Share

Dal 21 marzo 2019 al piano nobile di Palazzo Mazzonis il MAO Museo d’Arte Orientale di Torino, presenta la mostra SAFAR: VIAGGIO IN MEDIO ORIENTE, VITE APPESE A UN FILO. Fotografie di Farian Sabahi.

Se l’albero potesse muoversi, e avesse piedi ed ali

non penerebbe segato, né soffrirebbe ferite d’accetta

E se il sole non viaggiasse con piedi e ali ogni notte

come potrebbe illuminarsi il mondo all’aurora?

Anche se tu non hai piedi, scegli di viaggiare in te stesso,

come miniera di rubini sii aperto all’influsso dei raggi del sole.

Rumi, XIII secolo.

Una sessantina gli scatti realizzati da Farian Sabahi in Libano, Siria, Iraq, Iran, Emirati Arabi, Azerbaigian, Uzbekistan e Yemen tra il febbraio 1998 e la primavera 2005 ed esposti per la prima volta.

In persiano e in arabo, Safar vuole dire viaggio. Una parola che in sé racchiude i molteplici significati della mostra: racconta i viaggi di Farian Sabahi, le Terre e le persone ritratte e al contempo esorta il visitatore a compiere un viaggio, doppio, geografico ed emotivo. Così, i versi del poeta di lingua persiana Rumi ricamati dalla giovane artista Ivana Sfredda accolgono il visitatore: Anche se tu non hai piedi, scegli di viaggiare in te stesso, versi volti ad evocare l’importanza del viaggio e dell’apertura alle culture altre nel processo di crescita personale.

La giornalista e studiosa Farian Sabahi ci restituisce un mondo visto e immortalato poco prima e immediatamente dopo che in alcuni di questi Paesi iniziassero terribili i conflitti, un mondo stravolto anche dove la guerra non si è combattuta, dove però permangono le cicatrici dei vecchi conflitti o dove il progresso si contrappone forte e arrogante agli aspetti più tradizionali del vivere quotidiano.

Alberto Negri nella prefazione del catalogo scrive “Nulla di tutto quello che vediamo in questi scatti ci è estraneo. È un mondo diverso ma non così esotico. Abbiamo contribuito pesantemente alla sua distruzione. È difficile raccontare cosa volesse dire vivere in Iraq o Siria in questi anni, sotto i bombardamenti, asserragliati senza mai potere uscire. La morte arrivava dall’alto con i raid aerei o i missili, oppure in maniera silenziosa sulla lama di un coltello. E molti dei monumenti, dei muri, delle case, dei volti delle persone che qui sono ritratti non ci sono più. Perduti per sempre. Ecco perché l’immagine, anche la più innocente, come il sorriso di un bambino, non è semplicemente un ricordo ma un atto d’accusa”.

La restituzione di questo sentire è data dall’installazione site specific, il cubo nero diventa uno spazio atemporale in cui le fotografie si alternano come i ricordi di vecchi viaggi, dove è difficile distinguere un prima da un poi.

Le fotografie, realizzate originariamente in diapo 100 ASA Fuji sensia a colori e stampate per la mostra su carta museale opaca, sono presentate senza cornici, senza stretti confini, ma appese a un filo da pesca per tonni ad evocare la precarietà della vita in Medio Oriente, appesa appunto a un filo. Un filo trasparente, che non si vede ma è molto resistente e rappresenta al contempo il contesto all’interno del quale le vite sono imprigionate spesso a causa di dittature e conflitti. Il filo da pesca evoca anche la morte, le vite appese, imprigionate e poi negate, come dice Farian Sabahi “il filo da pesca ricorda il Mediterraneo e le tante vittime di questi anni”.

Corredo alle immagini sono i passaporti italiano e iraniano con i visti per quei Paesi, la macchina fotografica Nikon e gli obiettivi usati, il registratore. E ancora le pagine dei quotidiani dell’epoca, tra cui gli articoli e i reportage su IlSole24Ore firmati da Farian Sabahi, fissate come in una bacheca.

Arabo, persiano, italiano, francese e inglese sono le lingue che animano il tappeto sonoro. Le voci che abbracciano il visitatore e lo traghettano “dentro” la storia sono dello scrittore turco e Nobel per la Lettaratura Orhan Pamuk, di Padre Paolo dell’Oglio, del poeta siriano Adonis, di un pescatore sul Tigri, dell’ex presidente iracheno Saddam Hussein, di un omosessuale a Dubai, dell’ex presidente iraniano Muhammad Khatami, dell’architetto Darab Diba, del filosofo Dariush Shayegan, dell’avvocata e attivista pachistana Bilqis Tahira, dello storico azerbaigiano Altay Geyushev, dell’artista e gallerista azerbaigiana Aida Mahmudova, di Pierpaolo Pasolini, dell’attivista yemenita insignita del Nobel per la Pace Tawakkol Karman, della scrittrice iraniana Azar Nafisi.

A congedare il visitatore ancora i versi di Rumi nei quali il viaggio è un’esperienza che porta alla conoscenza e, nel nostro caso, al rifiuto del dualismo tra Occidente e Oriente, a decidere di non dichiararsi appartenenti a un mondo o all’altro.

Io non sono dell’Est né dell’Ovest.

Ho riposto la dualità 
e visto i due mondi come uno.

In occasione della mostra, Farian Sabahi tiene al MAO un ciclo di tre lezioni sulla letteratura mediorientale, ogni incontro è dedicato ad una autrice e per ognuna si farà riferimento a uno o due testi in particolare che il pubblico può trovare presso il bookshop del Museo.

23 marzo ore 11: Vénus Khoury-Ghata, Libano

La casa sull’orlo del pianto e La casa delle ortiche, Il leone verde, Torino, 2005 e 2006 (traduzione di G. Messi)

30 marzo ore 11: Inaam Kachachi, Iraq

Dispersi, Francesco Brioschi Editore, Milano, 2018 (traduzione di E. Bartuli)

6 aprile ore 11: Nasim Marashi, Iran

L’autunno è l’ultima stagione dell’anno, Ponte33, Roma, 2017 (traduzione di P. Nazari)

L’ingresso in mostra rientra nel biglietto del Museo.

Ciclo 3 appuntamenti letterari € 20, fino esaurimento posti disponibili.

Catalogo della mostra Prinp Editore, 74 pagg, con testi di Farian Sabahi, Alberto Negri e Olga Gambari

Farian Sabahi (1967) – Giornalista professionista specializzata sul Medio Oriente, scrive per Il Corriere della Sera, il settimanale Io Donna e il manifesto. È lecturer in Political Science and Religion alla John Cabot University di Roma, dove insegna History and Politics of Modern Iran e Introduction to Islam. È anche titolare del seminario “Relazioni internazionali del Medio Oriente” presso l’Università della Valle d’Aosta.

Il bazar e la moschea. Storia dell’Iran 1890-2018 (Bruno Mondadori 2019) è il suo ultimo libro. Nel memoir Non legare il cuore. La mia storia persiana tra due paesi e tre religioni racconta le sue vicende e quelle di famiglia (Solferino 2018). Tra gli altri suoi volumi: Un’estate a Teheran (Laterza), Islam. L’identità inquieta dell’Europa (Saggiatore) e Storia dello Yemen (Bruno Mondadori). Noi donne di Teheran (disponibile anche in francese e in inglese) e il libro-intervista Il mio esilio con l’avvocato iraniana Shirin Ebadi insignita del Nobel per la pace sono pubblicati da Jouvence.

Nel 2018 il MAO Museo d’Arte Orientale di Torino, il Mudec Museo delle Culture di Milano, il festival Sguardi Altrove e la Comunità Ebraica di Casale Monferrato hanno ospitato il cortometraggio I bambini di Teheran.

Nel 2010 è stata insignita del Premio Amalfi sezione Mediterraneo, nel 2011 ha ricevuto il Premio Torino Libera intitolato a Valdo Fusi, e nel 2016 il Premio giornalistico “Con gli occhi di una donna”. www.fariansabahi.com

Ivana Sfredda (1995)Laureanda all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, dal 2014 partecipa come artista a mostre collettive a Torino, Genova, Rodello (CN), Termoli (CB) e Breslavia (PL). È parte del collettivo IF, Immaginare un futuro sostenibile, il cui punto di riferimento sono le tematiche dell’Agenda ONU 2030.

Yalda – Una voce di velluto che sussurra storie in persiano. Laureatasi al conservatorio di Teheran, Iran, a 26 anni si trasferisce in Italia, dove inizia una attività artistica che la porterà, tra l’altro, a collaborazioni con artisti come Pacifico e Raiz. Ha composto e interpretato brani per colonne sonore di grandi nomi del cinema italiano, come Gabriele Salvatores e Silvio Soldini, e per documentari prodotti dal Corriere della Sera. Nel 2008 è uscito, per l’etichetta Ishtar, “Yalda”, il suo primo album. In questi anni si è esibita in numerosi concerti come la Biennale Architettura di Venezia e l’apertura della Philips Collection Washington al MART di Rovereto.

MAO Museo d’Arte Orientale Via San Domenico 11, Torino

Il Museo Un viaggio in Oriente. Oltre 2200 opere provenienti da diversi Paesi dell’Asia, dal IV millennio a.C. fino al XX d.C., raccontano cinque diversi percorsi per cinque diverse aree culturali: Asia meridionale, Cina, Giappone, Regione Himalayana, Paesi Islamici dell’Asia. Culture millenarie distanti e poco conosciute si avvicinano al pubblico. Il MAO, invita ad un viaggio affascinante di scambio, scoperta e conoscenza.

Info t. 011.4436927 – mao@fondazionetorinomusei.itwww.maotorino.it

Facebook: MAO. Museo d’Arte Orientale – Instagram: mao_torino

Orario mar-ven h 10 -18; sab-dom h 11 – 19; chiuso lunedì. La biglietteria chiude un’ora prima.

Fondazione Torino Musei. 150.000 opere d’arte, 5000 anni di storia, 3 musei. www.fondazionetorinomusei.it

Nata nel 2002, ne fanno parte MAO Museo d’Arte Orientale, Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica e GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea. Lo straordinario patrimonio, tra collezioni, raccolte e strutture, rende l’offerta culturale torinese una delle prime in Italia, anche grazie a collaborazioni attive con i più importanti musei e fondazioni nazionali e internazionali.

Leave a comment.