del VII sec. si ricorda Paolo D’Egina per aver approfondito lo studio sull’ostetricia; Aronne di Alessandria, medico e prete cristiano, descrisse il vaiolo, per quanto fu lo scienziato e alchimista persiano Rhazes (Abu Bakr Mohammad Ibn Zakarya Al-Razi) a distinguerlo dal morbillo, trattando a parte la varicella, la scarlattina e prescrivendo validi rimedi contro gli elminti, così come Avicenna e Averroè non mancarono di dare il loro contributo alla pediatria descrivendo le cure contro il vomito dei bambini e il postema alla gola.
A tutto questo antico sapere, talvolta inerte, disciolto in congetture dalle dispute tra “nuovi” esponenti della medicina, mancava il collante per poter finalmente incontrare pratici fini e una più ampia applicazione. E si dovette aspettare sino al IX sec., quando la medicina greco- romana e quella arabo-bizantina confluirono finalmente nella dottrina della Scuola Medica Salernitana, prima scuola occidentale di medicina e modello delle moderne università.
Purtroppo il progresso della medicina da parte della Scuola profuso tramite l’insegnamento, compresa l’interpretazione critica degli antichi trattati era avviato solo in parte: la natura e la malattie femminili erano ancora misconosciute o poste in secondo piano e conseguentemente la mortalità infantile troppo alta; occorreva superare certi preconcetti legati al pensiero, al pudore e ai costumi dell’epoca sull’universo femminile e, giacché nel Medioevo la salute delle donne era affidata alle donne stesse, per quanto non fossero medici, occorreva riscattare gran parte di quel sapere per renderlo loro fruibile. Non di meno c’era bisogno di una maggiore sensibilità.
Presumibilmente intorno al 1035-40 nacque a Salerno la donna destinata a cambiare le sorti della ginecologia e dell’ostetricia rendendole branche della scienza medica: Trotula De Ruggiero il suo nome. La famiglia De Ruggiero, nobile e ricca, concesse parte dei suoi averi a Roberto il Guiscardo per la costruzione del Duomo di Salerno dedicato a San Matteo e per quanto si possa pensare questo abbia favorito la carriera medica di Trotula presso la Scuola Medica Salernitana non bisogna trascurare due aspetti fondamentali: il primo, che Trotula fosse vissuta al tempo di Gisulfo II, dovrebbe sottolineare quanto il ruolo della donna, saldamente in linea alla cultura longobarda, fosse importante, essendo coinvolta assieme all’uomo nella vita politico-sociale, nella religione e, non di rado, nelle vicende di natura militare; mentre il secondo e non meno rilevante aspetto è che la Scuola Medica Salernitana consentì alle donne, a tutte le donne con buona inclinazione, l’accesso al “curriculum studiorum” in medicina sin dal principio, permettendo potessero assurgere sia alla docenza che all’esercizio della professione medica, ovviamente previo superamento dell’esame da tenersi dinanzi all’ “Almo Collegio Salernitano”. E le donne, con grande abnegazione per lo studio della medicina e tanta animosa, passionale operosità nel curare i bisognosi, diedero così tanto lustro alla Scuola da essere divenute celebri e ricordate dalla storia della medicina come “Mulieres Salernitanae” (si ricordano Abella, Mercuriade, Rebecca Guarna, Francesca di Roma e Costanza Calenda). E Trotula De Ruggiero, una di loro, fu la maggiore e più nota esponente.
Era bellissima, provvista di un’intelligenza e uno spirito d’osservazione fuori dal comune e, teneramente materna, aveva misericordiosa comprensione e dolcezza nel prendersi cura degli ammalati; andò in sposa a Giovanni Plateario, esimio medico della Scuola Medica Salernitana, dal quale ebbe due figli, Giovanni junior e Matteo (il marito e i figli passeranno alla storia col nome di “Magistri Platearii” e con essi Trotula collaborò alla stesura del manuale medico “Practica Brevis”). Quale degna rappresentante della sua Scuola reputava fondamentali l’igiene e la prevenzione, intuì anzitempo l’importanza del controllo delle nascite e ipotizzò ragionevolmente l’infertilità dipendesse anche dall’uomo. Inoltre escogitò tecniche per rendere meno doloroso il parto e il puerperio più sicuro; con un’accurata anamnesi, l’intima e diretta conoscenza della natura femminile scongiurò spesso inutili interventi chirurgici diagnosticati dai suoi colleghi, ciò sia grazie all’uso sapiente di erbe ed unguenti che a una migliore disposizione delle pazienti a rivelare i loro problemi in maniera più serena ed esplicita.
Molti dei suoi insegnamenti, frutto dello studio e dell’esperienza acquisita sul campo, vennero inclusi in una grande raccolta assieme a quelli di sette tra i più grandi maestri e priori della Scuola Medica Salernitana nota col nome di “De agritudinum curationem”, un pegno di gratitudine che la Scuola stessa concesse alla figlia più diligente. Ma le lezioni della dotta Trotula e il compendio di una vita intera dedicata alla medicina in generale e allo sforzo di migliorare la condizione della donna, cercando di riscattarla dalla sua naturale fragilità in un’epoca in cui il parto, più che l’inizio di una nuova vita, rappresentava maggiormente un rischio mortale sia per la partoriente che per il nascituro, giunsero in forma scritta dalla mano e dalla mente della stessa “sapiens matrona”, come ossequiosamente la definivano i colleghi maschi: il “De passionibus mulierum antes et post partum” e il “De ornatu mulierum” (in realtà entrambi parte di una sola opera formata da due libri).
Il “De passionibus mulierum antes et post partum” (formato da 64 capitoli di cui purtroppo mancano i primi 12), noto anche come “Trotula Major” è stato il primo trattato scientifico a parlare di ostetricia, ginecologia e puericultura, materie che l’autrice considerava assolutamente complementari, un vero e proprio manuale ricchissimo di rimedi, prescrizioni e approfondimenti su ciclo mensile, gravidanza, parto e puerperio, allattamento, difficoltà nel concepimento ed infertilità, i disturbi fisiologici propri della donna e l’isteria; in esso era descritta anche la metodologia e le pratiche attuate nel XI per preservare la salute del neonato e allevare il bambino al meglio (“il cordone ombelicale sia reciso a tre dita dall’addome”; “il neonato venga spesso strofinato e le membra racchiuse in fasce…”; “alla nascita si tengano coperti gli occhi e non lo si esponga in luoghi luminosi”, per citarne solo alcuni) e contenuta una tra le più importanti nozioni che Trotula possa averci tramandato: la necessità di suturare le lesioni perineali; nel “De ornatu mulierum” poi, un trattato di cosmesi più unico che raro a quei tempi, non si parlava esclusivamente degli accorgimenti sul come rendere belle le donne: Trotula aveva l’intento di ricostituire il benessere psico-fisico della donna durante tutto l’arco della sua esistenza e prepararla alla maternità.
Trotula morì nel 1097, stando ai registri delle morti conservati presso il Duomo di Salerno. Si narra che il corteo funebre fosse lungo 3 km tanta fu la stima e la riconoscenza popolare per la sua sensibilità di donna e di medico a prestare soccorso medico a tutti coloro che ne ebbero bisogno.
Il “De passionibus mulierum” e il “De Ornatu” hanno attraversato indenni più di quattro secoli, sono stati tradotti in numerose lingue prima ancora di vedere la stampa nel 1544 a Strasburgo nell’edizione di George Krant. Di essi stupiscono tutt’oggi il linguaggio in latino medievale adottato da Trotula che rende praticamente, con disinvoltura e nient’affatto con accento moralistico, il sesso femminile finalmente tradotto e asserendo che l’esser donna fosse un tutt’uno in relazione al proprio rapporto con corpo, bellezza e salute, armonia, affetti e vita sociale.
Il nome di Trotula De Ruggiero riecheggiò per tutto il Medioevo e tanta era la fama, la riconoscenza e la venerazione che le dedicarono una moneta in bronzo (circolata a Napoli intorno al 1840 di cui un esemplare con annessi matrice e punzone sono oggi conservati al museo provinciale di Salerno) e attribuirono in suo onore il nome di “Trotula Corona” ad un rilievo scoperto su Venere. Del resto, per quanto scarse le notizie biografiche, non mancarono di certo le citazioni: nella “storia ecclesiastica” del monaco anglo-normanno Orderico Vitale si legge del nobile Rodolfo Malacorona il quale, compiuti gli studi di medicina in Francia e giunto in visita a Salerno nel 1059, restò sorpreso e compiaciuto di come Trotula seppe tenergli testa, ammettendone le indiscusse doti; menzionata nel 1150 da Bernardo da Provenza col nome di “Tortula”; nel “Dict de l’Herberie”, scritto dal trovatore e poeta satirico parigino Rutebeuf, il protagonista affermava di essere al servizio di una nobildonna salernitana di nome “Trota” (“Trotte de Salerne”), la donna più saggia del mondo, capace di estrarre medicamenti portentosi dalle fiere e dalle capacità mediche eccelse, a suo dire; i suoi consigli trascritti anche nel “Thesaurum Pauperum” del 1276; la ritroviamo in forma di personaggio leggendario e col nome di “dame Trot” nei “Racconti di Canterbury”, capolavoro medievale di Geoffrey Chaucer scritto tra il 1387 e 1400. E ancora, vengono citati i suoi insegnamenti anche dal medico veneziano Benedetto Vittorio Faventino nella sua” miscellanea empirica” del 1554.
Una tale fama da rendere Trotula medico leggendario.
Purtroppo, poco a poco, la leggenda si tramutò in detrimento: non solo fu messa in discussione l’attribuzione della maternità del “De passionibus mulierum ante et post partum” alla “mulier salernitana”, ma l’autrice fu così a lungo estromessa dalla storia ufficiale che la stessa esistenza biologica ne venne inficiata.
Fortunatamente in seguito, a restituire alla storia della medicina Trotula De Ruggiero e a riscattare l’autenticità della sua figura, non furono soltanto gli esponenti della Scuola Medica Salernitana quali il priore Antonio Mazza del XVII e gli studiosi italiani dell’800, tra cui il noto storico della medicina avellinese Salvatore De Renzi (1800-1872), ma persino autorevoli esponenti dall’estero: Louis Adolphe Spach, pedagogo e scrittore originario di Strasburgo (1800-1879), scrivendo ai margini di una copia del “De passionibus mulierum” conservata al British Museum, affermava che “… è pressoché impossibile che questa opera sia stata scritta da un uomo. Troppe cose vi sono dette che indicano lo sforzo di una donna di aiutare il suo sesso; e che deve essere stato estraneo alla sua naturale modestia lo scriverne, ma che sono il frutto dell’attività onesta di una donna medico,raffinata e gentile, per il bene del suo sesso” e immancabilmente dello stesso avviso Kate Campbell Hurd-Mead (1867-1941) ostetrica canadese, esponente del femminismo e promotrice del ruolo della donna nella medicina. Per lunghissimo tempo però l’autorevolezza della donna in medicina risentì di ciò.
La vita di Trotula De Ruggiero, proiettata verso la ricerca continua e sensibile dell’innovazione della medicina mirata al miglioramento della condizione delle donne e degli ammalati in generale, al ritrovamento della “pietra filosofale” attraverso l’amore e la dedizione nello svolgimento consapevole del proprio ruolo di assistenza ai bisognosi, resta tutt’oggi un esempio emblematico e raro di adempimento al giuramento di Ippocrate, di ispirazione persino per i moderni dottori.
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