L’idea è quella di raccontare chi siamo attraverso le diverse memorie condivise. Lo spunto arriva da uno straordinario progetto l’Archivio Diaristico Nazionale, un enorme archivio della memoria delle persone comuni. Un modo per rileggere la storia da un punto di vista non ufficiale, forse più vero.
Lo spunto viene anche dall’osservazione di quello che ci circonda: possiamo riconoscere chi ci sta attorno anche perché abbiamo una memoria condivisa, un passato comune o, meno che mai, un futuro comune? Oppure, è più naturale riconoscere l’altro simile, giorno per giorno come in un eterno presente?
Esiste una memoria individuale, ancora oggi in larga parte un mistero. Abbiamo poi la memoria collettiva, che condividiamo ogni qualvolta ci confrontiamo con l’altro. Riconoscere nell’altro il mio stesso background mi fa sentire meglio, mi fa sentire a casa. Ma la memoria condivisa non è solo quella che riguarda il passato, ma anzi è più interessante guardare quella che ancora si deve costruire, in condivisione con gli altri.
Quest’epoca sembra segnata da un cortocircuito della visione del tempo. Siamo gettati in un’eterna attualità, come se non provenissimo, e non ci potessimo riconoscere in nessuna cultura da condividere. Allo stesso tempo però ci sono movimenti politici, sociali o semplici opinioni che cercano di costruire un passato che possa garantire una sorta di substrato sicuro in cui riconoscersi, con simili valori, idee o gusti. Più il mondo si avvicina, più aumentano le forza divisorie, più si creano movimenti che vogliono difendere una cultura particolare, dove sono ammesse le stesse identiche memorie. Ci sono ad esempio movimenti indipendentisti che giustamente rivendicano una storia e una cultura, ma lo fanno in opposizione ad altro. Si difende una cultura per il suo valore intrinseco non per difendersi dallo “straniero”. La memoria condivisa crea un popolo, una comunità, un’idea di società. Sapere che il Mediterraneo è la culla della civiltà occidentale ci fa sentire protetti entro i confini della “parte buona” dell’umanità.
Ci poi sono memorie cancellate, svilite e di conseguenza inesistenti (nell’immaginario collettivo la memoria condivisa è quella della maggioranza). C’è un continuo stravolgimento del passato, in alcuni casi necessario per evidenziare le parti oscure (penso alle foibe, evento mai accettato fino a pochi anni fa); altre volte negativo quando è palesemente mendace (il caso della pretesa di Israele di possedere terre da un tempo ancestrale).
Riprendendo il ragionamento iniziale: la memoria è sicuramente un fatto sociale, a volte decisa da precise ideologie, ma soprattutto individuale. La nostra vita produce continuamente memoria, la quale viene conservata o cancellata dalla nostra mente. Le ricerche di neuroscienza non sono arrivate a scoprire completamente il funzionamento della memoria, si conosce solo una piccola parte del suo processo. Si ricordano e si dimenticano parti del nostro passato, vicino o lontano, senza una nostra decisione. E’ una parte del nostro cervello in gran parte sconosciuta.
Se non abbiamo memoria dell’infanzia non possiamo neanche condividerla, oppure la neghiamo in tutti i modi perché non la si accetta. A volte è salutare cancellare parte del nostro passato per poter vivere meglio il futuro. Ma non si può far finta che non esista nessuna memoria, seppur inventata, abbiamo bisogno di costruire un nostro percorso storico. Un po’ come riconoscere i confini per poterci descrivere meglio. Ma il riconoscimento della memoria storica non pregiudica la possibilità di “creare” memorie che poi condivideremo. Immagino tutte le opere d’arte, i film, i libri. Creiamo qualcosa che diventerà memoria condivisa, e di conseguenza comunità in cui ci riconosceremo.
Creare futuro che diventerà un punto di riferimento comune, quello che spetta alla Politica, purtroppo attenta solo al contingente ma quasi mai alla progettazione. Non è vero che siamo al punto zero, che non c’è più tempo, che bisogna trasformare tutto. Non sarebbe male riprendere i fili della memoria, e poterli poi riannodare per creare una visione più ampia del futuro. Mai come oggi si condivide ogni momento della nostra vita, ma lo si fa spesso senza responsabilità, senza rischi appunto.
La memoria condivisa possiede un’anima poetica, dove è il dialogo a creare legami e non più le singole persone. La memoria condivisa crea qualcosa di nuovo, che varrà poi per tutti i futuri lettori o spettatori. Tutta l’arte in fondo è una enorme memoria che si condivide. Se visitiamo un museo conosciamo la storia di ogni opera, del suo autore, spesso del creatore del museo e dell’architetto dell’edificio in cui è ospitato.
Un giornalista della Rai regionale della Sardegna in una vecchia intervista ad un pastore che praticava ancora la transumanza, costretto per mesi a stare isolato in montagna, chiese se non provasse solitudine, come potesse resistere tanto tempo, lui rispose che “basta sedersi ai piedi di quest’ulivo secolare e immaginare le centinaia di persone che come me si sono sedute nello stesso punto, immaginare la loro vita i loro sogni e le speranze, e dopo sentirsi in compagnia di un sacco di gente”.
Abbiamo cercato di descrivere una parte di realtà che ci circonda attraverso spunti e idee che fanno parte della cultura mediterranea, che diventa per certi aspetti universale.
Hanno collaborato a questo numero:
Adriana De Angelis, Alessandra Ghiani, Erica Verducci, Claudia Zedda, Barbara Picci, Cristina Delunas, Sabina Murru, Consuelo Melis, Viviana Maxia, Matteo Tuveri, Giorgina Satta, Irene Melis