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Di Antonella Zisa

La resilienza comincia il 9 marzo scorso, quando il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte annuncia che l’Italia intera è “zona protetta” a causa dell’epidemia Covid-19, in seguito dichiarata “pandemia” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

L‘emergenza sanitaria in corso ci unisce ma solo idealmente poiché all’atto pratico dobbiamo mantenere la distanza di sicurezza tra noi. Inoltre i recenti interventi legislativi ci impongono di uscire di casa solamente per motivi di comprovata necessità. Solo nel rispetto di queste norme, e poche altre indicazioni comportamentali, è possibile ridurre efficacemente la diffusione del virus responsabile dell’infezione, il SARS-CoV- 2. Ciò per il bene del singolo e della collettività.

Il punto è proprio questo: per attraversare e uscire da questa situazione non bastano i decreti e gli sforzi profusi degli operatori sanitari in prima linea nella lotta contro il nuovo virus, serve anche il senso di responsabilità verso sé stessi e gli altri. Onestamente non mi sento in una botte di ferro.
Dal mio terrazzo vedo il Mar Mediterraneo ma anche fin troppe persone, tra cui mamme con prole al seguito. Il profumo dei fiori in bella mostra sul mio balcone si è miscelato con quello dei fumi proveniente da un falò. Un falò in piena pandemia? Dal quotidiano online della provincia di Ragusa www.novetv.it apprendo che qualche mio concittadino non ha voluto rinunciare all’accensione dei tradizionali fuochi in occasione di una festa religiosa, “creando momenti di aggregazione” così riporta la testata. Ovviamente il sindaco e le forze dell’ordine sono intervenuti prontamente.

A queste mie personali rilevazioni si aggiungono le notizie divulgate dai mezzi di informazione nazionali che ci raccontano di persone in fuga dalla quarantena o di esodi verso il Sud dalle zone con alta concentrazione di contagi. Alla luce di ciò non mi stupisce, e quasi mi rincuora, il recente divieto di accesso, su ordinanza comunale, in quei luoghi dove fino a pochi giorni fa era ancora possibile circolare per svolgere attività all’aperto. Il messaggio sembra chiaro: la superficialità non è ammessa per cui è bene scongiurare ogni occasione di assembramento.

Tutti siamo invitati a evitare comportamenti mossi dalle emozioni quali paura, ansia e panico. Certo, la nostra natura umana quasi ci legittima a sbagliare, ma è anche vero che siamo provvisti di un bagaglio interiore ricco di risorse utili in questa emergenza, basta volervi attingere. Tra queste risorse mi preme citare la capacità di saper chiedere aiuto durante una crisi come quella che stiamo vivendo.
Con l’obiettivo di comprendere i meccanismi alla base dei comportamenti dissonanti con le disposizioni istituzionali, ho chiesto una lettura critica alla dottoressa Francesca Mastrantonio, psicoterapeuta e presidente dell’Istituto Integrato di Ricerca e Intervento Strategico di Roma (IIRIS). Nel corso della nostra chiacchierata, l’esperta ci parla anche dell’importante iniziativa promossa dall’ IIRIS a supporto delle persone in difficoltà con la gestione di questa emergenza sanitaria.

Dottoressa Mastrantonio, da quando le autorità sanitarie hanno dichiarato lo stato di emergenza, il quadro della situazione è mutato fortemente. Ora siamo in piena pandemia. Cosa ha registrato nel comportamento individuale e collettivo in merito alla gestione di questa emergenza?
In questi giorni si sono susseguiti annunci che facevano capire gradualmente la serietà della situazione. Questi annunci hanno generato reazioni a volte incomprensibili e contraddittorie. Siamo passati da un comportamento di negazione del problema, come le serate in festa, a comportamenti che dimostrano l’iperarousal (ndr ipersensibilità) emotiva di questi ultimissimi giorni, espressione di un’ansia che si trasforma via via in angoscia e panico e che conduce le persone a realizzare, per esempio, gli assalti ai supermercati senza che ve ne sia reale necessità. Queste emozioni di negazione da una parte e di iperattivazione dall’altra sono quelle che si esprimono solitamente nei momenti di emergenza e che troviamo all’origine di comportamenti che abbiamo visto anche nei singoli individui che passano quasi in opposizione alle misure da prendere, con annunci tipo: “Il virus non mi ferma” all’aderire totalmente, o meglio compulsivamente e ossessivamente, alle disposizioni. 

La comunicazione del rischio da parte delle istituzioni gioca un ruolo determinante nell’attecchimento di comportamenti appropriati da parte nostra. Tuttavia non è sufficiente a impedire quelli irrazionali. Ad esempio, attraverso i social apprendo di feste di compleanno organizzate dai genitori per i figli in piena emergenza da contagio. Ciò come si potrebbe spiegare?

Proprio questi atteggiamenti si inseriscono in quei comportamenti di negazione e opposizione di cui parlavo prima. Queste reazioni sono state forse agevolate da una comunicazione che non sempre ha mostrato coerenza e chiarezza. La contraddizione comunicativa a cui abbiamo assistito ha certamente facilitato in alcuni la sottovalutazione del problema portando le persone a fare scelte azzardate. Inoltre l’idea che questo virus non attaccasse pesantemente i giovani può aver favorito una eccessiva semplificazione del problema e ha generato la triste e gravissima giustificazione, spesso ascoltata, che il covid-19 fosse nocivo solo per gli anziani. Una lettura della realtà che cela il bisogno di prendere le distanze dalla situazione e che aumenta il rischio di esporre i bambini o i giovani al virus per farli diventare per di più veicolo di trasmissione. Oggi mi sembra che, salvo rarissimi casi, tutti si stiano adattando alla situazione di emergenze e alleandosi per risolvere il problema tutti insieme.

La pandemia mette in discussione il nostro modo di prenderci cura di noi stessi e degli altri. Quali strategie o riflessioni ci consiglia di adottare per attraversare indenni questa crisi? Dai fatti di cronaca sembriamo un popolo poco incline alla disciplina…

E’ vero noi siamo un popolo poco incline alla disciplina, un esempio di questo è il fatto che forse solo in Italia esistono cartelli con su scritto “é severamente vietato” come se solo il divieto non bastasse. Questo momento di grande vulnerabilità individuale e collettiva spinge le persone a dover riflettere di più su quanto il nostro comportamento può impattare sulla nostra salute e quella dei nostri cari. Seppur alcuni continuano in modo estenuante ad aggrapparsi alla falsa credenza onnipotente del “tanto a me non può succedere”, oggi dobbiamo prendere atto che questo virus ci pone innanzi a una realtà molto volubile e poco controllabile. Ci ricorda che prendersi cura di sé vuol dire anche prendersi cura dell’altro, ci impone paradossalmente di prendere le distanze per proteggersi reciprocamente. Questa pandemia ci ha dimostrato inoltre come la tendenza a vedere nel diverso/distante da noi un pericolo sia inutile se non sappiamo in primis prenderci cura di noi stessi e adottare comportamenti responsabili. 
Oggi vedo che stiamo tutti adattandoci alla situazione, gli adattamenti sono sempre graduali ma questo sta avvenendo.

Se proseguiremo in modo responsabile e lucido questo processo di adattamento alla situazione avremo sicuramente in mano lo strumento che ci consentirà di uscire da questo problema, proprio Darwin ci ricorda che “la specie che sopravvive è quella che è in grado di adattarsi e di adeguarsi meglio ai cambiamenti dell’ambiente in cui si trova”. In fondo non dobbiamo far altro che ripetere ciò che già è avvenuto in Cina. Questo ci consentirà non solo di uscire da questo momento così difficile, ma anche di sentirci parte attiva di un cambiamento che porterà alla soluzione. In questo processo di adattamento svilupperemo come persone una grande resilienza che ci aiuterà a fronteggiare altre difficoltà che la vita potrà offrirci. 

In questo momento credo sia importante pensare responsabilmente a tutte quelle persone che vivono delle fragilità di salute o che vedono la propria attività fermarsi, le persone che vivono la quarantena, tutto il personale sanitario o coloro che hanno perso dei cari proprio a seguito della Covid-19. Tutti gli psicoterapeuti e le psicoterapeute dell’Associazione IIRIS hanno voluto offrire il loro tempo e le loro competenze per aiutare le persone che possono aver bisogno di un supporto per superare questo momento, per questo abbiamo attivato il servizio Ammazza l’Ansia.

Un supporto psicologico online rivolto a tutte le persone che in questo momento hanno bisogno di aiuto per ritrovare la calma, la speranza e calmare l’ansia. Il servizio sarà attivo dal lunedì al sabato: basta inviare una mail di richiesta all’indirizzo info@istitutostrategico.it oppure compilare il form contenuto nel nostro sito. Sarete contattati da uno/a specialista della nostra associazione per avviare il primo di tre colloqui online messo a disposizione gratuitamente durante tutto il periodo dell’emergenza. Da soli si può fare, ma insieme è più facile.
Per concludere, la parola chiave è resilienza, che ci suggerisce la nostra stessa esperta. La pandemia in atto è un invito ad allenare, o a scoprire, questa innata capacità della natura umana di saper trarre forza dai momenti di crisi per costruire nuovi e virtuosi percorsi individuali, e perché no, di intere nazioni.