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Scrivere oggi, nel XXI secolo, che la nostra salute dipende da quello che mangiamo appare come una imperdonabile ovvietà. Qualunque media, dalla stampa tradizionale ai social, dedica un congruo spazio al cibo in generale e ai superfood che dovrebbero mantenerci sani. Tristemente però, spesso l’argomento è trattato con superficialità; il cibo è moda e quindi se ne deve parlare a ogni costo creando fazioni e fronde, gruppi contrapposti, snobismi, preclusioni e prese di posizione insensate. Il cibo è spettacolarizzato, trattato come una merce, demonizzato, osannato.

Il sapere trasmesso e lo studio

Io cucino da circa trent’anni. Non posso dire di essere custode di ricette tramandate da generazioni e di aver passato domeniche in cucina, a fianco delle donne di famiglia, ad apprendere segreti e ad assorbire insegnamenti. Mia madre aveva un lavoro impegnativo e aveva abbracciato in pieno i valori dei movimenti per l’emancipazione femminile; mia nonna era sopravvissuta a due guerre in una famiglia con pochissima disponibilità economica ed era una donna molto pratica, poco avvezza a lasciarsi trasportare dai ricordi, in cucina come altrove. Entrambe, però, ognuna a modo proprio, mi hanno insegnato che è meglio poco ma buono e che bisogna mangiare un po’ di tutto. Ricordo quindi mia nonna al mercato di quartiere davanti alla bancarella delle verdure, a quella del formaggio e a quella del pesce scegliere il meglio di quanto poteva permettersi. E ricordo mia madre al supermercato, impegnata in una “moderna” spesa settimanale, che però non ha mai compreso né cibi precucinati, né surgelati. Nel nostro freezer di ultima generazione (la prima dei freezer, probabilmente…) entrava sì e no una busta di piselli ogni tanto.

Copy@ L’orata spensierata

Posso dire, quindi, che – fatti salvi i principi di base – il mio interesse e la mia consapevolezza per il cibo e la cucina sono maturati negli anni in modo del tutto autonomo attraverso l’esperienza e lo studio. Ho avuto la fortuna, nel tempo, di assaggiare la cucina di molti cuochi di altissimo livello; seri professionisti con anni di esperienza e grandi innovatori, ma io sono una cuoca casalinga, non aspiro ad applicare a ogni costo tecniche poco attuabili nella cucina di casa, a utilizzare costosi strumenti o a mettere a punto ricette mirabolanti con ingredienti ricercati. La mia passione è indagare le materie prime, conoscere le origini e la storia del cibo, mescolare senza preclusioni varie tradizioni – cosa che si può fare solo conoscendole a fondo – e portare in tavola piatti gustosi, puliti, presentati al meglio, cucinati nel miglior modo possibile, con il minor spreco possibile, con la massima varietà possibile. Il cibo – in tutti i suoi aspetti – occupa quindi nella mia vita un posto molto importante.

Il cibo oggi: dal nutrimento alla tecnologia

Il cibo è nutrimento, emozione e piacere; cultura e tradizione; scienza, chimica e oggi anche innovazione, arte, design, tecnologia. Tutti elementi importanti per la salute e il benessere dell’uomo. Un uomo-tipo che si divide in innumerevoli sotto-tipi: quelli che nel cibo cercano la risposta per ottenere la salvezza, la bellezza o l’eterna giovinezza; quelli che puntano sul chilometro zero e sull’agricoltura biologica, magari anche al piccolo orto casalingo, contrapposti a chi, invece, ritiene necessario introdurre la tecnologia più estrema – come le coltivazioni idroponiche o i semi geneticamente modificati – per meglio resistere ai cambiamenti climatici; quelli che difendono la cucina locale a tutti i costi e vivrebbero di ricette tradizionali; ma anche quelli che caldeggiano le contaminazioni e credono sia doveroso innovare… e potremmo continuare l’elenco aggiungendo nuove categorie ogni giorno.

Copy@ L’orata spensierata

Il punto è che tutte queste categorie, interpellate sulle proprie abitudini alimentari, affermerebbero probabilmente di “mangiare bene”, ma i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – dopo un’indagine in ventuno paesi – dicono che un bambino su cinque in Italia è obeso e che il 23% dei bambini in età scolare è comunque più o meno gravemente in sovrappeso. Un risultato fortemente allarmante che si associa a quello pubblicato dal Censis che dice che il 31% delle giovani donne italiane è “a dieta”, ma senza una vera consapevolezza e spesso – una volta analizzati i consumi nel dettaglio – risulta che il regime seguito non è affatto salutare, privo com’è di alcuni nutrienti fondamentali e, soprattutto, di vero equilibrio. Un pericoloso allontanamento, quindi, dai principi della dieta mediterranea che, da sempre più parti, è indicata come uno dei pochi veri elisir di lunga vita.

Quanto sappiamo del potere del cibo?

Oggi sappiamo – attraverso l’incrocio di dati raccolti in ben quarant’anni di indagini sulla salute e sui consumi alimentari di quasi centotrentacinque milioni di persone – che il 90% dei decessi in Italia, come nel resto del mondo occidentale, è causato da patologie cardiovascolari e respiratorie, tumori e diabete e che seguire una dieta equilibrata può ridurre questo dato fino al 30%. Ed è molto interessante anche uno studio recente portato avanti dall’Istituto Neurologico Mediterraneo nel cuore dell’Italia, in Molise, dove oltre venticinquemila abitanti sono stati seguiti per circa otto anni nelle proprie abitudini alimentari. La dieta mediterranea – molta frutta, verdura, pesce, legumi, cereali e olio d’oliva, poca carne e latticini – è associata a una riduzione dalla mortalità, proprio come fosse un farmaco o, forse, perché alcuni cibi guidano una sorta di “onda positiva” nella vita di chi la segue.

Copy@ L'orata spensierata
Copy@ L’orata spensierata

Non solo i cibi in quanto tali, ma tutto ciò che li riguarda: la scelta, l’acquisto, la preparazione, il consumo. Un buon olio extravergine d’oliva è tale sia che lo si compri in un supermercato di Milano, sia che arrivi dritto a casa grazie a un Gas (Gruppo di acquisto solidale), sia che lo si acquisti direttamente nell’azienda agricola o al frantoio, in un giorno di gennaio, con il maestrale che scompiglia le chiome argentate degli ulivi. Sicuramente lo è. Ma, ecco, parte da qui – in fondo è una piccola cosa – l’onda positiva della dieta mediterranea, che può essere un potente “farmaco”: nel sentirsi inseriti nell’ambiente, nel vedere con i propri occhi la fonte del nostro cibo, nell’intessere relazioni. È questo un aspetto molto indagato negli ultimi tempi, che ha aperto ampi scenari non solo per chi si occupa direttamente di produzioni agricole – o di trasformazione del cibo – ma anche per chi si interessa di valorizzazione dei territori e di turismo; la “sensazione di benessere” è immediata e può essere un buon punto di partenza per migliorare il proprio stile di vita.

Evocazione e condivisione

Il cibo non è buono per il nostro corpo solo per i nutrienti che ne ricaviamo; non amiamo le olive taggiasche perché contengono antociani – che hanno proprietà antinfiammatorie e ci mantengono la pelle levigata – ma perché ci ricordano la gita a Sanremo, quando abbiamo assaggiato la sardenaira, la focaccia con pomodoro, aglio, capperi, origano, filetti di sarde e olive, appunto, e l’abbiamo mangiata davanti al mare, con mamma e papà o con gli amici. Non ci piace il cavolo nero perché contiene steroli vegetali che riducono il colesterolo nel sangue, ma perché possiamo abbinarlo a fagioli, pomodori, patate e pane raffermo e ricavarne una zuppa meravigliosa come la ribollita toscana, che è il perfetto cibo “di casa” che prepariamo quando non abbiamo fretta. Il cibo ha infatti anche un grandissimo potere evocativo, crea legami e ha uno straordinario valore sociale. E questo è uno degli aspetti forse meno evidenti, ma più profondamente legati alla nostra natura e alla nostra storia. L’uomo è indubbiamente un animale sociale, non diversamente da molti altri mammiferi, e deve il suo lunghissimo successo evolutivo alla capacità di cooperare e condividere. Chi è solo, più o meno consapevolmente, prova disagio e dolore, che possono tramutarsi in vera e propria malattia. Condividere i pasti, meglio se in un contesto tranquillo e in orari regolari è – anche questo è dimostrato da diversi studi – un altro “effetto farmaco” del cibo.

Copy@ L’orata spensierata

Il benessere: una questione di salute, felicità e armonia

Mi sono trasferita da una dozzina d’anni in Sardegna, ma sono nata a Milano, che ho amato moltissimo, dove ho vissuto quasi quarant’anni e dove ho lasciato molto stress e molte abitudini che non favorivano il mio benessere. Ora abito in una città piccola, conoscibile e fruibile, circondata da campagne fertili e coltivate, vicina a un mare ancora pescoso. Qui il mio interesse per il cibo e il vino, nato molti anni fa, ha trovato campi di indagine prima impensabili ed espressione nella mia attività di blogger. La possibilità che mi offre la Sardegna di conoscere ciò che mangio partendo dalla sua origine, la terra, è preziosissima e questo mi rende molto più consapevole del valore del cibo in quanto nutrimento. Io sono onnivora e vedo con i miei occhi ciò che “mi fa bene” e mi abbandono completamente al piacere di scegliere colori, profumi, forme delle materie prime che consumerò e trasformerò nei miei piatti. Il più delle volte posso parlare con chi produce, ascoltando il racconto delle esperienze, delle difficoltà e delle soddisfazioni di ogni giorno. A questo si aggiunge un secondo grandissimo piacere: la vicinanza diretta a coloro che possono indicarmi con cognizione di causa come il cibo viene trasformato e come è diventato parte di quella cultura ed espressione di quella tradizione che ogni giorno si rinnovano. E ciò aumenta esponenzialmente il valore di ciò che mangio, va ad appesantire il mio bagaglio di conoscenze e, nel frattempo, mi rende partecipe e non più solo ospite. Infine qui posso assaporare la condivisione spontanea; il concetto di “pane condiviso” non è solo un modo di dire, ma un modo per unire la comunità in pranzi domenicali che in realtà durano tutto il giorno; in feste che prevedono cibi speciali, a partire dai meravigliosi pani rituali.

Copy@ L’orata spensierata

Il benessere è, in definitiva, una questione di salute, felicità e armonia che non si ottengono per magia, o attraverso esercizi e privazioni estreme, ma, piuttosto, con il perseguimento di uno stile di vita virtuoso che inizia dal cibo, dalla sua trasformazione e dalla sua condivisione. Cosa ampiamente documentata grazie allo studio delle delle cosiddette blue zone, zone blu, dove superare i cento anni è più frequente e l’età media è comunque molto alta. Non per nulla oltre a Okinawa (Giappone), Ikaria (Grecia), Nicoya (Costarica) e Loma Linda (California), una di queste è proprio qui sull’isola: l’Ogliastra. Si può obiettare che questa straordinaria longevità derivi anche da una predisposizione genetica e certamente è così, ma non è possibile ignorare il potere del cibo: che se buono previene gran parte delle malattie non trasmissibili; se pulito – in tutte le accezioni del termine – e se condiviso asseconda la naturale predisposizione dell’uomo a essere accogliente e a prendersi cura degli altri.

Testo e immagini:

Cristiana Grassi – L’orata Spensierata, blog di cucina e cultura del cibo

Sitografia:

EpiCentro – Il portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica

NeuroMed – Istituto Neurologico Mediterraneo

Censis – Centro Studi Investimenti Sociali

CorriereSalute – Corriere della Sera

Blue zones

2 thoughts on “Prima che serva una cura Il nostro benessere dipende da cosa mangiamo, ma anche da come e con chi lo facciamo

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