Il 27 luglio 2012 si è tenuto al Palazzo Viceregio di Cagliari, un importante convegno sul futuro dei poligoni militari in Sardegna, organizzato dal senatore Gianpiero Scanu (nella foto). Il senatore, membro della Commissione senatoriale sull’Uranio impoverito, ha presentato alla stampa e ai sindaci dei comuni limitrofi, le importanti novità sul futuro dei territori.
Il contesto
Senza ricostruire la storia delle basi nato in Sardegna (la ritrovate agevolmente nel testo di Angelo Ledda e Guido Floris “Servitù militari in Sardegna”), ricordiamo solo alcuni dati. L’isola è costretta ad ospitare il 66% delle servitù militari italiane: 24.000 dei 40.000 ettari nazionali. Il 95% di questi 24.000 ettari è occupato da tre poligoni permanenti terrestri, aerei e navali: Poligono Interforze salto di Quirra (Pisq) h. 12.700, Capo Teulada h. 7.200 e Capo Frasca h. 1.416.
Sono numeri impressionanti, decisi nell’immediato dopoguerra dagli americani per il controllo del Mediterraneo. Da molti anni la guerra fredda è solo un ricordo, le basi non servono più a quello scopo, se mai l’hanno avuto. Le basi servono solo ed esclusivamente alle esercitazioni interforze della Nato e alle aziende multinazionali che testano le nuove armi. Le armi sparate all’interno della base del Salto di Quirra, un angolo di Sardegna di una bellezza selvaggia, erano e sono coperte da segreto militare e industriale. Sperimentazioni dove si usavano (visto il divieto dal maggio 2012) diversi elementi nocivi alla salute umana e animale. L’area demaniale interessata è enorme, si disperdono sul terreno grossi quantitativi di metalli tossici e sostanze chimiche: alluminio, arsenico, bario, cadmio, cobalto, cromo, rame, piombo, ferro, nichel, antimonio, zirconio e zinco, nonché da sostanze radioattive tipo torio ed uranio.
La ragione principale della richiesta di chiudere le basi, portata avanti anche da comitati di volontari come “Gettiamo le basi”, era quella di salvaguardare la salute pubblica. Motivo per cui sono nate diverse commissioni parlamentari, le quali hanno sempre fallito nel loro intento per evidenti contrasti con le autorità militari. Questa volta sembra che le cose procedano nella direzione di una riconversione totale delle basi, in particolare quelle di Teulada e Capo frasca. Risoluzione aiutata certamente dai dati scientifici raccolti dall’indagine della procura di Lanusei, risultati che hanno avvalorato la tesi della pericolosità delle esercitazioni per la salute umana e animale.
Il 1 giugno 2012, durante un’altra conferenza stampa si è parlato di progressiva ma “radicale” bonifica delle basi di Quirra e Capo Teulada. Bonifica e riconversione, già a partire dal 2013.
I progetti
Il futuro prevede due fasi: bonifica e riconversione dei poligoni di Teulada e Capo frasca, concentrazione delle esercitazioni nella base di Quirra. Per la bonifica ambientale sono stati chiesti cento milioni di euro all’anno per tre anni. Questi soldi dovranno essere utilizzati per la riconversione dei territori ad uso civile, ma soprattutto in ambito scientifico. Al posto delle basi militari nasceranno centri di ricerca scientifica, dove privati e militari potranno lavorare insieme per uno sviluppo economico dell’intera Sardegna. Si, perché i poligoni non sono solo un affare dei comuni vicini, sono un problema e un’occasione di sviluppo di tutta la regione. Sono però le popolazioni limitrofe che hanno subito i danni maggiori, sono quei comuni che devono premere e combattere per arrivare alla conclusione dell’accordo.
La novità reale
La commissione parlamentare si conclude con l’attuale legislatura, naturalmente se il governo regge, o ancor prima se dovesse cadere all’improvviso. Quindi la mancanza di tempo è a favore di una risoluzione rapida delle decisioni prese a livello politico: dalla commissione con la sua relazione del maggio 2012, e da diversi ministeri dall’attuale governo. Questi, approvando le linee guida della commissione, dicono di offrire la massima disponibilità. Ora, risolte le problematiche di tipo giuridico-amministrativo, la formula (politicamente perfetta) per mettere in pratica le idee l’ha trovata il senatore Scanu. Afferma il senatore, “la creazione di un Coordinamento tra i Comuni dovrà gestire le diverse fasi dei progetti: gestire i rapporti con le popolazioni, con le imprese, con la Regione Sardegna, con il Parlamento nazionale. Un’occasione unica di costruzione di coesione sociale tra i territori”.
A questo organismo, che conta 13 sindaci, ma aperto all’ingresso di altri sindaci di comuni interessati, la commissione passerà la palla. La commissione senatoriale a questo punto ha fatto il suo dovere: ha raggiunto l’obiettivo di proporre e far approvare il progetto della chiusura e riconversione delle basi, salvare il finanziamento dalle manovre della Spending review, e dirottare così i soldi stanziati per la Sardegna verso altri interessi. (É comunque evidente che eliminando le enormi spese di gestione delle basi si può seguire la logica del risparmio della spesa pubblica).
Il coordinamento, nato ufficialmente durante il convegno, si propone di governare questo enorme lavoro. Il dubbio, però, nasce spontaneo. I sindaci hanno accettato di portare sulle spalle questo “peso”, solo dopo la promessa dello stanziamento da parte del governo, oppure c’è stata una vera presa di coscienza sul possibile futuro da dare alla Sardegna, che non sia solo foraggiare le fabbriche in perdita del Sulcis o di Ottana? Si inizia a credere finalmente ad uno sviluppo diverso, che trasformi i territori in centri di ricerca scientifica? I comuni, ossia i sindaci, ossia i politici, saranno in grado di mantenere i nervi saldi e pensare veramente al bene comune e non alla carriera personale, come si iniziava ad intravedere già durante la conferenza stampa?
Bisogna dar credito alla fiducia, non c’è alternativa. I giornali dovranno a questo punto fare i cani da guardia, controllare il nuovo organismo e il suo futuro presidente. E’ una occasione da non perdere.