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Di Nicolò Migheli

Mai come in questo tempo di abbondanza il cibo assume caratteri quasi ossessivi. Gli chef sono diventati i maître à penser invadendo a ogni ora i palinsesti televisivi.

La rete è piena di food blogger che raccontano piatti e ristoranti, spesso senza nessuna attenzione all’origine dei prodotti cucinati, il più delle volte ci si limita ad esaltare l’abilità dei cuochi, la loro ricerca, il volersi distaccare dal cibo quotidiano. Una visione sempre più estetica che prescinde dal bisogno innato del nutrirsi, alla ricerca di quel che può colpire di più. È anche vero però, che molti cuochi perseguono un approccio etico al cibo, sono attenti alla materia prima che non vive solo di qualità organolettiche, ma anche di legami con il territorio, del non sfruttamento di chi l’ha prodotta, il suo impatto nell’ambiente.

Il cibo è cultura non solo perché rappresenta la codificazione di pratiche che percorrono i secoli, ma perché permette- il più delle volte ne è causa- la socializzazione tra i commensali, è oggetto di scambio e dono. Vi è poi chi tramite i piatti e le ricette ricostruisce il percorso storico di un cibo, sottolinea il suo intersecarsi con le vicende dei popoli, racconta con le sue contaminazioni gli scambi. Cibi esaltati, permessi o fatti di divieti religiosi. La storia del Mediterraneo è piena di queste vicende. A volte il rivendicare un piatto come identitario di un luogo o di un solo popolo, si corre il rischio di cadere in piena contraddizione. Basta una ricerca accurata per smontare molte sicurezze.

Veronica Matta con il suo Panada on the road, pubblicato dall’Associazione Sa Mata ripercorre i passi e le vicende de Sa Panada, diffusa non solo in Sardegna ma in tutto il mondo ispanico, dalle Baleari all’Argentina. Sempre simile nella fattura e con vari ripieni, è cibo che nei secoli ha consolato e nutrito.

L’autrice in questo suo viaggio antropologico tra Spagna, le Baleari e la Sardegna ha incontrato esperti, artigiani e cuochi, ognuno di essi ha una spiegazione sull’origine, alla fine però quella che risulta la più convincente è quella ebraica. Un piatto, specialmente quello sardo, oggi non più koscher, per via dell’uso dello strutto nella confezione della pasta, originariamente però era l’olio d’oliva a farla da padrone.

Il libro di piacevole lettura riporta ricette, tradizioni, luoghi, perfino una confraternita che ha la sua protettrice in una Santa Maria de la Panada venerata a Maiorca. Un testo che racconta di globalizzazioni antiche e che non dovrebbe mancare nella biblioteca di nessuno.
Veronica Matta, Panada on the road, Associazione Sa Mata, Assemini, 2018.

2 thoughts on “La lunga strada della panada

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